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PGM: Piante Geneticamente Modificate, se pensavate fosse facile

Post n°3 pubblicato il 27 Aprile 2012 da dario.p78
 

    Classicamente, si tratta di inserire un gene (esogeno si dice) che nelle nostre speranze dovrebbe conferire alla pianta una caratteristica utile. In senso lato, si tratta di ottenere un organismo che integri stabilmente nel genoma un frammento esogeno di DNA. Questo potrebbe essere un gene che produrrà una qualche proteina, oppure una sequenza che "spegne" (gli scienziati dicono "silenzia") uno o più geni della pianta, o dei virus che la attaccano.
    Ora, abbiamo una pianta da migliorare, ed una sequenza di DNA che potrebbe farlo. Per prima cosa bisogna far venire a contatto il pezzetto di DNA con il genoma della pianta. Per farlo esistono due metodi principali.
Uno pittoresco è il metodo Biolistico. Esatto: una fusione tra "bio-", come vita, e "balistico", come artiglieria. In parole povere, si ricoprono opportunamente dei microproiettili col DNA che vogliamo trasferire, e si sparano attraverso le cellule della pianta. Le prime volte si usava proprio una pistola, poi si sono messi a punto sistemi a gas compresso. Ad ogni modo, i microproiettili attraversano le cellule vegetali e le uccidono. Ma niente paura, quelle colpite di striscio, si ritrovano con una ferita non troppo seria e del DNA che prima non avevano. Questo, con una certa probabilità, può andare ad inserirsi nel genoma della cellula, od in quello dei suoi organelli (i cloroplasti ad esempio).
    Un altro metodo più fine ma altrettanto pittoresco è quello di appoggiarsi ad un'impresa specializzata: il batterio Agrobacterium tumefaciens. Il nome è poco appetibile, si capisce subito che ha una reputazione un po' torbida, infatti è un patogeno delle piante. Dato il suo livello di professionalità, chiudiamo un occhio e gli affidiamo comunque il lavoro. Questo biotecnologo veterano operava già quando credevamo che la terra fosse piatta. Per lavoro, trasferisce alcuni geni nelle cellule della pianta malcapitata, i quali, grazie a delle sequenze particolari affinate in millenni di pratica, si integrano senza colpo ferire nel genoma. Le cellule trasformate (che hanno acquisito DNA esogeno, sempre secondo gli scienziati) con quella manciata di geni batterici perdono la regolazione e crescono a dismisura, producendo nel contempo delle sostanze che il batterio assorbe e metabolizza facilmente. Risultato: un piccolo tumore di cellule vegetali alla base della pianta nel quale Agrobacterium sguazza. Tornando al nostro servizio conto terzi: sostituiamo il DNA che Agrobacterium normalmente trasferisce con quello che interessa a noi, lo mettiamo a contatto con una coltura di cellule della nostra pianta, et voilà. DNA consegnato.
    Finora è stato facile. C'è da dire che Agrobacterium è efficiente ma di gusti difficili: non funziona con tutte le piante. Il biolistico, seppur grezzo, è praticamente universale. Il punto dolente arriva ora: abbiamo una cellula che ha acquisito DNA esogeno, dalla quale dobbiamo far crescere un'intera pianta (rigenerazione, si dice). Domanda: perchè sono stati ottenuti OGM di tabacco negli anni '80, e di fagiolo solo l'anno scorso? Il tabacco rigenera facilmente, il fagiolo neanche a piangere. E' una questione di "attitudine" della specie, oppure di trovare le condizioni giuste per la coltura in vitro (nutrienti, ormoni, luce, etc.), fatto sta, alcune piante rigenerano con una frequenza decente, altre molto meno o per nulla.
    Abbiamo rigenerato una pianta adulta. Finito? Non scherziamo, le regioni del genoma dove il DNA esogeno si può integrare non sono tutte uguali! Può essere che il nostro gene funzioni (venga espresso) a livelli sufficienti, oppure che rimanga lì a far niente. Se per caso si inseriscono più copie del gene esogeno? Apriti cielo, a causa di un meccanismo di controllo della cellula, si possono silenziare tutte! Quindi, ottenute diverse linee di piante trasformate, solo alcune esprimeranno il transgene in modo soddisfacente.
    Vedete bene che ad ogni passaggio ci sono difficoltà. Le PGM si ottengono per due motivi: per applicazioni commerciali o per studio. Nel primo caso, si ricorre alla trasformazione solo quando la caratteristica che si vuole introdurre non è disponibile in una specie interfertile (nel qual caso la si può trasferire con una lunga trafila di 7-8 incroci selezionati).     Nella ricerca si usa moltissimo il tabacco, guarda caso. Ad ogni modo, il gioco vale la candela solo quando ogni passaggio ha un efficienza ragionevole.

