Anche i garibaldini chiedevano assistenza ai piemontesi, alcuni di loro protestarono e furono uccisi dalla polizia, altri passarono ai briganti; a Roma e Marsiglia erano nati comitati borbonici, diretti da ufficiali borbonici anche stranieri, che dirigevano il brigantaggio a mezzo d’ufficiali loro emissari; queste bande arrivarono al numero di 250, alimentavano una guerra civile e sembravano imprendibili, dall’estero arrivarono anche nobili per combattere per i borboni.In Lucania il capobrigante Carmine Crocco riunì 1.000 uomini, era stato disertore borbonico, garibaldino e poi brigante, i suoi uomini erano in gran parte ex soldati borbonici, innalzava la bandiera delle due Sicilie e inneggiava a re Francesco II; era un guerrigliero che sfuggiva allo scontro aperto, era sostenuto dal clero e da parte della nobiltà locale fedele ai Borboni. Crocco fu tradito da un suo uomo, Giuseppe Caruso, che lo vendette ai piemontese.I piemontesi, alla ricerca di briganti, distrussero l’abbazia di San Bernardo, erano visti come conquistatori, alcuni loro ufficiali parlavano francese e si servivano d’interpreti. Alla frontiera pontificia operava la banda di Luigi Alonzi, detto Chiavone, sergente dell’esercito borbonico, che aveva un’organizzazione militare e tanti stranieri, in tutto 430 uomini, con ufficiali e cannoni; gli ambienti legittimisti europei erano con i borboni, tanti nobili stranieri combatterono come ufficiali per i borboni e furono fucilati dai piemontesi.A Marsiglia il comitato borbonico era diretto dal generale Clary e tanti francesi si arruolarono nel partito borbonico, così a Barcellona ed a Roma. In Basilicata e Puglia operava il brigante Pasquale Domenico Romano, sergente borbonico, arruolò contadini ed ex soldati, della sua banda facevano parte anche un toscano e due piemontesi; Romano aveva un regolamento ed era appoggiato dai comitati borbonici di Roma e Parigi, voleva congiungersi alle forze di Crocco, nel 1863 fu finito a sciabolate dai piemontesi.Il brigante Cosimo Giordano operò tra Matese e il Sannio e nel 1888 morì al carcere di Favignana, a Napoli la banda dei fratelli La Gala rapì il direttore del Banco di Napoli e n’ottenne un riscatto; tra le bande non mancavano le donne, i nemici dei briganti erano i piemontesi e i galantuomini, cioè i borghesi liberali.Per risolvere il problema del brigantaggio, nel luglio 1861 il comando delle operazioni passò al generale Cialdini, appoggiato da volontari guidati dai proprietari terrieri, spesso protettori di mafiosi e camorristi, e dalla legione ungherese; dal 1861 al 1863 il governo impiegò circa 100.000 uomini in questa guerra civile, a Teramo chi ospitava briganti era fucilato e chi non collaborava con i piemontesi, cioè non denunciava i briganti, aveva la casa saccheggiata e bruciata.Si voleva creare il deserto attorno alle bande, furono poste taglie suoi briganti, chi riforniva di viveri i briganti, era fucilato. Furono distrutte case e paesi, non si risparmiarono vecchi, donne e bambini, dall’estate del 1861 i piemontesi saccheggiarono e incendiarono sedici paesi. I galantuomini meridionali si nascondevano dietro i piemontesi, la repressione avveniva con il consenso dei notabili locali.Però quando ci fu la crisi dell’Aspromonte del 1862, in cui Garibaldi, che voleva prendere Roma, fu ferito dai piemontesi, timorosi delle reazioni francesi, il generale La Marmora proclamò lo stato d’assedio nel mezzogiorno anche contro i garibaldini; con il sollievo dei latifondisti che non li vedevano sempre di buon occhio; ora il nemico sembrava anche Garibaldi.Lo statuto albertino del 1848 era stato calpestato, le fucilazioni erano sommarie e la libertà di stampa era limitata, tra il giugno 1861 e il dicembre 1863 perirono migliaia di briganti e altrettanti furono gli arrestati; le bande di briganti controllavano le vie di comunicazione in Irpinia, Benevento, Salerno, Abruzzo, Molise e Lucania, le fucilazioni avvenivano, senza processo, violando il codice penale e lo statuto. Poi intervenne a loro favore l’amnistia, concessa soprattutto per aiutare Garibaldi.Nemmeno i briganti scherzavano, requisivano, ricattavano, uccidevano, ce l’avevano con galantuomini, piemontesi e garibaldini; i deputati meridionali chiesero una commissione d’inchiesta sul brigantaggio ed intanto, per tranquillizzare i Savoia, condannavano il governo borbonico. Nel Molise, una banda era diretta da Cosimo Giordano, ex caporale borbonico, uccise liberali e spie piemontesi; alcuni militari piemontesi furono massacrati da donne con le pietre.Allora nessuno affrontò la questione sociale meridionale, i generali piemontesi, che si alternarono al comando delle operazioni, come Cialdini, La Marmora e Pallavicini, dirigevano prefetti, sindaci e giudici. Mentre al nord era applicato