Una gabbia di eroi

11 settembre


 Undici anni fa la tragedia che tutti conosciamo: quel giorno stavo lavorando e spesso non capivo quelle immagini e soprattutto quel senso di angoscia e impotenza che regnava dentro ognuno. Col passare del tempo la tristezza e l’angoscia hanno lasciato il posto a molte domande, che vanno dal complotto (come ampliamente descritto in molti siti web, a volte sfiorando il grottesco), all’odio interrazziale che non concepisco, al perché di tanta libertà di agire di alcuni elementi e via così. Qualcosa deve essere stato pensato dalle alte sfere del potere: l’economia fiacca non poteva ripartire da sola, serviva una scossa mondiale che rilanciasse o affondasse il tutto e una tragedia di proporzioni immani come questa se non altro avrebbe portato in secondo piano le magagne finanziarie e avrebbe unito tutti contro il “male comune”, rilanciando personaggi molto più farabutti del pur spregevole Osama. Oddio, dire che il Presidente degli Stati Uniti di allora abbia architettato l’attacco è senza dubbio esagerato, ma non si può negare che una buona mano l’hanno data a questi esaltati. Ciò che mi lascia perplesso è comunque dove arriva la follia umana. Ossia, questi signori hanno studiato in America, hanno avuto dei compagni di classe, hanno passato anni della loro vita fianco a fianco di persone come loro e ciascuno di noi ha sicuramente un ricordo di scuola legato a situazioni goliardiche con compagni, prof e via così; come per chi ha fatto il militare, alcune situazioni ridicole e decisamente poco serie saranno perennemente scolpite nella nostra memoria come le classiche “puttanate che si fanno una volta nella vita”… Ecco, questi signori hanno vissuto tutto questo, hanno studiato, si sono arruolati, sono diventati provetti piloti, magari hanno condotto una vita sociale normale in America e a un certo momento hanno ricevuto una telefonata che diceva loro di andare a massacrare le persone che hanno vissuto al loro fianco fino a quel momento, magari loro commilitoni o compagni di scuola e porre fine anche alla loro vita nel nome di quel Dio che, dalle parole “umane” di qualche indegno suo rappresentante, “tutto aveva previsto e da sempre architettava questo per la vita di ognuno di loro”…Pazzesco. Non trovo altre parole…C’è solo da augurarsi che nel corso per tecnici nucleari fatto a New York negli anni 90 non ci sia il buon Mohamed, laureatosi a pieni voti ed ora titolare di un posto nella centrale atomica più grande degli States, integerrimo umile lavoratore oriundo arabo-americano, che mai ha sgarrato e mai ha avuto un richiamo o un’assenza, che ad un certo punto una sera gli suona il telefono…