 
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Lectine: insetticidi naturali delle piante

Post n°2 pubblicato il 27 Aprile 2012 da dario.p78
 

    Dal punto di vista ecologico, esistono casi in cui la nutrizione delle piante da parte degli animali favorisce entrambi. Ecco allora che le piante evolvono frutti appetibili e vistosi, associati a semi ben protetti che passano indenni l'apparato digerente degli animali che se ne nutrono. O fiori nettariferi che attirano insetti impollinatori.
Nella maggior parte dei casi, però, l'interazione con gli animali è dannosa per la pianta, in particolare quando questi si nutrono di organi vegetativi (foglie, radici), riproduttivi (fiori o parti di essi) o di riserva (tuberi, radici, fusti, etc.). Per ciò, le piante tendono a rendersi poco appetibili con vari mezzi, ad esempio ricorrendo ad una varietà di sostanze tossiche. Queste possono essere a basso peso molecolare (prodotti del metabolismo secondario) oppure di natura proteica, con attività sequestrante, catalitica, o entrambe.
    Al secondo tipo appartiene un nutrito gruppo di proteine di difesa: le lectine. Si tratta di una classe molto varia e diffusa, accomunata dalla capacità di riconoscere e legare mono e polisaccaridi con diversa affinità. I bersagli naturali delle lectine sono per lo più presenti al di fuori del regno vegetale: i glicani di virus, microrganismi, funghi, nematodi, insetti e mammiferi. Non sorprende quindi che alcune lectine vengano prodotte in seguito a ferite di fitofagi, come risposta all'attacco, oppure preventivamente, accumulate in grande quantità come proteine di riserva.
I meccanismi di tossicità delle lectine, in genere, sono conseguenza del legame di queste con i glicani di superficie dei tessuti animali. In seguito al legame sull'epitelio intestinale, le lectine ne provocano la disorganizzazione, l'alterazione del metabolismo e quindi della funzionalità. In alternativa, le lectine possono interagire con enzimi digestivi inibendone l'attività.
    Lo spettro di tossicità delle lectine è il fattore chiave. Per quanto riguarda i mammiferi, la maggioranza delle lectine più note è considerata non tossica, dato che sono presenti in diversi frutti e verdure consumati crudi. Naturalmente esistono le eccezioni. La prima lectina scoperta, ad esempio, è la ricinina (presente nei semi del ricino), subito descritta come tossica ed in grado di agglutinare i globuli rossi. Sono ben documentate diverse intossicazioni alimentari causate da lectine di fagiolo, quali ad esempio la PHA (Phytohemoagglutinin). In questi casi, l'intossicazione avviene solo quando i fagioli sono consumati senza una cottura sufficiente. Le lectine, infatti, come la maggior parte delle proteine, sono denaturate dal calore e quindi inattivate.
    Nelle specie coltivate esiste la tendenza ad una riduzione delle sostanze tossiche, probabilmente dovuta alla selezione inconsapevole iniziata con l'addomesticazione. Potremmo vedere le piante coltivate come prodotti di una coevoluzione con l'uomo: questo comporta che le specie di cui ci nutriamo hanno meno sostanze tossiche rispetto alle parenti selvatiche, risultando però meno "armate" nei confronti di insetti e altri animali erbivori. Di fatto, le piante addomesticate vivono in un ambiente protetto: l'uomo prepara il terreno, interviene con insetticidi, erbicidi, o altri mezzi atti a ridurre la competizione che le piante coltivate devono affrontare.
    L'attuale conoscenza dei meccanismi di difesa delle piante permette di comprendere le vulnerabilità delle specie coltivate e di impostare strategie di miglioramento razionali: ottenere genotipi meglio difesi, che richiedono meno interventi, e con qualità nutrizionali superiori.
Le lectine, alcune delle quali hanno sugli insetti fitofagi un effetto che varia dall'inibizione alla letalità, sono molto promettenti. La loro espressione ectopica, più o meno localizzata, è uno strumento utile per la messa a punto di varietà adattate alla lotta integrata, o per la protezione del prodotto post-raccolta. Un approccio molto razionale prevede l'utilizzo di quelle lectine naturalmente presenti in specie alimentari, come la ASAL (Allium sativum leaf agglutinin) dell'aglio o la ACA (Allium cepa agglutinin) di cipolla, o la PSA (Pisum sativum agglutinin) di pisello.
Queste ed altre lectine sono state testate con successo in colture transgeniche come alternative alla classica tossina Bt, dato che questa non è efficace contro numerose specie di insetti fitofagi.
    Ulteriori sviluppi nell'utilizzo intelligente delle lectine potranno venire dalla scoperta e caratterizzazione di nuove varianti, nonché da una più profonda comprensione del loro meccanismo d'azione e degli elementi determinanti le qualità dei loro bersagli naturali, i glicani. Occorrono poi approfonditi studi sulla loro tossicità a breve e lungo termine verso i mammiferi.

