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Post N° 5

Post n°5 pubblicato il 22 Maggio 2008 da osservpubblammin

LETTERA ALLE ISTITUZIONI

Dall’Osservatorio sulla Pubblica Amministrazione

Parte prima

Care Istituzioni, siete diventate come un bell’abito che in gioventù ci attirò gli sguardi addosso e nel quale ci pavoneggiammo, ma che oggi, tirandolo fuori dall’armadio, guardiamo con un misto di rimpianto per la freschezza perduta e un amaro dispetto verso quel po’ di ingordigia, che avendoci fatto ingrassare, non ci permette più neanche di indossarlo, almeno per vedere se siamo e quanto siamo cambiati.

A nulla vale appoggiarcelo addosso, lo specchio ci rimanda un’immagine patetica – facciamo spallucce e ci rituffiamo nei nostri informi abiti moderni.

Gli uomini se sono entità irripetibili nel susseguirsi delle generazioni portano variazioni, a volte significative, nelle aspettative sociali.

Ma chi deve rispondere a queste aspettative? Le Istituzioni.

Perciò vi scrivo perché potete essere chiamate a ruoli antichi o moderni, ma  in ogni caso dovrete rispondere dell’operato dei vostri uomini istituzionali alla società, in quanto voi siete della società amministrativa e politica, e non viceversa.

Se avete rami secchi o mele marce dovete accettare la potatura, senza scandalizzarvi; fa scandalo l’errore coperto per non perdere la fiducia dei cittadini. Ma come possono questi concimare alberi e piante che sono nel giardino sociale pericolose anche ai ceppi vegetali meno attaccabili dalla corruzione di muffe e ritardi di produzione?

Tutto ha un suo ritmo produttivo al mondo, sia il regno animale, che quello vegetale, ma anche quello minerale.

E’ possibile  che  ci sia chi rassicuri che non ci sia un grave rischio nel lasciare che le Istituzioni e i suoi uomini non interessino più a nessuno?

Pensiamo forse che né i bravi cittadini ingrassati, né il contadini indifferente,né il terziario del mondo

mediatico e tecnologico-informatico, che nel silenzio lasciano correre … tanto il mondo va così, invece non possano essere tentati da vie alternative per risolvere i problemi, che sorgono dal vivere in una società dove le Istituzioni non si servono delle leggi degli uomini e dello Stato – che rappresentano  il frutto del patto sociale-, ma sono a distanze siderali dalle vecchie finalità per cui erano state  istituite?

Forse in questo modo ogni cittadino non si sente un individuo sociale, oppure ne ha l’estrema coscienza e non vuole diventare martire bianco di entità politico-amministrative, che si impone  con la concreta e riuscita presunzione di sottomettere tutto il sociale al proprio  dominio, per la fetta di potere che gli spetta, della torta – dei diritti- doveri  sociali, che invece le Istituzioni dovrebbero  far osservare  le leggi per il bene e l’ordine individuale e generale.

Il cittadino  non si aspetta più l’utopistica “città del sole” , forse non ha mai creduto che si potesse realizzare, ma a dispetto  delle frontiere internazionali abbattute per vincere i propri  limiti economici, di potestà, di circolazione  di merci e uomini, il vero limite alla  “realizzazione” è diventato l’abito ingessato delle Istituzioni e inutilmente ci si guarda allo specchio con il nobile abitino che ci lasciò ammirare, nobile nella fresca illusione di piacere a noi stessi e ad altri, e con il consenso di coloro che preparavano la nostra primavera, che si sarebbe aperta  all’età matura , nella quale democraticamente  avremmo  saputo pensare  ad organizzarci la vita, pensando a noi stessi senza trascurare gli altri.

Invece il corpo è stretto in quel vestitino, che tanto ci fece immaginare il futuro.

Non siamo capaci di aggiustarcelo addosso, ora che siamo cambiati.

