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L'infertilitą psicogena nella coppia

Articolo della Dott.ssa Ameruoso pubblicato su Benessere4u.it, il Social Network su Psicologia, Salute e Benessere.


L'infertilità psicogena nella coppia

L’infertilità psicogena è divenuta una problematica molto diffusa ed è attualmente considerata una concausa della carente espansione demografica.
La fertilità è la capacità degli esseri viventi di riprodursi, di generare individui normali e dotati di caratteristiche peculiari della specie di appartenenza. La mancanza o la perdita di tale funzionalità, porta ad una condizione di sterilità (O.M.S., l’A.F.S.).
La sterilità fisiologica si differenzia, dalla infertilità relativa al partner in cui non vi è riscontro di cause organiche anche se, tale condizione, persiste nel tempo. Può capitare che, se i due coniugi si separano, costituendo così due nuovi nuclei familiari, tale problematica viene meno.

La sterilità e l’infertilità sono dovute a cause differenti: la prima è sintomatica, la seconda è asintomatica da un punto di vista medico.
Uno dei fattori determinanti è l’età: sia nella donna che nell’uomo a determinare la capacità di concepire è il tempo.

Tanto la volontà di avere un figlio si manifesta tardivamente, tanto minore sarà la possibilità di portare a termine questo progetto. In Europa, l’età del primo concepimento si è innalzata. L’incremento di un progressivo calo delle nascite nel nostro paese, ha fatto pensare che ciò derivasse da un fattore legato all’aumento dell’infertilità e della sterilità.
I dati ISTAT italiani considerano, esclusivamente, gli indici di natalità e di fecondità senza un’analisi precisa dell’incapacità al concepimento: le nascite per 100 abitanti (indice di natalità) sono passati da 29,4 negli anni 1930-1932, a 10,2 nel periodo 1984-1986, così come la fecondità totale, cioè i nati vivi per 100 donne in età riproduttiva, sono passati da 94,3 (1930-1932), al 41 (1984-86). La variazione attuale (in incremento) è dovuta principalmente a malattie infettive presenti prevalentemente nel terzo mondo.
In questo contesto, però, è difficile stabilire la percentuale di “responsabilità” in quanto i fattori contribuenti al manifestarsi di questa problematica, sono diversi.
In circa il 50% degli altri casi, il portatore di infertilità è l’uomo.
Alcuni studi, che vertono sulla produzione di un contraccettivo maschile che non inibisca il desiderio, hanno accennato all’ipotesi, secondo la quale, una sostanza proteica prodotta dal testicolo e chiamata “inibina”, possa bloccare la produzione di spermatozoi. Questa proteina regola la produzione di FSH grazie ad un meccanismo di feedback sull’ipotalamo e sulla ghiandola pituitaria, da essa stessa attivato. Di fatto però, le cause organiche che contribuiscono o determinano la sterilità, sono differenti: il fattore stress psichico e/o mentale ha un importante ruolo sulla risposta fisiologica ormonale.
In conseguenza di ciò, nella donna, l’innalzamento di prolattina e la riduzione dell’LH causano l’anovulazione, ipogonadismo ed amenorrea, mentre, nell’uomo, l’ipogonadismo con un conseguente abbassamento dei livelli di testosterone e gonadotropine.
Anche il tabagismo e l’abuso di sostanze alcoliche, sono determinanti nella riduzione della attività nemaspermica nell’uomo mentre, nella donna, si verifica un effetto antiestrogeno.
Inoltre, alcune esperienze fortemente stressogene quali l’isolamento, la prigionia, l’internamento in campi di concentramento o di guerra, come la storia ed anche la letteratura psicoanalitica testimoniano, comportano una condizione di azoospermia o oligospermia nella condizione fisica maschile.
L’ infertilità invece, è primaria se, dopo un anno (o più) di tentativi di concepimento, non c’è stato alcun esito positivo. E’ secondaria se insorge dopo una gravidanza coronata da successo.
Secondo la Bydlowski, i fattori che ostacolano la procreazione, sono da attribuire ad un’organizzazione inconscia difensiva contro tale eventualità: post- traumatica, nevrotica, come conseguenza di disturbi del comportamento alimentare o di perturbazioni dell’immagine corporea.
