Un popolo distrutto

L’Italia unita e la condanna del sud


Nel 2011 l’Italia unita compirà centocinquant’anni e si prevedono grandi celebrazioni. Già da alcuni mesi tv e giornali — soprattutto “La Stampa” e “Il corriere della sera” — stanno dando molto rilievo a questo evento e non c’è da stupirsene, visto che il Risorgimento rappresenta, da destra a sinistra, il mito unificante della borghesia italiana. E oggi, forse, ancor più di ieri, se si considera che al governo c’è anche un partito — la Lega — che fino a poco tempo fa avrebbe voluto pulirsi il culo con il tricolore e inneggiava apertamente alla secessione. Ma adesso è il momento della responsabilità, di rassicurare gli alleati e di trarre tutti i vantaggi possibili dalle poltrone di “Roma ladrona”, a cominciare dal federalismo fiscale che trova un ampio sostegno in tutti gli schieramenti. Ciò non toglie che un domani, se dovesse servire ai giochi del teatrino politico, Bossi o chi per lui potrebbe ritirare fuori le camicie verdi e la Padania nazione.Ma la Lega, la sua avanzata e i principi nazistoidi che proclama sono un’altra storia, anche se di sfuggita non possiamo fare a meno di notare quanto sia paradossale — e al contempo degno di questo mondo alla rovescia — il fatto che si sviluppi un movimento secessionista proprio nella parte del paese che dall’Unità ha tratto maggiori vantaggi… ma, si sa, l’amor di patria segue la pagnotta, altro che “nazione eterna” e roba del genere, buona solo per benedire i massacri nelle trincee.La domanda a cui invece vogliamo cercare di rispondere in questo articolo è: perché il Sud Italia è così allo sbando? Perché, in tutti questi centocinquant’anni, è sempre stata terra di miseria, emigrazione e criminalità organizzata?Inoltre, il divario fra Sud e Nord continua ad aumentare senza sosta. Nel 2008 il tasso di occupazione del Mezzogiorno (46,1%) risulta molto più basso di quello del Centro (62,8%) e del Nord (66,9%), e ancora più diseguale è il dato sull’occupazione femminile, pari al 31,3%, a fronte di un 52,7% al Centro e un 57,5% al Nord, mentre i giovani registrano un tasso di occupazione pari al 17% (30% al Centro Nord) e un tasso di disoccupazione del 34% (15% nel resto dell’Italia). I lavoro nero impegna il 19,2% degli occupati (9,1% nel resto del Paese) (1).Come ci dice il rapporto Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) del 2009, è unasituazione al limite del collasso, che non lascia spazio a sogni e speranze, costringendo ogni anno migliaia di persone a emigrare. I treni della speranza continuano a partire dal Sud: «Tra il 1997 e il 2008 — si legge nel rapporto — circa 700mila persone hanno abbandonato la propria terra. Nel solo 2008 sono stati oltre 122mila i residenti delle regioni del Sud partiti verso il Centro-nord, a fronte di un rientro di circa 60mila persone. La maggior parte proviene dalla Campania (25mila persone) ma anche dalla Puglia (12.200) e dalla Sicilia (11.600). Sono per lo più giovani con un livello di studio medio-alto, il 24% è laureato». Molti rimangono pendolari (173mila), residenti cioè nel Mezzogiorno ma con un posto di lavoro altrove. Rientrano a casa solo nel weekend o un paio di volte al mese. Sono “cittadini a termine”, con la necessità di partire e la speranza di tornare (2).Insomma, come si è arrivati a questo divario che, a centocinquant’anni dall’Unità, costringe ancora schiere e schiere di giovani, proletari e non, ad abbandonare la propria terra che, sul piano del lavoro e della vivibilità, ha sempre meno da offrire?Bisogna andare indietro. La questione meridionale nasce proprio con l’Unità d’Italia. Ovviamente questo è un dato che la storia ufficiale rifiuta, anzi, secondo il mito risorgimentale Garibaldi e re Vittorio Emanuele sono stati coloro che hanno salvato il meridione dall’arretratezza e dall’oppressione borbonica. E quindi come mai il Sud è ridotto in queste condizioni? Com’è che i meridionali sono rimasti dei “terroni”? Sono inferiori e briganti di natura, diceva Cesare Lombroso, lo psichiatra inviato a studiare questa razza selvaggia. No, è che hanno un quoziente intellettivo più basso dei settentrionali, ci dice invece uno psicologo irlandese contemporaneo (3).Se si ha una visione razzista della storia, il gioco è fatto. Altrimenti bisogna iniziare a sfatare qualche intoccabile mito bipartisan, come quello da cui prendono il nome tante vie e tante piazze delle nostre città.*(1) Dati tratti dal sito centrostudifolder.it .                                                                   *(2) Giuliano Rosciarelli, da terranews.it .                                                                       *(3) Secondo Richard Lynn, docente emerito di psicologia all’università dell’Ulster, i meridionali sarebbero meno intelligenti dei settentrionali a causa della mescolanza genetica con popolazioni del Medio Oriente e del nord Africa, oltre al fatto che nel sud Italia la qualità del cibo è più scadente, si studia meno, ci si prende meno cura dei figli. Un genetista del III Reich non avrebbe saputo parlare meglio.
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