VITE A PERDERE

LETTERA DI UN CAVALLO MORTO AL SIG. SINDACO DELLA SUA CITTA’


Egr. Sig. Sindaco le sembrerà strano che un cavallo morto possa scrivere una lettera a un sig. sindaco vivo. Ma lei deve capire che anche i cavalli hanno un’anima (se è vero che anche i sindaci ce l’hanno, non si capisce perché noi cavalli dovremmo esserne privi). E l’anima di un cavallo così come quella di un essere umano, come lei m’insegna, anche dopo la morte continua a vivere (magari all’inferno, ma sempre meglio che in una città amministrata da lei e dai suoi assessori). E poi consideri che anche un cavallo morto avrà pure il diritto di scrivere una lettera a un sindaco purtroppo nato e vivo, considerato che una scrittrice con una intelligenza naturalmente inferiore a quella di un equino come me ha già scritto con successo una lunga lettera a un figlio mai nato (per sua fortuna, con una madre simile!)... Ma vengo subito al dunque della mia non lunga lettera alla sua Eccellenza o non saprei come altrimenti chiamarla in linguaggio burocratese. Questa lettera vuole spiegarle qualcosa della mia vita e della mia morte, trattandosi di un caso molto istruttivo sulla città da lei amministrata. Stia tranquillo che non ho nessuna intenzione di inoltrare una dura protesta sul maltrattamento mio e dei miei simili, come già fanno gli amici animalisti catanesi. Sono perfettamente consapevole di essere stato un cavallo “inutile”, non adatto alle corse clandestine di cavalli e nemmeno tanto buono da macellare e offrire in pasto ai nostri cari concittadini nella nobile tradizione dell’ARRUSTI E MANGIA, tanto cara a lei e ai suoi fedeli elettori. Sono stato proprietà di un piccolo mafiosetto che aveva osato commettere una piccola impudenza nei confronti di chi gestisce le gare clandestine... a proposito di gare clandestine, mi consenta una domanda forse stupida, più da somaro che da cavallo morto... Come fanno a rimanere clandestine delle corse di cavalli (non di pulci o di scarafaggi, ma cavalli), fatte nelle strade e non nei sotterranei di qualche città segreta? Forse si tratta di cavalli invisibili, così come sono generalmente invisibili i cani e i gatti regolarmente arrotati sulle strade cittadine da gente “spacchiusa” come la maggioranza di quei catanesi a lei tanto affezionati da rieleggerla per altri cinque anni alla guida della città... La verità è che tutti vedono, ma nessuno sa. Io la capisco, mi creda, lei in fondo rispetta e valorizza quelle che sono sane tradizioni del popolo catanese, quello vero, quello dei quartieri-ghetto, quei quartieri il cui controllo e la cui amministrazione è “delegata” formalmente alle municipalità ma di fatto alle famiglie mafiose... quelle stesse che gestiscono la vita e la morte di noi cavalli nelle corse clandestine, nei macelli clandestini, nelle macellerie equine non più clandestine e negli “arrusti e mangia” a cielo aperto e in ogni angolo del centro storico... quelle stesse che gestiscono la vita e la morte di quelle migliaia di persone costrette ad arrangiarsi per sopravvivere e che sono pronti a vendere il loro voto anche per cinquanta euro appena, anche per un solo panino imbottito con la mia carne, quella carne a cui nessun catanese degno di questo nome sarebbe disposto a rinunciare. Veda, signor sindaco, la mia storia è lo specchio della sua Catania, la peggiore delle città possibili, dove il rispetto per gli altri e la convivenza civile sono solo parole prive di senso, una Catania elevata alla serie A del calcio nazionale ma anche ai primi posti fra le città più invivibili e corrotte d’Italia. Il 10 sera, in questa città incattivita e demotivata dalla politica corrente, sulla prima spiaggia cosiddetta “libera” (assurda denominazione, per nascondere la semplice verità che tutte le spiagge sono e non possono che essere libere e di tutti!), io sono stato massacrato per ritorsione nei confronti del mio “padroncino” da due suoi elettori, davanti agli occhi di altri suoi probabili elettori di estrazione sociale piccolo-borghese che hanno continuato a guardare romanticamente il cielo della notte di San Lorenzo, nella speranza di qualche desiderio da fare avverare in una città che ha smesso da tempo di sperare in qualcosa di meglio. Io ero solo un cavallo: sarei folle ad aspettarmi un qualche senso di compassione da gente che prova piacere a mangiare le mie carni. E sarei ancor più folle a sperare che a lei e alla sua giunta, che sta lasciando morire di fame e d’inedia centinaia di cani e gatti randagi, possa venire in mente di difendere i diritti di noi animali, considerato che siete troppo impegnati a trasformare in favori clientelari gli stessi diritti fondamentali dei cittadini. E poi mi lasci dire, senza offesa, signor sindaco: i due massacratori sulla spiaggia, mentre infierivano sul mio povero corpo indifeso, esprimevano un grande orgoglio proprio della “spacchiusaggine” catanese, lo stesso orgoglio con cui lei e la sua giunta stanno massacrando un’intera città, snaturandone il vero volto e la vera cultura popolare, quella ormai defunta e che non è affatto, mi creda, la sottocultura consumistica dell’arrusti e mangia. Scusandomi per aver osato tanto, la saluto con il rispetto dovuto da un cavallo morto a un sindaco vivente e con il dono berlusconiano dell’elisir di lunga vita. Beato lei, signor sindaco! e beato io, che ho smesso di vivere in una città orrenda come la sua Catania e sono diventato almeno nella morte un animale libero e fuori pericolo. Catania 13 agosto 2006