L’evento traumatico (un aborto spontaneo o provocato, una morte fetale, una gravidanza extrauterina) o una fantasia legata ad un vissuto interiore, determinato ad una esperienza (uno stupro, la morte della partoriente o quella del bambino) raccontata da altre donne all’interno della famiglia stessa (per es. madre, nonna, zia), sono sufficienti a definire la rinuncia alla maternità.
Gli aspetti nevrotici dell’infertilità sono invece, effetto di un meccanismo d’inibizione alla procreazione conseguentemente ad una fissazione in una fase specifica dello sviluppo psico-affettivo. Inoltre, una relazione fortemente conflittuale tra madre e figlia comporta, come conseguenza inconscia, il “rifiuto” di concepire.
Anche il disturbo alimentare (anoressia, bulimia), preesistente alla scoperta dell’infertilità, che implica una distorsione dell’immagine corporea rappresentata mentalmente, ostacola la capacità di generare.
Con questi presupposti, la possibilità di rendere concreto sul piano biologico e di realtà, la manifestazione del proprio funzionamento fisiologico, viene a perdersi.
Spesso e volentieri, le coppie, sane dal punto di vista organico, restano sconcertate di fronte all’incapacità di attribuire una spiegazione tangibile a questa problematica.
Freud, a proposito della generatività, si riferisce al concetto di “volontà dell’individuo di sopravvivere alla morte”. Il proprio figlio, cioè, viene vissuto come proiezione narcisistica di sé ma anche, come attestazione del proprio funzionamento fisiologico e biologico che permette la continuità della specie.
Nel contesto sociale, il figlio dà conferma della propria identità sessuale.
La fase della “generatività” di cui parla Erikson, si manifesta attraverso la nascita e la crescita dei figli.
L’essere umano si contraddistingue infatti, dalle altre specie poiché, la sua capacità fecondante, è contraddistinta da una forte connotazione psicologica ed assume anche un profondo significato sociale. Con la maturità sessuale (evento puberale) emerge la fantasia riguardo alla procreazione. Questa capacità, principalmente legata al proprio genitore durante l’infanzia diviene, in seguito, una consapevolezza ed un desiderio dell’adolescente sessualmente maturo. È proprio durante tale periodo che l’individuo ottiene ulteriori conferme della propria identità di genere (maschio e femmina) e il ruolo (maschile e femminile).
Il desiderio di un figlio e la successiva realizzazione, sul piano di realtà, di questa iniziale fantasia, diviene in età adulta, una conferma della propria capacità rigenerativa ridefinendo la propria identità di genere. Questo vale sia per la donna che per l’uomo.
La gravidanza quindi, assume una sorta di segnale di prestigio.
Il bambino rappresenta la continuità, il significato dell’esistenza umana ma, nel caso in cui vi è impossibilità a concepire, viene a mancare.
È importante che la coppia elabori sul piano personale le componenti emotive legate al lutto della infertilità, concedendosi un’ulteriore e significativa possibilità di vivere la splendida esperienza legata alla genitorialità.


Riferimenti bibliografici

Ameruoso E. (2006). L’esperienza adolescenziale in coppie portatrici di infertilità psicogena: un’ipotesi di ricerca. II Scuola di Specializzazione dell’Università “La Sapienza”. Roma: Tesi di Specializzazione.
Ammanniti M. (1993). Gravidanza e percezione del sé. In Maternità e Tossicodipendenza (a cura di) Malagoli Togliatti M., Mazzoni S. Milano: Giuffrè.
Bydlowski M. (2003). Facteur psychologiques dans l’infertilité feminine. In Gynécologie Obstétrique & Fertilité, 31: 246-251.
Morelli G. (1996). Il ruolo dei fattori psicologici nell’etiopatogenesi dell’infertilità maschile, In Informazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria, 28/29: 45-48
Scatoletti B. (1996). Aspetti psicologici nella diagnosi e cura dell’infertilità di coppia: una rassegna della letteratura rec

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Data di creazione: 27/10/2009
 

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