BRIGANTI MIGRANTI

LETTERA DI UN TESTIMONE DI GIUSTIZIA CALABRESE


      Gaetano Saffioti è un imprenditore calabrese testimone di giustizia. Grazie alle sue denunce, otto anni fa, sono state arrestate 47 persone e confiscati beni per oltre 20 milioni di euro. Da allora, lui e la sua famiglia, vivono sotto scorta, nella solitudine dell’incertezza.      Questa lettera, scritta da Gaetano al Centro Servizio di Protezione dei Testimoni di Giustizia e poi girata a tutte le segreterie politiche, contiene uno straordinario messaggio di lotta, resistenza e proposta. Un messaggio che la Carovana dei Briganti Migranti vuole divulgare e far conoscere quanto più possibile…  SAFFIOTI GAETANOc.da San Filippo Ss 1889015 Palmi (RC).  Al Servizio Centrale ProtezioneTestimoni di GiustiziaROMA      Ad ogni problema c’è una soluzione. Ed analizzando le cause che costituiscono il problema si può arrivare a risolverlo.     Perché non si denuncia il fenomeno ‘ndrangheta?Nel marzo del 2001, accompagnato dall’allora capitano Raimondi ebbi un incontro con il dott. Pennisi della Dda Reggina. In quell’occasione esternai e illustrai allo stesso in che modo era cresciuta un’impresa nata dal nulla un quarto di secolo prima e di come mi sentivo orgoglioso e fiero di creare occupazione in una terra difficile e martoriata. Ma raccontai anche di personaggi dai quali subivo continue vessazioni, del contesto in cui un imprenditore si ritrova a sottostare per poter lavorare e delle evoluzioni, delle strategie adottate oggi dal sistema ‘ndranghetista. Sempre in quell’incontro, feci presente che la sofferta ma decisa e voluta scelta di denunciare, avrebbe portato alla sicura fine dell’attività lavorativa e della persona. Ne ero consapevole, questo era il carissimo prezzo da pagare. Ma ben volentieri, se lo scopo non fosse solo quello di mandare in galera 47 persone e di permettere il sequestro di beni per oltre 20 milioni di euro. Bensì quello di dare un segnale di svolta nella cultura del popolo calabrese, quello di dare valore alla propria dignità.      Chiesi esplicitamente ed ottenni, alternativamente al trasferimento in località protetta lontano dai confini calabresi, di rimanere nel luogo di origine. Perché questa guerra, non da me voluta, si deve combattere fino in fondo e in prima linea. Ognuno deve portare il proprio contributo. Andare fuori, fare come lo struzzo, credendo di aver finito il mio compito e di aver eliminato i problemi, significava, non solo la resa e il riconoscimento della forza superiore sul territorio da parte della ‘ndrangheta rispetto allo Stato, ma anche una sorta di codardia e abbandono di quella parte della società che vuole e desidera ardentemente intravedere una luce in fondo al tunnel.      Negli anni successivi agli arresti, come previsto, ho avuto un crollo dell’attività lavorativa e non solo. Ho cercato e dato tutto me stesso per mantenere la mia impresa in Calabria: presentando offerte, partecipando a gare, offrendo le mie prestazioni e/o forniture provocatoriamente anche a titolo gratuito. Il tutto per garantire in un qualsiasi cantiere, la presenza di un’impresa “controcorrente”. Tutto inutile, solo qualche piccola fornitura presso privati.      È una sconfitta. Ma non demordo: ultimamente ho visto qualche timido segno di risveglio e presa di coscienza del popolo calabrese e non solo. Nonostante anche le imprese del Nord ed estere siano succubi e compiacenti allo stesso tempo, riconoscendo di fatto lo “Stato ‘ndrangheta” come titolare del territorio. Non una paura bensì una convenienza economica, velata da sudditanza.      Io non voglio destare compassione e non chiedo nessuna forma di assistenzialismo, che configuro di più in un’offesa e lesiva della dignità che in quella volta a lenire il disagio. D’altronde quale somma di denaro potrebbe mai restituire la libertà e la serenità? E soprattutto nessuna somma di denaro consentirebbe mai comunque di poter lavorare, di inserirsi. Perché è inutile aver il migliore impianto, le migliori attrezzature, le grandi capacità ecc. se nessuno gradisce la tua presenza.       Ho dimostrato però, che rimboccandosi le maniche si può andare avanti. Anche se con un po’ di amarezza, devo confessare che ho dovuto varcare i confini dell’Italia, affinché non andasse tutto in malora. Ma quante altre persone e imprenditori sarebbero disposti a farlo?    E mi domando, visto le resistenze in loco, possibile che non ci sia un sistema che possa in qualche modo invogliare i cittadini e le imprese ad un cambio di direzione?    Credo, senza presunzione, di aver mosso un primo passo in questa direzione. Non solo in rappresentanza della mia persona, ma del popolo imprenditoriale calabrese. Ora tocca allo Stato far sentire il suo peso, per poter quanto meno contrastare, non dico sconfiggere, la ‘ndrangheta: vivida piaga, padrona incontrastata del territorio, delle persone che ci vivono e lavorano, delle attività commerciali e imprenditoriali. Non bastano le denunce, gli arresti, le condanne, il sequestro di beni: storicamente è stata dimostrata la grande facilità di rigenerazione e ricomponimento di capitali. Bisogna fare di più. Anche per chi crede nei principi morali della vita piuttosto che al denaro facile.     Mi chiedo che valore abbia la Costituzione italiana nei principi fondamentali tanto decantati e specificatamente contenuti negli artt. 3 e 4.     La legge n° 68 del 12 marzo 1999 prevede l’obbligo, da parte di imprese private e pubbliche, di riservare un posto di lavoro a chi è portatore di handicap ogni 15 dipendenti assunti.     Tenendo conto che opponendosi al sistema mafioso si acquisisce un “handicap ambientale” in termini di accettazione di un imprenditore e della sua impresa, mi chiedo se alla stregua del lavoratore disabile non sia possibile, quantomeno nei lavori pubblici, creare una corsia preferenziale di accesso, anzi equiparativa, per eliminare questo devastante gap.     Questa forma, consentirebbe ad un imprenditore di non dover lasciare il luogo di origine per mancanza di lavoro e a garantire a se stesso e alla propria famiglia un’esistenza dignitosa. Inoltre, provocherebbe un danno alla ‘ndrangheta in quanto, almeno in parte, non potrebbe allungare le mani direttamente e/o tramite un’altra impresa compiacente, sui lavori concessi agli imprenditori che si sono opposti e hanno denunciato.     Parallelamente, le grandi imprese avrebbero una “giustificazione” nei confronti della ‘ndrangheta circa la presenza non gradita  di questi imprenditori.     Lo Stato darebbe così un segnale forte, importante alla società, riprendendosi il ruolo che gli compete e acquisendo di fatto fiducia nei cittadini.     Tutto ciò non costerebbe niente a nessuno, tranne alla ‘ndrangheta. Ci sarebbe invece la certezza di lavori fatti a perfetta regola d’arte, nella piena legalità e a tutela dei lavoratori.  Da qui umilmente uno spunto non so se degno di approfondimento, per il quale sin da ora c’è la più ampia disponibilità.  Palmi 20 agosto 2008.   Con Osservanza f.to Gaetano Saffioti