Blue river

Sabato pomeriggio


“I musicanti accordano il violino…”La testina appoggiata dolcemente sui solchi, il pensiero stupido che prima o poi devo insegnarlo ai miei figli, troppo abituati a poggiare un disco argentato su una lingua vorace.Friggi friggi, mentre la puntina scivola sui solchi, ogni tanto un ciocco, una castagna scoppiata nel pomeriggio immobile, dentro casa una bella luce, sole traditore del freddo , chè fuori è proprio freddo. Dopo la nebbia del mattino che, oltre ai soliti tamponamenti a catena in menti più annebbiate del giorno stesso, lascia quel filo di aria umida che si impasta con il suono polveroso del vinile.“…stasera suoneranno sulla luna…”La finestra spalancata lascia entrare l’odore della terra, un antico De Gregori fruscia dolcemente sul piatto. Sul tavolo, fogli scarabocchiati da passare in una forma leggibile, una tazza di tea darjeeling, quei biscottini a forma di ciambelline che sono arrivati trionfalmente sulla scia di un cartello 3x2 e del sorriso della banconista quando, ingenuo, le chiesi se le tre confezioni potessi sceglierle anche assortite.“Cioè…Diverse?”“Si, assortite”“Si, diverse”E vabbè.Sorrido.Sorride.Quel sorriso…..boh…La luce cambia taglio, adesso. Apro un po’ la portafinestra, incurante del fresco, del leggero ed insolito vento che si insinua, a disperdere il fumo della ennesima Winston blue, blue come il fiume in cui faro’ navigare questa barchetta di carta.Vibrano anche i fogli: potessi, alzerei il volume del Marantz. Ciambellina bagnata nel tea, anima intrisa della voglia di scrivere qualcosa di diverso da quella lingua così distante dalla mia, quella dei documenti ufficiali.“…e non importa niente se le gente del caffè non capirà la loro anima…”Piano piano l’ho sentita arrivare, la nostalgia.Battere prima discretamente, poi con insistenza.Un novembre di ventisette anni fa, quando il telefono era ancora un disco in cui infilare il dito in uno dei dieci buchi, aspettare che la rotella finisse il giro.Era una mattina: quei buffi gettoni che pesavano nelle tasche ed erano leggerissimi a volare via per tramutarsi in nuvole di parole. Fino a non saper dire l’unica che avrei dovuto dire, e ascoltare l’unica che non avrei mai voluto sentire.Che la musica tenga alto il nostro spirito, riscaldato, adesso, da una tazza di tea e tre biscotti, mentre fuori fa freddo e la ragazza dell’iper mi ha lasciato addosso il suo sorriso più ingenuo.Ah, si ecco chi mi ricordava, un po’.Già.Ma tanto, lo dice anche De Gregori che “…i musicanti non piangono mai”.