RICOMINCIO DA TRE

O greggia mia beata...


"Canto notturno di un pastore errante dell'Asia"Composto a Recanati fra il 22 ottobre 1829 ed il 9 aprile 1830, il canto fu pubblicato nell'edizione del 1831. Probabilmente il Poeta trovò ispirazione da una frase tratta dal "Journal des Savants", che riguardava le abitudini di questi pastori: "Plusieurs d'entre eux passent la nuit assis sur une pierre à regarder la lune, et à improviser des paroles assez tristes sur des airs qui ne le sont pas moins". Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,silenziosa luna?Sorgi la sera, e vai,contemplando i deserti; indi ti posi.Ancor non sei tu pagadi riandare i sempiterni calli?Ancor non prendi a schivo, ancor sei vagadi mirar queste valli?Somiglia alla tua vitala vita del pastore.Sorge in sul primo alboremove la greggia oltre pel campo, e vedegreggi, fontane ed erbe;poi stanco si riposa in su la sera:altro mai non ispera.Dimmi, o luna: a che valeal pastor la sua vita,la vostra vita a voi? dimmi: ove tendequesto vagar mio breve,il tuo corso immortale? Vecchierel bianco, infermo,mezzo vestito e scalzo,con gravissimo fascio in su le spalle,per montagna e per valle,per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,al vento, alla tempesta, e quando avvampal'ora, e quando poi gela,corre via, corre, anela,varca torrenti e stagni,cade, risorge, e piú e piú s'affretta,senza posa o ristoro,lacero, sanguinoso; infin ch'arrivacolà dove la viae dove il tanto affaticar fu vòlto:abisso orrido, immenso,ov'ei precipitando, il tutto obblia.Vergine luna, taleè la vita mortale.Nasce l'uomo a fatica,ed è rischio di morte il nascimento.Prova pena e tormentoper prima cosa; e in sul principio stessola madre e il genitoreil prende a consolar dell'esser nato.Poi che crescendo viene,l'uno e l'altro il sostiene, e via pur semprecon atti e con parolestudiasi fargli core,e consolarlo dell'umano stato:altro ufficio piú gratonon si fa da parenti alla lor prole.Ma perché dare al sole,perché reggere in vitachi poi di quella consolar convenga?Se la vita è sventura,perché da noi si dura?Intatta luna, taleè lo stato mortale.Ma tu mortal non sei,e forse del mio dir poco ti calePur tu, solinga, eterna peregrina,che sí pensosa sei, tu forse intendi,questo viver terreno,il patir nostro, il sospirar, che sia;che sia questo morir, questo supremoscolorar del sembiante,e perir dalla terra, e venir menoad ogni usata, amante compagnia.E tu certo comprendiil perché delle cose, e vedi il fruttodel mattin, della sera,del tacito, infinito andar del tempo.Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amorerida la primavera,a chi giovi l'ardore, e che procacciil verno co' suoi ghiacci.Mille cose sai tu, mille discopri,che son celate al semplice pastore.spesso quand'io ti mirostar cosí muta in sul deserto piano,che, in suo giro lontano, al ciel confina;ovver con la mia greggiaseguirmi viaggiando a mano a mano;e quando miro in cielo arder le stelle;dico fra me pensando:a che tante facelle?che fa l'aria infinita, e quel profondoinfinito seren? che vuol dir questasolitudine immensa? ed io che sono?Cosí meco ragiono: e della stanzasmisurata e superba,e dell'innumerabile famiglia;poi di tanto adoprar, di tanti motid'ogni celeste, ogni terrena cosa,girando senza posa,per tornar sempre là donde son mosse;uso alcuno, alcun fruttoindovinar non so. Ma tu per certo,giovinetta immortal, conosci il tutto.Questo io conosco e sento,che degli eterni giri,che dell'esser mio frale,qualche bene o contentoavrà fors'altri; a me la vita è maleO greggia mia che posi, oh te beata,che la miseria tua, credo, non sai!Quanta invidia ti porto!Non sol perché d'affannoquasi libera vai;ch'ogni stento, ogni danno,ogni estremo timor subito scordi;ma piú perché giammai tedio non provi.Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,tu se' queta e contenta;e gran parte dell'annosenza noia consumi in quello stato.Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,e un fastidio m'ingombrala mente, ed uno spron quasi mi pungesí che, sedendo, piú che mai son lungeda trovar pace o loco.E pur nulla non bramo,e non ho fino a qui cagion di pianto.Quel che tu goda o quanto,non so già dir; ma fortunata sei.Ed io godo ancor poco,o greggia mia, né di ciò sol mi lagno.se tu parlar sapessi, io chiederei:- Dimmi: perché giacendoa bell'agio, ozioso,s'appaga ogni animale;me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale? - Forse s'avess'io l'aleda volar su le nubi,e noverar le stelle ad una ad una,o come il tuono errar di giogo in giogo,piú felice sarei, dolce mia greggia,piú felice sarei, candida luna.O forse erra dal vero,mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:forse in qual forma, in qualestato che sia, dentro covile o cuna,è funesto a chi nasce il dí natale.