Un popolo distrutto

1799 La Rivoluzione contro Napoli


C'è chi ancora oggi sostiene la bontà o l’eroismo dei giacobini del ‘99, è giacobino ancora oggi e non ha nessun rapporto con il nostro popolo, lo ignora o lo disprezza. Chi si rifiuta di farsi definire “borbonico” senza capire che non stiamo parlando di inutili nostalgie monarchiche non sarà mai in grado di rappresentare il Sud.  Fatelo davvero questo test e di fronte ai primi dubbi, ai primi “se” e ai primi “ma”, potete essere sicuri di trovarvi di fronte ad un napoletano o ad un meridionale nato qui ma non di qui: esattamente come i nostri politici o i nostri intellettuali ancora oggi impegnati a difendere i falsi eroi della repubblica o del cosiddetto “risorgimento”. Nei prossimi anni lo scontro più significativo e delicato sarà quello tra una cultura sradicata e una cultura radicata. Da una parte una cultura che piantava alberi della libertà al largo di Palazzo e continua a piantarli con miliardi pubblici sotto forma di “montagne di sale” o “labirinti” continuando ad offendere quella piazza e la memoria storica che rappresenta, continuando a difendere tradizioni, valori, memorie storiche, cose e luoghi che sono sacri per il passato che rappresentano e non come vuoti contenitori di culture lontane e senza legami con la nostra terra. Da una parte una cultura “pronta a intrattenere i generali nemici “(come disse Mazzini in un momento di lucidità) per ottenere favori e gratificazioni personali due secoli fa.  Il popolaccio cattivo, il Borbone che non sa leggere e che lascia tutto e va a caccia, la Sanfelice santa e martire… tutto il repertorio da libro di scuola materna che conosciamo bene. Hanno dovuto dire bugie anche esagerate: parlano di 8000 morti di parte franco-giacobina e utilizzando così una cifra riportata da Thiebault a proposito dei massacri operati a Napoli in tre giorni; “la cifra di ottomila morti di parte repubblicana è molto probabile”. Scaricano i francesi attribuendo solo a loro le colpe di massacri e saccheggi e…”frutto di una vanteria di qualche generale… cifre inventate di sana pianta dai traditori francesi….”, dichiarano quando noi li incalziamo con il diario del generale Thiebault: quello che aveva definito Napoli “un immenso campo di carneficine” provando pietà per quello che aveva compiuto (aveva dato ordine di bruciare case, palazzi e persone…), quello che dichiara di aver passato “a fil di spada non meno di sessantamila napoletani sulle ceneri delle loro capanne”…        E non ci sono dubbi: o i nostri giacobini erano in  buona fede ed (usando un eufemismo) erano davvero stupidi per non capire tutto questo oppure erano consapevoli e complici e le condanne a morte dei Borbone furono fin troppo poche per quello che, per loro colpa, soffrì il popolo napoletano. Certo è che per la prima volta dopo due secoli i nostri avversari hanno dovuto riconoscere, comunque e solo grazie al nostro lavoro e a libri puntuali e appassionati come quello di Di Giovine (l’hanno letto in tanti, in tantissimi,  anche nei loro istituti), che ci furono massacri e saccheggi. Ora tocca ancora a noi continuare a raccontarle queste storie perché le conclusioni sono fin troppo facili: altro che Sanfelice “da riabilitare”. Qui c’è tutto un popolo da riabilitare e da salvare. Una memoria storica non si costruisce basandola sulle prostitute o sui criminali, sui traditori o sulle bugie, l’identità nazionale non è stata mai costruita e non sarà mai costruita con queste basi. E allora tocca a noi e sappiamo che il cammino è lungo ma utile e necessario.Nel corso del Settecento la filosofia dei lumi demolisce, mattone dopo mattone, la società organica; sostituisce alla società reale le «società di pensiero», fonda dunque «un altro mondo basato su principi differenti da quelli operanti nel mondo reale». Nella radicale alterità prende forma la città dell’utopia, il regnum hominis in contrasto con il regno di Dio. Gli adepti della religione dell’uomo in pieno Illuminismo rifiutano il cristianesimo rivolgendosi al dio dei Deisti, offrono riti all’Essere Supremo di  Ropespierre, proclamano il culto della teofilantropia di Chemin; le religioni dell’umanità spostano l’attenzione dal singolo al gruppo, alla classe sociale, alla nazione, al genere umano, tutte nuove divinità in un continuum ininterrotto che arriverà fino ai movimenti di sviluppo del potenziale umano del ventesimo secolo.  Dal punto di vista storico, il nuovo umanesimo gnostico si sostanzia a partire dall’ondata rivoluzionaria francese del 1789.  Ma in date simbolo come quella del 1799, le insorgenze antigiacobine italiane, e del 1806 – 1809 le insorgenze antinapoleoniche, tutta la penisola italiana assiste ad una reazione armata contro la democraticizzazione forzata, imposta dall’esercito  francese. Moti appropriatamente definiti Insorgenze e non insurrezioni proprio per sottolinearne il carattere antigiacobino e quindi, controrivoluzionario.  