VITE A PERDERE

IN RICORDO DI SALVATORE NOVEMBRE


(Tratto dal romanzo di Randagio Clandestino, IO NON NASCERO'...)...La domenica del 10 luglio al lido Jonio tutti parlavano di un solo argomento, la guerra civile scatenata dai comunisti, la devastazione del centro storico e la morte di quel poveraccio, che però se l’era cercata, pace all’anima sua. A crocchio davanti alle cabine e sotto l’ombrellone, anche giocando a bocce o a briscola, anche sguazzando in riva al mare, i bagnanti del lido Jonio, come d’altronde quelli di tutti gli altri lidi, parlavano di una sola cosa, i fatti sconvolgenti dell’8 luglio in via Etnea.-       E’ una vera vergogna! - declamava lo zio Giovannino, spaparanzato sulla sedia a sdraio sotto la tettoia della cabina. – Sono dei selvaggi, dei senza dio, c’è poco da fare. Scioperare è una cosa, ma lanciare pietre ai poliziotti e distruggere mezza città, questo non c’entra niente con la democrazia. La polizia ha fatto solo il suo dovere qui come a Palermo.Umberto, col suo pigiama a righe e la canottiera appena più bianca della sua pelle,  rievocò al solito suo i bei tempi quando i treni arrivavano in orario e si dormiva con le porte aperte e certe cose non potevano succedere.  E lo zio Mimmo al solito suo interruppe l’elogio della buonanima con la battuta di sempre, che si dormiva con le porte aperte perché non c’era niente da rubare,  anzi non c’erano nemmeno le porte da chiudere, perché gli italiani erano peggio di Giufà che si tirò la porta dietro portandosela dappresso fino alla chiesa... Lo zio Giovannino, lo zio Nino e la zia Agatina si scassavano dalle risate per il modo in cui lo zio Mimmo dava le sue battute. Ma Ciccino non aveva voglia di ridere quella mattina. Era una bomba pronta ad esplodere, perché tutti parlavano a vanvera e avrebbero dovuto invece informarsi sui fatti e non credere alle carognate scritte su quel giornale di ieri... Lui aveva conservato la prima pagina con quell’articolo di quel certo Russo e la teneva ripiegata nella tasca dei pantaloni  pronto a tirarla fuori e agitarla sotto il naso degli interlocutori ogni volta che dicevano bestialità o peggio. -       Chi scrive queste cose è una carogna. Se ce l’avessi qui davanti gli staccherei la testa come una mascolina a questo Alfio Russo del cavolo. Lo sanno tutti che i sassi sono volati dopo che la polizia ha caricato la manifestazione pacifica rischiando di investire anche la gente che passava lì per caso.-       Secondo voi comunisti i poliziotti si divertono ad ammazzare la gente così per sport...-       Che c’entra questa fesseria? I poliziotti fanno quello che gli comandano di fare i superiori e il governo dei fascisti... per questo è giusto protestare e non calare le corna al solito nostro.Lo zio Giovannino compativa quel poveraccio di Ciccino: era un povero ignorante a cui quei delinquenti della sezione comunista di San Cristoforo avevano riempito la testa di chiacchiere più grosse di lui... Queste cose le diceva quasi all’orecchio dello zio Nino per chiudere la discussione lì e godersi tranquillamente il suo ghiacciolo al limone, mentre Ciccino continuava a sbraitare da solo e nessuno gli dava più retta, tanto che alla fine, visto che nessuno lo ascoltava, mollava tutti e andava a farsi due passi in veranda.         La sera non vi fu il ballo né i giochi sulla sabbia tipo il musichiere o caricabbotta vidi ca vegnu. Sebbene le autorità non avessero dichiarato il lutto cittadino, nonostante la sua congenita strafottenza Catania era da due giorni una città ferita, una città che fingeva di vivere la propria quotidianità estiva, ma che non riusciva a nascondere fino in fondo il senso di smarrimento per qualcosa di grave che proprio non doveva accadere, almeno qui da noi. Anche la risalita verso casa lungo la via Plaia quasi all’imbrunire sembrò una risalita più stanca del solito, quasi il preludio ai funerali del giorno dopo di quel povero cristiano ch’era stato ammazzato così giovane, che non è una cosa giusta, anche se avesse lanciato le pietre, anche se era uno scomunicato comunista, certo che però questi della polizia hanno la pistola facile tutto sommato... Queste cose ed altre simili le pensavano in realtà un po’ tutti, uomini e donne, della via Gramignani, anche se poi nessuno si sentiva di dirle apertamente, tranne lo zio Mimmo mentre risaliva la via Plaia sulla seicento di Totuccio insieme alla zia Agatina, la zia Elena, Mariello e Rosetta. E queste cose le diceva proprio a suo figlio, che da un po’ di tempo aveva iniziato a simpatizzare per quelli della fiamma. Totuccio infatti si accaniva a dire tutto il male possibile di quel criminale che per fortuna la polizia aveva mandato all’altro mondo, prima che lui e i suoi compagni stalinisti  ammazzassero  qualche onesto lavoratore o incendiassero la sede del Movimento Sociale... quei comunisti della CGIL sono i veri nemici dei lavoratori. Lo zio Mimmo ascoltava e scuoteva la testa. Lui non voleva dare ragione o torto a nessuno, fascisti, comunisti, democristiani... ma non è possibile che un ragazzo di vent’anni deve finire così morto in mezzo alla strada perché la pensa in questo o in quel modo... ma allora a cosa serve la democrazia?... E qui Totuccio trovava l’appiglio per tirar fuori le sue teorie sulla necessità dell’uomo forte a capo del popolo, un governante coi pieni poteri in grado di garantire l’ordine e il rispetto delle regole sociali, e infatti la colpa di tutto questo disordine non è nemmeno dei comunisti, è tutta colpa della democrazia che non è il modo migliore di governare noi italiani, tant’è vero che tutti credono di essere liberi di fare tutto ciò che gli passa per la testa. No, così è troppo semplice: allo zio Mimmo questa storia dell’uomo forte, del duce, gli sembrava più una lugubre barzelletta che una soluzione dei problemi della gente, forse aveva ragione in realtà Ciccino almeno su quella questione che gli uomini dovrebbero essere tutti uguali, perché così vuole Dio, prima ancora di Togliatti o di Stalin... e aveva ragione Ciccino quando diceva che padre Santo e tutti i preti neri se l’erano scordate le parole di Gesù Cristo, quando diceva sulla montagna beati i poveri, beati quelli che vogliono la pace e la giustizia, che se tutti fossimo stati cristiani perdavvero quel ragazzo sarebbe ancora vivo, quel ragazzo avrebbe avuto il suo lavoro e la sua vita e invece gli erano stati negati l’uno e l’altra... Queste ed altre cose pensava dentro di se lo zio Mimmo, ma lui non era bravo a parlare e tutte quelle parole colme di solidarietà umana che non riusciva a tirar fuori gli restavano ferme in gola e formavano un groppo che era come una gran voglia di piangere in silenzio su quella giovane vita rubata ingiustamente  da chi avrebbe dovuto esserne garante. Anche Mariello provava una grande tristezza, pensando alla gente che muore, come per quei gattini che affogano nell’acqua sporca della fontana senza che nessuno venga a salvarli o a fargli almeno una carezza, neanche zio Ciccino che pensa solo agli operai e ai lavoratori come se anche i gatti della fontana non avessero diritto a mangiare e a star bene... E invece quella cosa là, il comunismo, ci voleva anche per i gatti e per tutte le creature della terra, compresi gli alberi e le piante. Però anche Mariello, come lo zio Mimmo, ancora non trovava le parole per dire questi  suoi pensieri,  ma per scriverli sì, ora stava scoprendo a poco a poco che le parole che non escono dalla bocca possono essere segnate sulla carta, come le monete da cinque lire conservate nel carosello, il portamonete di terracotta che Mariello custodiva gelosamente  sotto il letto. I funerali del giovane disoccupato furono celebrati in maniera solenne nella giornata di lunedì 11 luglio.  Di buon mattino il feretro fu trasportato nel salone della Camera del Lavoro in via Crociferi e qui esposto al pubblico.  Fino alle sei del pomeriggio gente di ogni età e di estrazione sociale venne a rendere omaggio al giovane sconosciuto che aveva perso la vita durante gli scontri dell’8 luglio.  Non solo compagni della CGIL o del partito comunista o socialisti, ma anche tanta gente semplice,  uomini e donne e anziani dei quartieri popolari limitrofi, dalla Civita o dall’Antico Corso, tutta gente che sentiva quella morte di un ragazzo come un lutto familiare, come per la morte di un parente intimo o di un amico.  Salvatore Novembre non era più uno sconosciuto per nessuno da quando quella pallottola maledetta gli si era conficcata in gola, giovani operai come lui, disoccupati perenni dei quartieri disagiati, si accostavano alla bara e porgevano l’estremo saluto a Turi, uno di loro, uno che nella vita proprio non aveva avuto fortuna perché era uno di loro, uno sfruttato sempre e comunque. Anche per le donne della via Plebiscito o di San Cristoforo Turi non era uno sconosciuto ma avrebbe potuto essere un loro figlio o il proprio fidanzato morto in quella disgrazia e, nel farsi il segno della croce davanti alla bara, fissavano i volti segnati dal dolore della mamma e della giovane moglie di Salvatore e non potevano fare a meno di commuoversi e avere tanta pietà per quelle meschine.Alle sei del pomeriggio, poco prima che partisse il corteo funebre, anche Ciccino, lo zio Mimmo, Melo e lo zio Nino, uscendo dal lavoro, vollero andare in via Crociferi ad assistere ai funerali di Salvatore Novembre. Quando loro giunsero sotto la statua del cardinale Dusmet già la via Crociferi era piena di gente e fecero fatica a farsi largo tra la folla, per avvicinarsi alla Camera del Lavoro. Proprio in quell’istante il feretro di Salvatore, portato a spalla dai compagni della CGIL, usciva sulla via Crociferi accolto da un lungo applauso commosso, mentre centinaia di pugni chiusi salutavano il compagno vittima dell’ingiustizia sociale e le bandiere rosse listate a lutto pendevano mestamente sui bastoni neri senza che un alito di vento le lasciasse sventolare come nei festosi cortei dell’uno maggio o della festa della Liberazione. Lo zio Mimmo guardava commosso quegli uomini anziani col volto segnato dalla fatica oltre che dal dolore piangere proprio con le lacrime, come se gli avessero ammazzato il figlio, e allora capì che davvero tutti quei compagni in quel momento erano una sola grande famiglia e sentì il bisogno di battere la mano sulla spalla di Ciccino come per fargli sentire che, in fondo, era d’accordo con lui, che essere comunisti voleva significare una società più umana, oltre che più giusta. E Ciccino intuì che lo zio Mimmo sarebbe diventato prima o poi un compagno saggio e paziente, capace di affrontare con calma tutte le questioni e i litigi come sapeva fare nel cortile dei gelsomini con le donne e i ragazzi più che mai litigiosi alla minima occasione.  Purtroppo lo zio Mimmo non ebbe il tempo di diventare compagno o forse, più esattamente, lo diventò a modo suo, con la semplicità di chi non vuole sentire grandi discorsi  ma sa realizzare con pazienza le cose migliori della vita. Diventò compagno semplicemente seguendo  quel ragazzo disoccupato qualche anno dopo in quell’altro mondo per cui in tanti hanno lottato, un mondo che nessuno conosce ma che potrebbe essere un mondo migliore per tutti. Se mai esistesse il paradiso, pensò quel giorno il compagno Ciccino, lo zio Mimmo sicuramente ha un posto in prima fila, perché lui è stato l’uomo più buono e più giusto che sia mai esistito sulla terra, proprio come quel papa che morì in quello stesso anno e che, a differenza dei pretacci delle parrocchie catanesi,  aveva benedetto anche i comunisti proprio perché tutti gli uomini siamo uguali davanti a dio, a prescindere dalle idee o dal partito a cui si appartiene. E Ciccino non si vergognò di piangere ai funerali dello zio Mimmo, alla stessa maniera in cui non si vergognò di piangere al funerale di Salvatore Novembre e poi davanti al televisore, per i funerali di papa Giovanni il 3 giugno del 1963.