lo statuto, al sud vigeva una legislazione speciale di guerra.La commissione parlamentare si spostò al sud e non sentì i contadini, l’idea fissa era che i briganti erano aizzati dai borbonici, il materiale della commissione fu raccolto il 23.7.1863; questo brigantaggio era alimentato dalla miseria e dalle tasse, perciò la commissione propose strade, ferrovie, istruzione e terre ai contadini; chiese la fine della fucilazione e benefici ai briganti pentiti.Invece il 15.8.1863 fu introdotta la legge Pica, con il reato di brigantaggio, furono applicati strumenti repressivi su 12.000 persone; tra il 1860 e il 1870 caddero circa 45.000 uomini, più che nelle guerre risorgimentali; anche delle donne furono briganti, il cadavere di Michelina De Cesare fu denudato e mostrato a tutti.I militari preparavano i briganti, vivi o morti, per i fotografi, bisognava rappresentare i briganti come rozzi, arretrati, ignoranti, violenti, brutti, crudeli ed incivili. Il generale Pallavicini vinse la guerra al brigantaggio con tutti i mezzi, anche con la propaganda.I corpi dei briganti morti erano fotografati con la lingua penzoloni e lo sguardo sbarrato, un trofeo come gli animali cacciati, alcuni di loro avevano segni di sevizie; le foto delle donne dei briganti ottennero molto successo nelle botteghe dei fotografi, erano state seviziate, denudate, percosse, abusate, poste con i seni scoperti. Il brigante Domenico Straface fu ucciso, decapitato e la sua testa fu messa sotto spirito; si consegnavano le teste per la taglia, la lotta era dura perché le bande godevano di consenso popolare.Alcuni studiosi parlarono di tare ereditarie dei briganti, Cesare Lombroso considerava i meridionali una razza inferiore, perciò i suoi seguaci misuravano i crani dei briganti; Lombroso arrivò in Italia meridionale ed individuò le cause fisiologiche delle devianze dei briganti meridionali, teorizzò il tipo antropologico del brigante; i briganti erano diventati casi clinici e razza inferiore.I tribunali militari, che dovevano giudicare i briganti, arrivarono a dodici, però molti briganti erano fucilati nel luogo di cattura, nonostante lo Statuto; il Piemonte proclamò dieci volte lo stato d’assedio, con uso di fucili e cannoni, nel 1849 a Genova, nel 1852 in Sardegna, nel 1862 in Aspromonte, nel 1866 e nel 1894 in Sicilia, nel 1898 a Napoli, Milano, Firenze e Livorno.
Fregarono pure i garibaldini......
Anche i garibaldini chiedevano assistenza ai piemontesi, alcuni di loro protestarono e furono uccisi dalla polizia, altri passarono ai briganti; a Roma e Marsiglia erano nati comitati borbonici, diretti da ufficiali borbonici anche stranieri, che dirigevano il brigantaggio a mezzo d’ufficiali loro emissari; queste bande arrivarono al numero di 250, alimentavano una guerra civile e sembravano imprendibili, dall’estero arrivarono anche nobili per combattere per i borboni.In Lucania il capobrigante Carmine Crocco riunì 1.000 uomini, era stato disertore borbonico, garibaldino e poi brigante, i suoi uomini erano in gran parte ex soldati borbonici, innalzava la bandiera delle due Sicilie e inneggiava a re Francesco II; era un guerrigliero che sfuggiva allo scontro aperto, era sostenuto dal clero e da parte della nobiltà locale fedele ai Borboni. Crocco fu tradito da un suo uomo, Giuseppe Caruso, che lo vendette ai piemontese.I piemontesi, alla ricerca di briganti, distrussero l’abbazia di San Bernardo, erano visti come conquistatori, alcuni loro ufficiali parlavano francese e si servivano d’interpreti. Alla frontiera pontificia operava la banda di Luigi Alonzi, detto Chiavone, sergente dell’esercito borbonico, che aveva un’organizzazione militare e tanti stranieri, in tutto 430 uomini, con ufficiali e cannoni; gli ambienti legittimisti europei erano con i borboni, tanti nobili stranieri combatterono come ufficiali per i borboni e furono fucilati dai piemontesi.A Marsiglia il comitato borbonico era diretto dal generale Clary e tanti francesi si arruolarono nel partito borbonico, così a Barcellona ed a Roma. In Basilicata e Puglia operava il brigante Pasquale Domenico Romano, sergente borbonico, arruolò contadini ed ex soldati, della sua banda facevano parte anche un toscano e due piemontesi; Romano aveva un regolamento ed era appoggiato dai comitati borbonici di Roma e Parigi, voleva congiungersi alle forze di Crocco, nel 1863 fu finito a sciabolate dai piemontesi.Il brigante Cosimo Giordano operò tra Matese e il Sannio e nel 1888 morì al carcere di Favignana, a Napoli la banda dei fratelli La Gala rapì il direttore del Banco di Napoli e n’ottenne un riscatto; tra le bande non mancavano le donne, i nemici dei briganti erano i piemontesi e i galantuomini, cioè i borghesi liberali.Per risolvere il problema del brigantaggio, nel luglio 1861 il comando delle operazioni passò al generale Cialdini, appoggiato da volontari guidati dai proprietari terrieri, spesso protettori di mafiosi e camorristi, e dalla legione ungherese; dal 1861 al 1863 il governo impiegò circa 100.000 uomini in questa guerra civile, a Teramo chi ospitava briganti era fucilato e chi non collaborava con i piemontesi, cioè non denunciava i briganti, aveva la casa saccheggiata e bruciata.Si voleva creare il deserto attorno alle bande, furono poste taglie suoi briganti, chi riforniva di viveri i briganti, era fucilato. Furono distrutte case e paesi, non si risparmiarono vecchi, donne e bambini, dall’estate del 1861 i piemontesi saccheggiarono e incendiarono sedici paesi. I galantuomini meridionali si nascondevano dietro i piemontesi, la repressione avveniva con il consenso dei notabili locali.Però quando ci fu la crisi dell’Aspromonte del 1862, in cui Garibaldi, che voleva prendere Roma, fu ferito dai piemontesi, timorosi delle reazioni francesi, il generale La Marmora proclamò lo stato d’assedio nel mezzogiorno anche contro i garibaldini; con il sollievo dei latifondisti che non li vedevano sempre di buon occhio; ora il nemico sembrava anche Garibaldi.Lo statuto albertino del 1848 era stato calpestato, le fucilazioni erano sommarie e la libertà di stampa era limitata, tra il giugno 1861 e il dicembre 1863 perirono migliaia di briganti e altrettanti furono gli arrestati; le bande di briganti controllavano le vie di comunicazione in Irpinia, Benevento, Salerno, Abruzzo, Molise e Lucania, le fucilazioni avvenivano, senza processo, violando il codice penale e lo statuto. Poi intervenne a loro favore l’amnistia, concessa soprattutto per aiutare Garibaldi.Nemmeno i briganti scherzavano, requisivano, ricattavano, uccidevano, ce l’avevano con galantuomini, piemontesi e garibaldini; i deputati meridionali chiesero una commissione d’inchiesta sul brigantaggio ed intanto, per tranquillizzare i Savoia, condannavano il governo borbonico. Nel Molise, una banda era diretta da Cosimo Giordano, ex caporale borbonico, uccise liberali e spie piemontesi; alcuni militari piemontesi furono massacrati da donne con le pietre.Allora nessuno affrontò la questione sociale meridionale, i generali piemontesi, che si alternarono al comando delle operazioni, come Cialdini, La Marmora e Pallavicini, dirigevano prefetti, sindaci e giudici. Mentre al nord era applicato lo statuto, al sud vigeva una legislazione speciale di guerra.La commissione parlamentare si spostò al sud e non sentì i contadini, l’idea fissa era che i briganti erano aizzati dai borbonici, il materiale della commissione fu raccolto il 23.7.1863; questo brigantaggio era alimentato dalla miseria e dalle tasse, perciò la commissione propose strade, ferrovie, istruzione e terre ai contadini; chiese la fine della fucilazione e benefici ai briganti pentiti.Invece il 15.8.1863 fu introdotta la legge Pica, con il reato di brigantaggio, furono applicati strumenti repressivi su 12.000 persone; tra il 1860 e il 1870 caddero circa 45.000 uomini, più che nelle guerre risorgimentali; anche delle donne furono briganti, il cadavere di Michelina De Cesare fu denudato e mostrato a tutti.I militari preparavano i briganti, vivi o morti, per i fotografi, bisognava rappresentare i briganti come rozzi, arretrati, ignoranti, violenti, brutti, crudeli ed incivili. Il generale Pallavicini vinse la guerra al brigantaggio con tutti i mezzi, anche con la propaganda.I corpi dei briganti morti erano fotografati con la lingua penzoloni e lo sguardo sbarrato, un trofeo come gli animali cacciati, alcuni di loro avevano segni di sevizie; le foto delle donne dei briganti ottennero molto successo nelle botteghe dei fotografi, erano state seviziate, denudate, percosse, abusate, poste con i seni scoperti. Il brigante Domenico Straface fu ucciso, decapitato e la sua testa fu messa sotto spirito; si consegnavano le teste per la taglia, la lotta era dura perché le bande godevano di consenso popolare.Alcuni studiosi parlarono di tare ereditarie dei briganti, Cesare Lombroso considerava i meridionali una razza inferiore, perciò i suoi seguaci misuravano i crani dei briganti; Lombroso arrivò in Italia meridionale ed individuò le cause fisiologiche delle devianze dei briganti meridionali, teorizzò il tipo antropologico del brigante; i briganti erano diventati casi clinici e razza inferiore.I tribunali militari, che dovevano giudicare i briganti, arrivarono a dodici, però molti briganti erano fucilati nel luogo di cattura, nonostante lo Statuto; il Piemonte proclamò dieci volte lo stato d’assedio, con uso di fucili e cannoni, nel 1849 a Genova, nel 1852 in Sardegna, nel 1862 in Aspromonte, nel 1866 e nel 1894 in Sicilia, nel 1898 a Napoli, Milano, Firenze e Livorno.