Pa' come padre

Figli di un solo Padre


Dopo più di 2000 anni di Cristianesimo, mi domando se abbiamo capito qualcosa oppure se, come gli apostoli, abbiamo ancora “il cuore indurito”. Corriamo, corriamo e alle volte magari ci fermiamo anche in preghiera. Così diciamo. Ma in realtà è soltanto un soliloquio, un parlarci addosso, senza provare ad amare.
Perché abbiamo perso di vista lo scandalo cristiano.Dio ci chiama per nome. Noi siamo suoi figli.Un figlio è scelto, scelto come si sceglie un dono, non come si sceglie al supermercato un prodotto piuttosto che un altro; è scelto perché accolto ed amato.L’assurdo risiede qui: Dio non mi ama perché mi ha scelto. Ma mi ha scelto perché mi ama e ogni giorno mi sceglie perché io possa essere amata.Amata prima di tutto: a priori, prima che io esistessi, prima che la creazione prendesse forma. Già allora il cuore di Dio si rallegrava al pensare la mia presenza.Amata gratis, per quello che sono, senza pretese, senza ricatti, senza rimpianti, senza contrattazioni o compravendite. L’amore di Dio non è come il nostro, non si basa sulla meritocrazia e sulle hit-parade. Per lui ognuno di noi è speciale perché sa che non c’è un’anima uguale all’altra, un sorriso, un passo, uno sguardo uguale ad un altro. Su ogni uomo la fantasia di Dio ha impresso una forma diversa e, a suo modo, particolare.Amata sempre. Dio non ha la mia incostanza e le mie oscillazioni lunatiche. Dio è fedele, mi ama in ogni istante, anche e soprattutto quando tento di sfuggirgli, anzi, è proprio allora che mi insegue e mi sommerge col suo amore infinito e persistente. È tenace il mio Dio, più tenace della mia testardaggine. Non mi molla un secondo, non mi perde di vista. E questo, pur senza violentare la mia libertà.La consapevolezza di essere figli è una rivoluzione scandalosa. Se sono figlio, lo sono sempre, non posso fare a meno di esserlo. Anche quando non mi comporto da figlio, anche quando non voglio esserlo, anche quando mi vergogno di esserlo, perfino quando osteggio, rifiuto, rinnego mio padre, continuo ad essere figlio e figlio amato.
Sono figlio, non servo. Posso ubbidire, per amore, ma nessuno può costringermi a farlo. Posso scegliere di rinunciare a tante cose, seguendo una mia libera scelta. Ma nessuno può togliermi la libertà. Perché sono figlio, non servo.Sono figlio, non operaio. Posso lavorare, faticare tutto il giorno, posso anche servire, posso fare lavori umili oppure lavori intellettuali. Ma non posso essere licenziato, perché nessuno mi ha preso ad ore.Dio non mi tratta né mi considera come un padrone fa con i suoi sottoposti. Non mi considera in base alla mia efficienza. La mia importanza trascende la “produttività”. Dio non mi ama per un secondo fine, un tornaconto di utilità.Dio mi ama. Punto.
Essere figli significa semplicemente questo. Ogni nostra azione non può che essere risposta ad un amore che ci precede, per cui non è possibile “avanzare diritti” nei confronti di Dio in base al nostro operato perché ogni cosa è dono Suo! Dio dimostra il suo amore perché, pur conoscendo ogni angolo del mio cuore, ha il coraggio e la faccia tosta di dire a me, a me personalmente, ciò che disse a Gesù nel Giordano: “Tu sei la mia figlia prediletta!”.Se sono figlio, sono benedetto come ogni figlio che è amato e accolto come un dono unico e prezioso ed io sono per lui così preziosa che senza di me mancherebbe un filo all’intreccio dell’universo. Non sono qui per caso. Dio mi ha cercato per seminarmi nel mondo, affinché possa portare frutto a suo tempo. Benedetto vuol dire che Dio, come direbbe S. Filippo Neri, pone ogni giorno due mani sulla mia testa per evitare  che ne combini qualcuna delle mie.“Ognuno è conosciuto personalmente e amato teneramente, anche quando non se ne rende conto” diceva Giovanni Paolo II a Tor Vergata. Però io scopro di avere un Padre che è padre di tutti proprio quando mi accorgo di esserne amata. Ed è solo quando mi accorgo di questo mistero che nel mio cuore inizia a sbocciare, tremulo e incerto, il primo germoglio di fede.