Un popolo distrutto

L’ECCIDIO DEL 14 AGOSTO 1861 di Gigi Di Fiore


L’eccidio di Pontelandolfo, compiuto da una colonna di 400 bersaglieri il 14 agosto del 1861, resta certamente una delle pagine più oscure e controverse del nostro Risorgimento. La vicenda è nota ed inquadrata nell’anno più caldo del brigantaggio post-unitario. L’11 agosto 1861, 41 dei 44 soldati al comando del tenente livornese Cesare Bracci, furono uccisi dai briganti della banda Giordano, ingrossata da cittadini di Casalduni, Pontelandolfo e Cerreto. Da giorni, in quell’area tra il Matese ed il Beneventano, erano in corso azioni di bande di ex soldati borbonici, appoggiate da notabili locali ed esponenti del clero. Il 10 agosto furono allertati, per la repressione, i soldati italiani (fino a 5 mesi prima piemontesi). Dopo la morte dei 41 soldati, fu comandata un’azione di rappresaglia militare a Pontelandolfo e Casalduni. Un episodio da vera e propria guerra civile. Il luogotenente del re, Enrico Cialdini, disse che di Pontelandolfo non doveva rimanere più pietra su pietra. Chi comandò la colonna di soldati che distrusse l’intero paese (solo tre case rimasero intatte), uccidendo decine di persone e imprigionandone molte altre? La reale identità dell’ufficiale, un luogotenente colonnello, è stata sempre avvolta nel mistero. Si è sempre conosciuto il cognome, Negri, senza il nome. E genericamente di un colonnello Negri parlano lo storico borbonico Giacinto De Sivo, gli studiosi Luisa Sangiuolo, Michele Topa, Roberto Martucci, Nicola Nisco, Nicolina Vallillo, Vincenzo Mazzacane, Carlo Alianello, Cesare Cesari, Ferdinando Melchiorre, Marco Monnier, Gustavo Rinaldi, Antonio Pagano. Non fornisce dati neanche il maggiore Carlo Melegari, che guidò i militari a Casalduni. Nelle sue memorie, parla del colonnello Negri. Stop. Qualcuno (come Antonio Ciano) ha identificato il colonnello in Gaetano Negri, all’epoca giovane tenente in servizio nell’Avellinese, poi sindaco di Milano, che inviò in quei giorni alcune lettere al padre, in cui cita a nche «i casi di Pontelandolfo». Un errore già sottolineato dal professore Francesco Barra in un convegno del 1983, in cui, però, il docente, smentendo l’identificazione con Gaetano Negri, non fornì alternative. Così, anche io incorsi nell’errore nel mio saggio pubblicato da Grimaldi nel 1998, in cui glissai sulla questione. Ma l’identificazione del colonnello rimase una partita aperta. All’Archivio di Stato di Torino esiste un elenco di ben 15 ufficiali con il cognome Negri, in servizio tra il 1860 ed il 1861 nella «campagna della Bassa Italia». Per esclusioni anagrafiche e di zone di operazione, limitandosi agli ufficiali che facevano parte del corpo dei Bersaglieri, ne restavano tre: Santo Negri (allora capitano del quarto Bersaglieri, originario di Sondrio), Giovanni Negri (di Lodi), Pier Eleonoro Negri (Veneto). Nulla forniscono gli atti ufficiali, conservati all’Archivio centrale dell’Ufficio storico dell’esercito a Roma, dove il Negri di Pontelandolfo viene citato senza nome. M a sono gli «Stati di servizio» a svelare l’arcano. Documenti conservati all’Ufficio documentazione dell’Esercito a Roma. Da quelle carte dell’800, risulta che fu Pier Eleonoro Negri a guidare, all’alba del 14 agosto 1861, la colonna di bersaglieri che, per rappresaglia, distrusse il paese del Beneventano, con metodi così violenti da indurre il deputato milanese Giuseppe Ferrari a parlarne nel neo Parlamento italiano a dicembre del 1861. L’ulteriore conferma è poi arrivata da un piccolo saggio dello storico vicentino Andrea Kozlovic («Bersaglieri - Pagine di storia e di vita»), fotocopiate da Antonio Pagano, allertato nelle ricerche a Vicenza. Pier Eleonoro Negri aveva all’epoca 44 anni, era luogotenente colonnello dal giugno 1861 ed era già stato decorato per la battaglia del Garigliano contro i borbonici e per le prime due guerre d’indipendenza. Era nato a Locara, in provincia di Vicenza, da nobile famiglia veneta. Dopo 40 anni di servizio, si ritirò con il grado di generale e l a Gran Croce dell’Ordine della Corona d’Italia. Morì nel 1887. Dopo gli eccidi, aveva telegrafato al governatore di Benevento, Gallarini: «All’alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora».