Un popolo distrutto

Gaetano Manzo di Acerno


Una delle più interessanti figure di briganti è quella di Manzo, nativo di Acerno, in provincia di Salerno. Le sue gesta e quelle dei suoi uomini fecero epoca. I monti picentini sono stati sempre importanti per le gesta di briganti meridionali.  In particolare tramite le Croci di Acerno (843 m.) si ponevano in contatto l’alta valle del Calore con quella del Tusciano. Nell’Ottocento post-unitario le bande agguerrite furono tante, ma fra queste spiccò quella di Gaetano Manzo. Manzo era acernese e nel 1861 venne inserito fraudolentemente tra gli estratti per la leva, pare ad opera del sindaco d’allora, per cui ritenne di darsi alla macchia, seguito dal fratello Francesco e da pochi altri renitenti alla leva. Per circa tre anni il gruppo di Manzo si aggregò a quello del brigante Ciardullo, poi Manzo decise di formare la sua banda personale pur conservando buoni rapporti con Ciardullo, con cui a volte svolse azioni in comune. Ma nel 1865 la banda Ciardullo venne completamente sgominata, sorte già capitata alla banda Cerino, nel ‘64, pur forte di diciotto elementi. Alla fine del ‘63, quando ancora era sotto l’egida di Ciardullo, Manzo con una quindicina di briganti, nella strada fra Acerno e Campagna, tese un agguato al delegato straordinario del Municipio di Acerno Vincenzo Bottiglieri, che si salvò, ma morirono quattro guardie della sua scorta e il fratello di Manzo. Ma la prima grande impresa di Manzo fu il clamoroso sequestro avvenuto nel ‘65 presso Battipaglia, dei turisti inglesi Moens e Murray-Ansley, di ritorno a Salerno dopo una gita a Paestum e per il cui riscatto Manzò incassò ben trentamila ducati. Successivamente Manzo sequestrò persino il giovane Federico Wenner, della nota famiglia di industriali svizzeri proprietari di importanti manifatture cotoniere presso la zona di Fratte, oltre al suo precettore, che tenne sequestrati per oltre quattro mesi. Ma le trattative vennero condotte con i briganti addirittura dall’onorevole Mattia Farina che, avvalendosi di un grande dispiego di uomini, riuscì a convincere Manzo a consegnarsi alle autorità. Nel ‘68 la Corte d’Assise di Salerno lo condannò ai lavori forzati, ma qualche anno dopo Manzo con altri sei compagni riuscirà ad evadere dal carcere di Chieti, ricostituendo una terribile banda fra cui predominavano i montellesi, come ci ricorda ottimamente Romano Nicolai in un suo bel lavoro sul brigantaggio post-unitario in Irpiania e nel salernitano. “Su di lui venne posta l’enorme taglia di diecimila lire, ma sui suoi monti il capobanda era praticamente imprendibile. Bisognava quindi attirarlo su un terreno diverso”. Si mostrò propizia l’occasione di un tentativo di sequestro che Manzo voleva effettuare nella zona di Mirabella alle spese di un deputato, il ricco barone Grella di Sturno. Il manutengolo locale che aveva proposto il piano, vendette Manzo alle forze dell’ordine, tant’è che i briganti, il 20 agosto 1873, vennero sorpresi in una masseria isolata tra Flumeri e Sturno, da un centinaio tra soldati e carabinieri. Nel conflitto a fuoco anche Manzo morì e venne definitivamente distrutta la sua terribile banda, una delle ultime sopravvissute alla grande stagione del brigantaggio post-unitario.