Creato da ellistar2012 il 03/01/2012
through the internet and culture

Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Aprile 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30          
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 

Ultime visite al Blog

apungi1950miriade159acer.250poeta_semplicecassetta2surfinia60lightdewboscodi.nottemarabertowiltuocognatino1Miele.Speziato0ellistar2012ReCassettaIImariateresa.savino
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

« SENILITA'ITALO SVEVO »

ITALO SVEVO

Post n°54 pubblicato il 05 Luglio 2016 da ellistar2012

L'opera
L'opera riassume l'esperienza umana di Zeno, il quale racconta la propria vita in modo così ironicamente disincantato e distaccato che l'esistenza gli appare tragica e insieme comica. Zeno ha maturato delle convinzioni (la vita è lotta; l'inettitudine non è più un destino individuale, come sembrava ad Alfonso o a Emilio, ma è un fatto universale; la vita è una "malattia"; la nostra coscienza un gioco comico e assurdo di autoinganni più o meno consapevoli) e in forza di tali assunti il protagonista acquista quella saggezza necessaria per vedere la vita umana come una brillante commedia e per comprendere che l'unico mezzo per essere sani è la persuasione di esserlo.


Il violino di Italo Svevo
Essa è caratterizzata da un'architettura particolare: il romanzo, nel senso tradizionale non c'è più; subentra il diario, in cui la narrazione si svolge in prima persona e non presenta una gerarchia nei fatti narrati, a ulteriore conferma della frantumazione dell'identità del personaggio narrante. Il protagonista, infatti, non è più una figura a tutto tondo, un carattere, ma è una coscienza che si costruisce attraverso il ricordo, ovvero di Zeno esiste solo ciò che egli intende ricostruire attraverso la sua coscienza.

Breve sintesi del romanzo
II romanzo si apre con la Prefazione, lo psicoanalista "dottor S." induce il paziente Zeno Cosini, vecchio commerciante triestino di 57 anni, a scrivere un'autobiografia come contributo al lavoro psicoanalitico. Poiché il paziente si è sottratto alle cure prima del previsto, il dottore per vendicarsi pubblica il manoscritto. Nel preambolo Zeno racconta il suo accostamento alla psicoanalisi e l'impegno di scrivere il suo memoriale, raccolto intorno ad alcuni temi ed episodi.

Il fumo racconta dei vari tentativi attuati dal protagonista per guarire dal vizio del fumo, che rappresenta la debolezza della sua volontà. In La morte di mio padre è raccontato il difficile rapporto di Zeno con il padre, che culmina nello schiaffo dato dal genitore morente al figlio.

In La storia del mio matrimonio Zeno si presenta alla ricerca di una moglie. Frequenta casa Malfenti e si innamora della più bella tra le quattro figlie del padrone di casa, Ada; dopo essere stato respinto, cerca invano di conquistare la mano di un'altra Malfenti, Alberta. Costei tuttavia non si sente pronta al matrimonio e preferirebbe dedicarsi solamente allo studio. A questo punto Zeno si dichiara a un'altra delle ragazze, la materna e comprensiva Augusta, che gli concede il suo amore pur sapendo di non essere la prima scelta.

Nel capitolo La moglie e l'amante, Zeno rievoca la relazione con Carla; egli non sa decidersi fra l'amore per la moglie e quello per l'amante finché è quest'ultima a troncare il rapporto. Il capitolo Storia di un'associazione commerciale è incentrato sull'impresa economica di Zeno e del cognato Guido. Sull'orlo del fallimento, Guido inscena un suicidio per impietosire i familiari e farsi concedere prestiti, ma muore sul serio. Ada per il dolore della perdita del marito e resa, inoltre, non desiderabile a causa di una malattia (Morbo di Basedow) abbandona Trieste, accusando Zeno di aver odiato il marito e di essergli stato accanto, assiduo, in attesa di poterlo colpire.

Qui terminano i capitoli del memoriale. Zeno, abbandonato lo psicoanalista, scrive un altro capitolo, intitolato Psico-analisi. Egli spiega i motivi dell'abbandono della cura e proclama la propria guarigione. Il protagonista indica l'idea che lo ha liberato dalla malattia: "La vita attuale è inquinata alle radici"; in definitiva la capacità di convivere con la propria malattia è come una persuasione di salute.

Il finale è duplice: il primo comporta la dichiarazione di Zeno di essere "guarito" perché è un uomo ricco e di successo (conclusione a lieto fine). Il secondo è contenuto nelle due pagine conclusive del romanzo e sembra non avere un collegamento con il personaggio "Zeno". Pertanto ci si affida a delle interpretazioni. Due sono quelle ricorrenti: Il mondo sarà distrutto da una "deflagrazione universale": un esplosivo collocato al centro della terra. Esso verrà fatto esplodere. Sarebbe il simbolo dell'impossibilità di risolvere il problema esistenziale dell'uomo, nonché un'anticipazione della catastrofe bellica. Una seconda interpretazione sarebbe di tipo socio-politico, di impronta marxiana: quel mondo è la classe borghese che cadrà su se stessa.

Gli ultimi lavori
Italo Svevo intanto lavora a una serie di novelle e ad un quarto romanzo, Il Vecchione o Le confessioni di un vegliardo, quando il 12 settembre 1928 ha un incidente in automobile, con l'autista, la moglie e il nipote, lungo la via Postumia vicino a Motta di Livenza (TV). Muore a causa di una crisi cardiaca il giorno dopo, il 13 settembre, all'età di sessantasette anni, lasciando i lavori incompiuti. Le opere e gli abbozzi intrapresi furono pubblicati solamente postumi.

Temi principali:
La malattia
L'inettitudine
La scrittura come mezzo di salvezza
Il sogno
Il tempo
soggettività
Svevo e l'inettitudine dell'uomo contemporaneo

Statua dedicata ad Italo Svevo a Trieste
Anche Svevo partì da una formazione culturale essenzialmente naturalistica ed è indiscutibile che nei primi romanzi ci siano diversi richiami alla letteratura del verismo e del naturalismo: l'impegno nella descrizione di differenti categorie sociali, l'attenzione ai particolari minuti caratterizzanti un personaggio, la capacità di rappresentazione completa della figura umana, l'attenzione con cui viene reso un ambiente, Trieste, nella varietà delle stagioni, delle ore, nei suoi aspetti popolari e borghesi. Ma tutto questo interessa Svevo solo relativamente, in quanto si riflette all'interno del protagonista del romanzo, determinandone l'ambiguo rapporto col mondo esterno. La novità di Svevo consiste proprio nell'attenzione che egli accorda al rapporto personaggio - realtà ed alla scoperta della fondamentale falsità di questo rapporto.

Infatti i protagonisti dei suoi romanzi, sia Alfonso Nitti (Una vita), sia Emilio Brentani (Senilità), incapaci di affrontare la realtà si autoingannano, cercano cioè di camuffare la propria sconfitta con una serie di atteggiamenti psicologici che Svevo con puntigliosa precisione svela. Ma tutto è inutile: è la vita ambigua e imprevedibile contro la quale a nulla vale l'autoinganno ad avere partita vinta, ed alla fine essa stritola i protagonisti dei romanzi di Svevo, che in comune hanno la totale inettitudine a vivere. All'autore dunque interessa proprio il modo di atteggiarsi dell'uomo di fronte alla realtà; ma questa partita con la vita si risolve sempre in una sconfitta per l'uomo. I personaggi sveviani sono degli antieroi.

I tre romanzi di Svevo costituiscono una sorta di trilogia narrativa, che progressivamente sviluppa una tematica spirituale a sfondo autobiografico la quale tende non tanto ad una narrazione oggettiva dei fatti quanto a cogliere, attraverso un'analisi spregiudicata, i recessi più segreti ed inconfessabili della coscienza. Per questo i protagonisti dei tre romanzi, Alfonso Nitti, Emilio Brentani, Zeno Cosini, appaiono sostanzialmente affini. Essi sono vinti dalla vita, uomini incapaci di vivere se non interiormente, intenti a sottoporsi ad un continuo esame e a sondare i meandri più segreti del loro Io, incapaci, specie i primi due, di inserirsi e di intervenire attivamente nel mondo. La senilità diviene consapevolmente un momento non solo cronologico, ma ideale dell'esistenza umana e diviene il simbolo di una radicale assenza dalla realtà, icona dell'incapacità di dominarla e trasformarla. Per questo l'uomo sveviano può essere definito un antieroe, un uomo senza qualità che non sa vivere come gli altri e con gli altri e che però, a differenza degli altri, è pienamente consapevole del proprio fallimento. Dunque i protagonisti dei romanzi di Svevo sono dei vinti, vittime non tanto degli eventi, spesso i più comuni, che qualunque persona sana saprebbe affrontare a proprio vantaggio; bensì sono vittime del Caso o delle strutture sociali, quanto di una loro indefinibile malattia composta di immobilismo ed accidia, quella che l'autore chiamò appunto senilità.

Questa tematica è stata approfondita ne La coscienza di Zeno, il romanzo più maturo ed originale dello scrittore triestino. La coscienza di Zeno appare venticinque anni dopo Senilità e differisce dai precedenti due romanzi per il quadro storico in cui matura l'opera che, infatti, risulta particolarmente mutato dal cataclisma della guerra mondiale la quale chiude effettivamente un'epoca aprendo le porte a nuove concezioni filosofiche che superano definitivamente il Positivismo sostituito dall'esplosione delle avanguardie e dall'affacciarsi della teoria della relatività. Appare evidente, dunque, che il romanzo di Svevo non potesse non risentire di questa diversa atmosfera, cambiando, per questo, prospettive e soluzioni narrative ed arricchendosi di nuovi temi e risonanze. L'autore abbandona il modulo ottocentesco di matrice naturalistica del romanzo narrato da una voce anonima ed estranea al piano della vicenda e adotta l'espediente del memoriale. Svevo, infatti, finge che il manoscritto prodotto da Zeno su invito del suo psicoanalista, venga pubblicato dallo stesso dottor S (iniziale che sta per Sigmund Freud o per Svevo?) per vendicarsi del paziente che si è sottratto alla sua cura frodandolo del frutto dell'analisi.

Il libro quindi è concepito come una confessione psicoanalitica, ispirata ai metodi di Sigmund Freud, il quale spiegava gli stati e le reazioni coscienti dell'individuo come un riflesso di complessi psichici stratificatisi nel subcosciente durante l'infanzia. Zeno Cosini è un uomo mancato, un abulico che, attraverso la confessione, tenta invano di comprendere se stesso e di liberarsi dal suo torpore e dalla sua inerzia spirituale. Questa confessione approda al riconoscimento dell'imprevedibilità di ogni esperienza umana e dell'impossibilità di dare una sistemazione logica compiuta al nostro oscuro e complesso modo di agire. Da qui lo scoraggiato e rassegnato guardarsi vivere del protagonista (tema già pirandelliano) e la sua sterile saggezza, che consiste in una lucida e spietata consapevolezza della propria malattia, accompagnata dalla totale sfiducia di poterla in qualche modo superare. Tema del romanzo è dunque la vita di Zeno Cosini, ma non quale essa fu effettivamente, bensì quale essa si rivela e si fa nel momento in cui viene rivissuta dal protagonista, intrecciata indissolubilmente con il presente e con le interpretazioni soggettive, consce ed inconsce, del vecchio Zeno.

Lo scrittore chiama il tempo della narrazione tempo misto proprio per la caratteristica del racconto che non presenta gli avvenimenti nella loro successione cronologica lineare, ma inseriti in un tempo tutto soggettivo che mescola piani e distanze, un tempo in cui il passato riaffiora continuamente e si intreccia con infiniti fili al presente in un movimento incessante, in quanto resta presente nella coscienza del personaggio narrante. All'interno del memoriale, l'autobiografia appare un gigantesco tentativo di autogiustificazione da parte dell'inetto Zeno che vuole dimostrarsi innocente da ogni colpa nei rapporti con il padre, con la moglie, con l'amante e con il rivale Guido, anche se comunque traspaiono ad ogni pagina i suoi impulsi reali che sono regolarmente ostili ed aggressivi, alle volte addirittura omicidi. Per tutto il romanzo, infatti, ogni suo gesto, ogni sua affermazione rivela un groviglio complesso di motivazioni ambigue, sempre diverse, spesso addirittura opposte rispetto a quelle dichiarate consapevolmente. Il personaggio dunque si costruisce attraverso il suo ricordare e non esiste, in ultima analisi, che in questo prendere coscienza di se stesso, sicché Zeno non è che La coscienza di Zeno, o forse sarebbe meglio dire che egli narra dietro mascheramenti autogiustificatori la propria incoscienza.

Insomma, narrando oggi i fatti di ieri, Zeno scardina le categorie temporali in quanto il fatto o l'atteggiamento psicologico si presentano sfaccettati, con una contaminazione di presente e passato e con una molteplicità di valutazioni dovute alle progressive modificazioni che quel ricordo ha assunto alla luce delle esperienze posteriori, con un notevole complicarsi dell'impostazione della trama e della tecnica narrativa. Abbiamo come conseguenze principali il dissolversi del personaggio; infatti lo scrittore tradizionale ce lo presentava oggettivamente come una realtà autonoma da descrivere, mentre ora questa realtà del personaggio la vediamo nel suo farsi.

Inoltre viene mutato il piano di rappresentazione: dal piano oggettivo dello scrittore - narratore, creatore ed organizzatore delle vicende, si passa al piano soggettivo del protagonista che dice "Io", e ciò tramite una particolare tecnica di cui James Joyce è il principale artefice, ovvero quella del monologo interiore, che consiste nella trascrizione immediata, senza alcun ordine razionale o sintattico, di tutto ciò che in modo tumultuoso si agita nella coscienza. Il romanzo così approfondisce, mediante questa nuova tecnica narrativa, la ricerca psicologica iniziata nei due romanzi precedenti. Anche Zeno è un inetto di fronte alla vita, ma è un personaggio psicologicamente più ricco, in quanto ha lucida consapevolezza della sua malattia morale e del complesso meccanismo di giustificazioni e di alibi a cui è solito ricorrere nella vita di tutti i giorni. Di conseguenza, con Zeno, Svevo approfondisce la sua diagnosi della crisi dell'uomo contemporaneo che è tanto più grande quanto maggiore ne è l'autoconsapevolezza. Infatti i suoi personaggi, ridotti a subire la vita con una sofferenza rassegnata, lucidamente consapevoli della loro malattia e della loro sconfitta di fronte alla vita stessa e pur tuttavia incapaci di lottare, riflettono la crisi dell'uomo del primo Novecento che sotto esteriori certezze avverte il vuoto, causa principale dell'inquietudine e dell'angoscia esistenziale.

Per questo l'opera di Svevo è idealmente vicina a quella di Luigi Pirandello, di James Joyce, di Marcel Proust: essa testimonia il male dell'anima moderna. Emerge all'analisi di Svevo una condizione di alienazione dell'uomo che risulta lucidamente incapace di avviare un rapporto operoso con la realtà che lo circonda. Zeno ad esempio è un vinto consapevole ma senza grandezza, perché l'inettitudine esclude la lotta. Questa condizione però, per Svevo, non è connaturata all'uomo, bensì deve imputarsi a precise ragioni storiche. La spirale produttivistica di una società come l'attuale ha ridotto così l'umanità e potrebbe produrre la catastrofe, come si capisce dall'ultima pagina del romanzo:

« la vita attuale è inquinata alle radici [...]. Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo [...]. Ma l'occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c'è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca a chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l'uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione alla sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che la forza dello stesso, ma oramai, l'ordigno non ha più alcuna relazione con l'arto. Ed è l'ordigno che crea la malattia con l'abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione naturale. Altro che psico - analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie ed ammalati. Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po' più ammalato, ruberà tale esplosivo e s'arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie[9] »
Per lo scenario apocalittico di una società del genere non c'è salvezza. Svevo condanna senza clemenza la società borghese capitalista e non ne vede alternative sul piano storico. L'unica alternativa è infatti sul piano individuale: la sola salvezza per il singolo individuo è nell'acquisizione della coscienza, nella consapevolezza della condizione umana, delle menzogne e degli alibi con i quali mascheriamo le nostre fughe dalla realtà, laddove ci si sappia adattare, come Zeno, alla propria inettitudine. Le uniche vie di salvezza, insomma, sono l'autocoscienza e l'ironia. Ed ecco allora l'ironia che si avverte in tante pagine de La coscienza di Zeno, il vedersi vivere spesso divertito del protagonista. In questa lucidità ironica sta la principale differenza con i precedenti protagonisti sveviani, e la profondità psicologica ed esistenziale di Zeno Cosini: un ultimo per forza del destino, il cui nome inizia con l'ultima lettera dell'alfabeto; un inetto per definizione, come si capisce dallo striminzito cognome; così come è indicativo il fatto che tutte le sue donne invece posseggano un nome che comincia con la lettera "A", ad indicare l'irraggiungibilità della Donna in quanto tale e l'abissale baratro che separa il personaggio dell'inetto dalla possibilità di vivere una vera vita.

Il critico Giorgio Luti ha rilevato come i romanzi di Svevo evidenziano l'inquietudine dell'uomo moderno, la nuova coscienza "storica" della borghesia che sente esaurirsi il proprio "compito sociale" e la propria funzione direttiva. Svevo a Trieste "si trovò a partecipare alla crisi del mondo austro-ungarico che andava sempre più perdendo la propria funzione di coordinamento centro-europeo". Nello scrittore triestino si riflettono perciò "la solitudine del borghese, la disperata assenza di una ragione di vita, di una fede solida di fronte al crollo delle vecchie strutture economiche" (Alfonso Nitti, protagonista di Una vita, intraprende un'impari lotta contro un organismo socio-economico che lo stritola, con la torturante coscienza di sapersi una vittima). Rispetto ad Alfonso Nitti, Emilio Brentani, protagonista di Senilità, è alla "ricerca di una giustificazione sociale alla propria condizione di vinto in anticipo"; allo scrittore "occorre la spiegazione clinica della situazione interiore del personaggio". Ne risulteranno sempre il fallimento, la rinuncia, la solitudine dell'individuo. Zeno Cosini è poi "documento della malattia universale", emblema, scrive Luti, di una "crisi estrema che non è soltanto economica, politica e culturale, ma crisi che mette in dubbio anche la giustificazione dello stesso valore morale dell'individuo".

Nell'opera di Svevo è presente l'idea della vita come lotta: Svevo seguendo Darwin e Nietzsche è convinto che la vita sia una lotta per l'affermazione di sé e che gli uomini si dividano perciò in vincitori e vinti. Se da Darwin mutua la concezione della selettiva e violenta lotta per la vita (darwinismo sociale), di Marx condivide la condanna della civiltà industriale con tutte le sue malattie (alienazione) e i suoi ordigni.Nel romanzo Una vita c'è anche un richiamo alla filosofia di Schopenhauer, alla contrapposizione tra "lottatori" e "contemplatori".

Dall'opera di Schopenhauer (Il mondo come volontà e rappresentazione) attinge l'idea del "carattere inconsistente" del nostro agire e dei nostri desideri: secondo il filosofo tedesco non siamo infatti noi a volere, ma vuole in noi, durante la nostra esistenza illusoria, una cieca volontà irrazionale, assolutamente senza scopo, "che anima l'universo in ogni sua fibra". L'io si rivela dunque come sforzo, volontà di vivere più o meno presente nei singoli a seconda che appartengano ai "lottatori" o ai "contemplatori". L'attivismo che schiaccia l'individuo è dunque un aspetto che viene dal pensiero di Schopenhauer, mentre da Joyce viene l'idea di scavo della coscienza umana e da Proust lo studio del fluire della memoria per capire le cause dei comportamenti umani ed analizzare il passato. Il critico Salvatore Guglielmino scrive: "è certo che Svevo, assieme a Pirandello, è la voce che può degnamente inserirsi nel coro europeo che in quegli anni scopre il volto enigmatico ed oscuro del vivere (si pensi sotto certi aspetti a Kafka) ; è certo che lo scacco dei suoi personaggi di fronte alla vita è - l'ha notato Benjamin Cremieux - quello che Chaplin esemplificava nel suo Charlot".

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
La URL per il Trackback di questo messaggio è:
https://blog.libero.it/BloggingNetCult/trackback.php?msg=13425498

I blog che hanno inviato un Trackback a questo messaggio:
 
Nessun Trackback
 
Commenti al Post:
Nessun Commento
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963