fonti:
I.M. Vasconcelos, J.T.A. Oliveira (2004) Toxicon 44:385-403
G. Vandenborre et al. (2011) Phytochemistry 72:1538-1550

 
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Il primo fagiolo OGM autorizzato alla coltivazione in Brasile

Post n°1 pubblicato il 27 Aprile 2012 da dario.p78
 

    Nel settembre dello scorso anno, il primo fagiolo transgenico è stato approvato per la coltivazione in Brasile. Si tratta di un fagiolo "Pinto" (simile al nostro Borlotto) resistente al Virus del Mosaico Giallo del Fagiolo (Bean Golden Mosaic Virus, BGMV).
Questo virus è la più grande limitazione alla coltivazione del fagiolo in America Latina, dove causa perdite di produzione che vanno dal 40% al 100%. Mentre in Europa il fagiolo è una coltura orticola quasi di nicchia, per molti paesi poveri di Africa e Sud America rappresenta un'importante fonte di proteine dal costo accessibile.
    Il gruppo del dott. Aragão è riuscito a trasformare un fagiolo della varietà Olathe Pinto con un costrutto che esprime una sequenza ripetuta e invertita del gene AC1 di BGMV (gene  necessario alla replicazione del virus), ottenendo una linea altamente resistente. Le piante transgeniche producono una corta forcina di RNA di AC1 che innesca i meccanismi di silenziamento trascrizionale a carico dell'RNA virale (RNA interference). Lo sforzo è stato notevole, dato che l'efficienza di trasformazione del metodo biolistico che gli stessi autori hanno messo a punto è stata dello 0.66%. Inoltre, prima di trasformare il fagiolo, i ricercatori hanno disattivato il gene di resistenza all'amplicillina (bla) presente nel vettore e non più necessaria nelle fasi seguenti.
    Dopo gli Stati Uniti, il Brasile è il secondo produttore mondiale di piante GM, e l'opposizione pubblica alla loro coltivazione non è molta. In questo caso però, trattandosi di una coltura destinata all'alimentazione umana, sono già state sollevate alcune critiche, e altre sono attese in futuro. Le obiezioni hanno riguardato sia la presunta pericolosità degli OGM in quanto tali, sia la trasparenza nei criteri di valutazione da parte dell'ente governativo preposto, il Brazilian National Technical Commission on Biosafety (CTNBio). Secondo il dott. Aragão, questa linea resistente permetterà di ritornare a coltivare fagiolo in Brasile nelle zone fortemente colpite dal virus, permettendo alla produzione nazionale di crescere fino a coprire interamente il fabbisogno interno. Conta inoltre di trasferire questa resistenza anche ad altre varietà di interesse nazionale come "Negro" e "Carioca".
    Benvenuto o meno (le controversie sugli OGM non accennano a diminuire), dal punto di vista strettamente tecnico-scientifico l'ottenimento di linea transgenica rappresenta un grande successo.

Fonti:
Bonfim K. et al. (2007) Mol. Plant Microbe Interact. 20:717-726
Tollefson J. (2011) Nature 478:168 | doi:10.1038/478168a

 
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