Bacheca.

primarie dei programmi o programmi delle primarie?


EDITORIALElunedì 3 ottobre 2005Sdoganamenti. I sette «voglio» di Rifondazione che nessuno contestaMa se voto Prodi, voto anche Bertinotti?Tra due settimane i popoli dell’Unione anti-berlusconiana saranno chiamati a votare nelle primarie. Per quanto questa consultazione si svolga in una logica proporzionale, visto che non serve a decidere chi è il leader ma solo che percentuale di voti potranno far pesare nei successivi equilibri i vari leaderini che vi partecipano, si tratta comunque di una prima assoluta nel sistema bipolare italiano. Bisogna dunque prenderla sul serio, e decidere se andare a votare e per chi.La prima difficoltà è che, per partecipare, bisogna preventivamente impegnarsi a votare per il centrosinistra, comunque vadano le primarie. Questa scelta di campo a prescindere è possibile per chi vota per disciplina di partito o per senso di appartenenza, impossibile per chi vota sulla base dei programmi e del leader chiamato ad applicarli. E’ probabile, per esempio, che ci sia una buona quota di elettori del centrodestra oggi disposti a votare centrosinistra se il candidato premier sarà Berlusconi, ma domani pronti a ripensarci se fosse Fini o Casini. Allo stesso tempo, ci sono elettori orientati verso il centrosinistra che però avrebbero molti dubbi a votarlo se dalle primarie Bertinotti uscisse come vincitore, cioè con una percentuale di voti tale da pesare in misura decisiva sul futuro governo. Aggiungiamo che il programma del centrosinistra verrà discusso e reso noto solo dopo le primarie. Dunque il giuramento di fedeltà esclude quell’elettorato mobile e pragmatico che dovrebbe essere il sale della democrazia bipolare.L’altro elemento che fa diffidare delle primarie dell’Unione è il sospetto fair play con cui si sta giocando la partita tra i candidati. Ognuno copre l’altro, e Prodi copre tutti. Sembra di capire che i programmi in lizza non sono considerati alternativi tra loro, ma pezzi di uno stesso puzzle che verrà assemblato dopo, senza scontentare nessuno. Così, mentre infuria nel centrosinistra il dibattito per decidere se si può sdoganare Pannella, il cui programma è temuto da molti come inconciliabile con il centrosinistra, è stato già sdoganato Bertinotti, il cui programma viene evidentemente ritenuto perfettamente compatibile con l’azione di governo futura.Però bisogna prendersi la briga di leggerlo, quel programma. Che già dal titolo è minaccioso, perché si chiama «Voglio», non «Sogno», o «Propongo». Che vuole, dunque, Bertinotti? Bertinotti vuole: a) «il ritiro immediato dell’Italia dalla guerra di occupazione in Iraq e dagli altri luoghi dove è presente in forme di occupazione militare, come l’Afghanistan e i Balcani»; b) «l’indicazione di una forbice massima tra le retribuzioni nel sistema pubblico e privato in modo che non possa esserci chi guadagna oltre 10 volte quanto chi prende il minimo contrattuale»; c) «l’introduzione di un sistema di adeguamento automatico di salari e pensioni all’inflazione reale» (scala mobile, n.d.r.); d) «l’abbandono della politica delle grandi opere»; e) l’«abrogazione della legge Biagi»; f) «una tassazione per le transazioni finanziarie internazionali (tobin tax)»; g) «tassare tutte le ricchezze finanziarie e patrimoniali».Questo è ciò che c’è. Poi c’è una cosa che manca, ed è un’assenza sorprendente per chiunque abbia qualche dimestichezza con la storia dei partiti di sinistra: nel programma di Bertinotti non è mai citata, nemmeno una volta, la parola «occupazione». L’obiettivo storico dei movimenti operai, dare lavoro. Di conseguenza non è mai nemmeno una volta citata la parola «sviluppo», o la parola «crescita» o la parola «pil». E’ come se questa nuova sinistra antagonista avesse completamente rinunciato all’obiettivo dello sviluppo delle forze produttive, capitale e lavoro; come se ritenesse ormai di operare in una società condannata a un gioco a somma zero: la ricchezza non va prodotta, ma solo distribuita; ai disoccupati bisogna dare un salario sociale, perché non c’è speranza di dargli un salario vero; più che creare nuovo lavoro bisogna stabilizzare quello che c’è, trasformando i lavoratori parziali, temporanei, occasionali, in titolari di un posto fisso a vita. Un radicalismo sociale in salsa autarchica, che immagina un paese senza vincoli di bilancio, la cui industria non ha vincoli di competitività sui mercati, e l’unica cosa che resta da fare è spartirsi diversamente le briciole.Non è strano che questo programma non venga contestato e contrastato apertamente dal principale competitor, Romano Prodi? Noi vorremmo sapere se, una volta battuto Bertinotti alle primarie con qualsiasi percentuale, i sette punti che abbiamo elencato sono automaticamente cassati dal programma dell’Unione, o se vi saranno rappresentati in misura proporzionale ai voti che prenderà Bertinotti; vorremmo sapere se il ritorno della scala mobile o il ritiro dall’Afghanistan e dai Balcani sono considerati dal leader dell’Unione due bestemmie o un utile contributo al programma. E lo vorremmo sapere prima di decidere se e per chi votare.da il Riformista