Un popolo distrutto

Meridione vs Grecia


La crisi del Mezzogiorno assomiglia a quella della Grecia. In Campania e in Sicilia solo una donna su cinque lavora. E l’emigrazione verso il Nord non risolve più i problemi dei giovani meridionali. La Grecia siamo noi. Gli scontri nelle piazze, i summit dell’Eurogruppo e le immagini dei telegiornali sono i riflessi di uno specchio che l’Italia preferisce nascondere. Secondo lo Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, la crisi greca richiama quella che sta vivendo l’Italia del Sud.       “Il tasso di occupazione femminile del Meridione non supera il 23,3%" sostiene Giuseppe Provenzano. "In Campania e in Sicilia meno di una donna su cinque lavora. Dietro le posizioni aperte spesso si nascondono precarietà, sotto inquadramento e sfruttamento”. Provenzano è un ricercatore Svimez. Nel 2010, insieme a Luca Bianchi ha scritto il libro “Ma il cielo è sempre più su? L’emigrazione meridionale ai tempi di Termini Imerese”. “Con riferimento all'istruzione, sul piano quantitativo, il Mezzogiorno ha saputo colmare il divario con il Nord e il resto dell’Europa. Nella prima metà del decennio scorso sono aumentate le diplomate e le iscrizioni all’università”. Il territorio, però, non ha saputo valorizzare questa preparazione. Tra il 2000 e il 2010 sono riprese con forza le migrazioni. “In meno di dieci anni 450mila ragazzi hanno cercato un lavoro lontano da casa. Il 90% di questi cittadini si sono trasferiti al Nord. La crisi economica che ha colpito anche la Pianura padana sta cambiando queste proporzioni. E molti, meridionali e settentrionali, preferiscono la fuga all’estero” .Le statistiche riescono, solo in parte, a fotografare questi spostamenti. La maggior parte dei lavoratori che migra verso il Nord o l’estero mantiene la residenza d’origine: “Pendolari di lungo raggio, li chiamano le statistiche. Ma sono emigranti: nel solo 2010 risultavano lavorare al Centro-Nord 134 mila meridionali. Per molti di loro questa modifica è stata momentanea, 'precaria'. L’eventuale perdita dell’impiego li costringe a un riavvicinamento familiare”. Secondo Provenzano la precarietà di questi spostamenti dimostra che il flusso migratorio, pur diverso da quello del secolo scorso, ha i suoi drammi. “Prima gli emigranti riuscivano a fare delle rimesse che davano al Sud importanti entrate economiche. Oggi, invece, sono le famiglie d’origine che devono integrare uno stipendio insufficiente per far condurre ai giovani una vita dignitosa”.“Si rischia di entrare in un circolo vizioso. Le cattive condizioni del mercato del lavoro avviano una spirale negativa dal punto di vista sociale. Quando cala l’impegno su se stessi ci si scoraggia e si finisce ai margini. Il 30% dei meridionali laureati non ha un impiego o non si sta attrezzando per trovarne uno”. Secondo Provenzano i dati nazionali sulla disoccupazione giovanile non tengono in considerazione la reale situazione del Mezzogiorno. “Da tre anni si ripete che un giovane su tre non lavora. Questa informazione si riferisce ai cittadini tra i 15 e 24 anni, ragazzi che spesso stanno continuando il proprio percorso formativo. Se si prende in considerazione una fascia di popolazione maggiore, comprensiva dei trentenni, si scopre che al Sud il vero dato è un altro. Solo un meridionale su tre, tra i 15 e 34 anni, ha un lavoro”.Nulla è come sembra fino a quando si omettono le storie. È sufficiente abbassare lo sguardo per capire che la distanza con la Grecia è più corta di quella che appare.