Anche le Istituzioni sono rigide  e in più per non sembrare ormai inutili a garantire la democrazia, - già quella che permette  a ciascuno di avere nell’armadio un abito che gli ricorda tempi migliori o quello che credeva tali,- irrora di naftalina le care vecchie cose del tempo che fu, ad esempio civiltà delle Istituzioni, dovere di essere un cittadino che serve le Istituzioni e che non se ne serve, modificatore occulto dei principi ispiratori delle Istituzioni  con circolari su circolari, che  modificano l’assetto stesso delle leggi e il loro spirito,che in  Parlamento i rappresentanti del Popolo sovrano hanno discusso votato e infine promulgato.

Al grido di Circolare-Circolare il cittadino sbatte nell’armadio il vecchio abito e non ci pensa più al suo diritto di rimirarsi nel bel vecchio indumento.

Ma se per caso si ribella, deve combattere con l’alta sartoria, dove nel tribunale delle soluzioni  eclettiche, un piccolo ritocco all’orlo acquisterà la consistenza di una perdita patrimoniale quanto mezzo appartamento, magari ancora gravato dal mutuo.

Le sartine ormai come le mezze stagioni non ci sono più.

La Confindustria riconosce i bisogni sociali dei popolo  assai meglio del sindacato dei lavoratori, i cui uomini evidentemente in gessato blu , attaccati al posto fisso ,invece  di svolgere il ruolo di veri operatori di mediazione sociale  discutono la verità legislativa sul blog, ma di fatto  nessuno ti affianca per la sua affermazione e i tribunali scoppiano per le troppe cause di lavoro.

Evidentemente qualcuno ha abdicato al suo ruolo, se il falso è spacciato per vero perfino in presenza di prove documentali prodotte dalla  Pubblica Amministrazione e che la pubblica amministrazione  non riconosce e la Magistratura  non dedica a  questioni come queste neanche la più semplice  delle analisi di merito. I documenti stessi prodotti dalla Pubblica Amministrazione sono inefficaci allo scopo di far emergere  verità lampanti,sembra  che oltre al falso in bilancio sia stato depenalizzato il falso in genere, anche se la falsità è costato il lavoro ad un innocente  e ha prodotto un’offesa morale.

Alla fine povero illuso, hai speso un patrimonio, se non è archiviata, la sentenza è ambigua , appellabile, forse hai accorciato il vestito, ma quanta acqua è passata sotto i ponti, ti ha intirizzito con i piedi a mollo e la testa in su a guardare la girandola che avevi messo in moto per una ingiustizia del tempo, per cui tu non eri più tu e gli altri non li riconosci e le Istituzioni lasciano fare.

Vorremmo alla fine non aver mai indossato per riprovarlo quel vestito, ma già ci manca il respiro, temiamo per la sopravvivenza e cerchiamo aiuto,  -“all’ambulanza” – griderà qualcuno, ma questa ambulanza non arriva, è vicina ma bloccata non circola, all’ospedale ancora peggio, non c’è posto, non c’è il medico, non c’è la strumentazione.

Nella nostra società  tutti i diritti sono aleatori e  tanto per parlare della categoria  dei giornalisti pubblicisti, nella P:A: si sbellicano dalle risate  se ti proponi come addetto all’ufficio stampa, lì ci vanno i vecchi lupi in carriera ,altro che giornalisti.

Dovremo sperare nel  cavaliere “solitario” di medievale memoria, difensore dei deboli , delle donne dei bambini ecc …?

Ma come le avevamo educate a scuola le nuove generazioni?

Allora non hanno capito nulla, bisognerà tornare a spiegarlo, ma come farlo  capire  al preside, che da quando è diventato dirigente si sente l’uomo dell’Istituzione, se non addirittura  l’Istituzione stessa? Difficile a dirsi.

Libera circolazione di idee, persone, merci , circolari, ma che ingorgo, che confusione, che drammi, che demotivazione delirante. E pensare che è successo tutto per voler provare un   abitino che era piaciuto a molti, e che piccoli artigiani avevano cucito con il loro sacrificio, ma che era in fondo ad un armadio.

(continua)

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