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Tagli stipendi parlamentari: ecco perché è solo un trucco


Resta tutto come prima, ennesima presa in giroIeri, da Montecitorio è giunta una notizia roboante: i tagli degli stipendi dei parlamentari non sono più un diritto utopico ma la realtà di un provvedimento amministrativo.I media hanno subito rilanciato la notizia nelle loro prime pagine, quale conferma di una presunta volontà della politica di fare sacrifici, adeguandosi al clima di austerity in cui hanno cacciato il resto d'Italia.L'annuncio ad effetto è stato in sintesi questo: i deputati si taglieranno 1.300 euro di stipendio lordo al mese. I 200 deputati che ricoprono ruoli istituzionali (presidente Camera, presidenti commissioni, etc.) si taglieranno lo stipendio, invece, del 10%, pari a 300-400 euro. Malgrado si parta da un livello retributivo lordo molto alto (oltre 16 mila euro al mese), in effetti, pareva il primo timidissimo segnale per andare incontro agli italiani. E, invece, si è trattato dell'ennesimo bluff, di una colossale presa in giro, che non rappresenta nulla di diverso dal passato. I tagli teorici si sono tramutati in impedimento agli aumenti dello stipendioAnzitutto, chiariamo che 1.300 euro lordi corrispondono per un deputato a 700 euro netti in meno al mese. Basterebbe già questo dato per sgonfiare la portata della presunta rivoluzione. Ma facendo due conti, in realtà, si scopre che il taglio è solo teorico, nel senso che non comporterà alcuna riduzione dello stipendio netto del parlamentare. Vediamo perché. Da quest'anno, dopo pressioni molto forti della stampa e da parte dell'opinione pubblica, specie dopo l'ultimo massacro della previdenza a dicembre, anche i parlamentari hanno dovuto rinunciare a qualche privilegio da scandalo, come il vitalizio a 50 anni (sarà acquisito a 60 anni, mentre gli italiani potranno andare in pensione a regime a 66 anni), mentre il metodo di calcolo delle loro pensioni è stato tramutato dal retributivo al contributivo, così come è oggi per tutti gli italiani. Questo significa che anche i parlamentari percepiranno una pensione sulla base dei contributi versati, ma a differenza degli italiani, essi si sono riservati un metodo di computo fiscale dei contributi versati, in modo da tenere invariata la retribuzione netta. Come? Prevedendo la deduzione dei contributi pensionistici dalle tasse. In sostanza, è vero che i parlamentari pagano oggi più contributi, ma li scalano pari pari dalle tasse e con il risultato che alla fine si ritrovano 600-700 euro di reddito in più al mese, per effetto delle minori tasse pagate. Ecco, quindi, che per evitare l'ennesimo scandalo, che avrebbe comportato un'ulteriore indignazione nell'opinione pubblica, hanno deciso di "fingere" una riduzione dello stipendio, quando, in realtà, il taglio annunciato ieri ha come unico effetto di impedire che aumenti la loro retribuzione.Pertanto, dovremmo ringraziare i deputati per non essersi aumentati lo stipendio, non per esserselo ridotto. E il risparmio netto convoglierà in un fondo ad hoc, non andrà cioè a beneficio dei conti pubblici.Il Senato si deve ancora muovere, mentre entrambe le Camere annunciano che i tagli ai loro budget saranno determinati in concomitanza, per evitare riduzioni di spesa non concordate e differenti (non sia mai una tale iniquità!).