In tutta Europa nel Decennio Francese viene dato al cosiddetto “cappello alla calabrese” il significato simbolico di resistenza popolare alle armate francesi. Avvenimenti questi, troppo spesso accomunati ad atti di delinquenza comune, bollati col termine sbrigativo e dispregiativo di brigantaggio, ma non si tratta di un fenomeno di “ribellismo endemico delle società rurali, atavico retaggio di miseria e di sopraffazione” – come affermato da storici autorevoli come Hobsbawn - ma piuttosto di una vera e propria resistenza contro “ilnuovo ordine liberale, laicista e centralizzatore che veniva ad espropriare le popolazioni della loro identità storica, politica e religiosa”. Così è stato in Francia nel 1789, come in Italia, dieci anni dopo. I vandeani come i sanfedisti, i toscani come i napoletani o i lucani, hanno intuito il significato irriverente e blasfemo dei simboli portati dalla rivoluzione, di quegli alberi della Libertà piantati davanti alle loro Chiese. Sogno utopico di una libertà e di una pacificazione forzata, portata e imposta con le armi. Le armi di ogni rivoluzione: quella francese a cui il popolo italiano, già tale e unito nella sua fede e nella  diversità, si è opposto in nome e in difesa della civiltà tradizionale italiana; quella risorgimentale –rivoluzione senza popolo - a cui anzi, il popolo del Sud si è opposto in difesa della propria terra e tradizione, del legittimo Re, della propria religione umiliata e derisa, trattata come fanatismo. Durante l’ondata rivoluzionaria francese l’ateismo  rivoluzionario mostra il suo vero volto di antiteismo, di odio verso il mondo cristiano. Gli avvenimenti più importanti della vita vengono laicizzati, il tempo sacro, scandito dal suono delle campane, che animava il mondo tradizionale doveva essere sostituito, nell’intenzione dei rivoluzionari, da un tempo completamente secolarizzato: il calendario viene riformato prendendo come modello gli avvenimenti naturali, i matrimoni giacobini vengono celebrati girando intorno all’albero della libertà. La nuova mitologia rivoluzionaria eleva a riti i “giuramenti pubblici”, la spoliazione delle Chiese, la profanazione degli arredi sacri, le processioni derisorie, le mascherate anticristiane, i cortei iconoclasti e carnevaleschi.  Ma il popolo napoletano, toscano, lucano; il popolo di Roma, di Verona, di Venezia comprende il senso intimo di questa rivoluzione e si ribella. Quella delle Insorgenze non è mera lotta sociale o  municipalistica, scatenata soltanto dal cattivo comportamento delle truppe francesi e circoscritta in pochi episodi ben riconoscibili e indipendenti, al contrario ha avuto carattere unitario e rilevanza nazionale.  Il 23 gennaio 1799 i giacobini francesi occuparono  militarmente Napoli. La città che avrebbe dovuto vederli come liberatori, al contrario armò sedicimila uomini, che disputarono palmo a palmo ogni via, difesero ogni casa «in una lotta disperata». Erano i lazzaroni, il popolo di Napoli, il «popolo di Dio».  Questi uomini offesi e ignoranti, stretti alle spalle dai giacobini napoletani che da Santelmo li tradivano e di fronte alle baionette dei francesi, furono pronti a morire per la propria terra, la propria famiglia, il proprio Re, il proprio Dio. La reazione si diffuse rapidamente: negli Abruzzi, in Terra di Lavoro, dove Michele Pezza detto Fra Diavolo, – come ci ricorda Silvio Vitale - riuscì ad interrompere le comunicazioni francesi tra Napoli e Roma, ma fu soprattutto grazie al Cardinale Fabrizio Ruffo, sbarcato in Calabria con pochi uomini, che si riuscì a riconquistare il Regno alla bandiera bianca della Santa Fede recante da un lato il motto costantiniano in hoc signo vinces e dall’altro le armi reali. In Basilicata uno dei protagonisti delle vicende del ‘99, fu il Vescovo Andrea Serrao che, pervaso di idee gianseniste, innalzò a Potenza – il 3 di febbraio – l’albero della libertà, poi in qualità di delegato elesse la Municipalità e istituì la guardia civica. Le indagini storiografiche più recenti imputano la nota vicenda dell’assassinio del Vescovo proprio alla sua Guardia civica - assoldata da galantuomini locali- ponendosi in contrasto con quel mito della morte giacobina costruito a «futura memoria» per la volontà di accusare alcuni, non meglio identificati «calabresi» e, come tali, possibili sanfedisti. A Napoli, le condanne eseguite dopo la restaurazione borbonica furono 99. E il numero dei patrioti aderenti alla repubblica giacobina fu di 43.  43 persone contro un popolo.  Tanto da far scrivere alla, tanto celebrata, Eleonora de Pimentel Fonseca «Non la Nazione, ma il popolo è contro di noi». Come dire che 43 persone rappresentavano la nazione e tutto il resto era volgare plebaglia ignorante. Trecentomila persone in armi insorsero contro la Rivoluzione Francese e i principi che essa propugnava. Il sacrificio di centomila persone, che nell’Insorgenza persero la vita, fa risorgere le ragioni del riscatto. Nuovamente nel 1806, con Napoleone Imperatore, le armate francesi tornarono ad occupare il Regno di Napoli. Un esempio della ferocia francese fu il sacco di Viaggiano, un piccolo centro della Basilicata, scrive Pedio – «il 17 agosto questo paese ribelle ai francesi, viene rioccupato e posto al sacco. Senza pietà i soldati francesi uccidono uomini e donne, vecchi e fanciulli. Ma ad essi non basta aver ucciso 44 inermi cittadini e preso tutto quello che era possibile prendere nelle più ricche case di Viggiano. Vogliono dare un esempio: gli abitanti sono 5669. Ne fucilano 56, uno ogni cento. Li scelgono tra i più giovani.» Dunque, le insidie nascoste nell’antìpolis dell’utopia generano solo morte e terrore. E con il terrore appare l’ambiguità di fondo di un messaggio utopico di liberazione che si infrange nella realtà dell’oppressione di intere popolazioni indifese, popolazioni che coscientemente rifiutano la rivoluzione e il suo messaggio di pseudo-liberazione e ad essa si oppongono in armi.di Antonella Grippo