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Un blog creato da madda_13 il 29/05/2007

Pa' come padre

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Io sono stato molto vicino anche a quelli che non credono in Dio. Mi sono fatto l'idea che essi combattono, spesso, non Dio, ma l'idea sbagliata che essi hanno di Dio.

 

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BENEDETTO XVI

Abbi il coraggio di rischiare con Dio! Provaci!
Non aver paura di Lui!

Abbi il coraggio di rischiare con la fede!
Abbi il coraggio di rischiare con bontà!
Abbi il coraggio di rischiare con il cuore puro!

Compromettiti con Dio,
allora vedrai che proprio con ciò
la tua vita diventa ampia ed illuminata, non noiosa,
ma piena di infinite sorprese,
perché la bontà infinita di Dio non si esaurisce mai!


 

COME PATCH ADAMS...!

         CUORE E MANI APERTE      

 

CHI SPERA CAMMINA

Chi spera cammina,
non fugge!
Si incarna nella storia!
Costruisce il futuro,
non lo attende soltanto!
Ha la grinta del lottatore,
non la rassegnazione
di chi disarma!
Ha la passione
del veggente,
non l'aria avvilita di chi
si lascia andare.
Cambia la storia,
non la subisce!

DON TONINO BELLO

 

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Burundi 2007

Post n°30 pubblicato il 29 Agosto 2007 da madda_13
 

In molti mi avevano chiesto di raccontare... un po' perché è il fratello che non ho mai avuto, un po' perché è più bravo di me, un po' perché agli amici faccio volentieri pubblicità... lascio a lui l'onere e l'onore di mettere le parole a quest'avventura STRAORDINARIA... che fantastica storia è la VITA!

Lasciatevi incantare anche voi da questa storia VERA!

              UN VIAGGIO IN AFRICA

"Alzati, rivestiti di luce! (Is 60,1)
Che fantastica storia è la vita... "
da Il Giornale di Vicenza, mercoledì 29 agosto, pag. 53





Un viaggio geograficamente lunghissimo, più di 6000 km. Roma Fiumicino – Addis Abeba – Kigali – Bujumbura. Poi 5 ore di pullman per “sbarcare” a ‘Ngozi, Burundi del Nord. Un viaggio interiormente massacrante: dalla sicurezza della schiavitù occidentale al rischio della libertà africana. 17 ragazzi/e, due preti e un’attrice, Claudia Koll. Un viaggio di speranza e di rimpianti, di riflessione e tormento. Un viaggio per non vivere da anonimi su una terra sconosciuta.

Bagagli pieni di vestiti e di aiuti da portare, domande e paure da dissetare, sogni da rischiarare. Atterriamo e loro sono lì, vivono lì, scrivono la storia lì. Ma lì dove? Sulla strada, al massimo sotto un bananeto, aggrappati ad un camion, all’ombra di un immondiziaio. Chi sono? Sono loro, burundesi di nascita, di speranza e di futuro. Tutti in movimento, di corsa, a piedi, in groppa a qualche vacca, profughi stipati in camion merci che rientrano dopo la guerra. Dieci anni di massacri, di abomini, di morte. Poi il “cessate il fuoco”: ma quanto durerà? Eppure sembrano il popolo d’Israele che marcia nel deserto: sono migliaia, non hanno nulla (o forse hanno tutto, loro), spartiscono, dividono, moltiplicano. La vita la fanno andare avanti. Cos’è la rassegnazione?
Poi ci siamo noi, amasunghi (“uomini bianchi”) di nascita, per una volta minoranza tra loro. Ci guardano, ci studiano, ci sorridono, ci accerchiano. Ci accolgono! Alle sei del mattino s’apre la vita, alle sei del pomeriggio la vita serra le imposte. E’ il tempo! Tic – tac che risuonano al crescer dei rami, minuti regolati dall’ululato del cane, giorni scanditi da pascoli, mungiture e silenzi. Annate: somma di primavere, estati, autunni e inverni. Naturali… corporei… mentali. Non esistono orologi, esistono solo raggi di sole, luccichii di lune e sentieri di stelle. Come nella creazione biblica!


Puoi essere anche prete quaggiù… ma non puoi scrollarti di dosso l’odore dell’umanità. Tu rimani uomo. Perché il presente è piantato nel passato e il domani è sogno d’invenzioni riallacciate. E camminando tra i bananeti cresciuti al limitar della foresta… punti interrogativi! Tanti. Il solo modo di comporre storia abbeverandosi di stupore, ubriacandosi di meraviglia, dissetandosi di ingenuità. Perché ogni domanda è risposta ad una domanda inespressa…!
Terra rossa a confondere i volti, a seminare nebbia nell’anima, ad accogliere un Occidente forse ignaro di un’Africa meravigliosa nel suo zoppicare. Non chiedono pesci: reclamano d’insegnar loro a pescare. Pescare perché la vita non s’interrompa con l’ultima spina strappata al pesce arrostito sulle lamiere della capanna. Apprendere per poi insegnare!
Scendiamo e ci guardiamo in faccia: Lacoste, Fila, North East Saile, Eastpack, Champion, Bikkembergs. Tutta roba usata, vecchia ma che ci rammenta subito la nostra inadeguatezza, seppur velata da una tentata sobrietà. Al ritorno le borse saranno quasi vuote: anche se non arrivano…perdiamo poco! Spiacenti solamente di smarrire il profumo d’Africa.

Il mercato è vita! Suoni e colori, musica e contrattazioni, miseria e baratto, cipolle, banane e tonnellate di riso. Il mercato fa andare avanti la vita. Il mercato rovina la vita: ai bordi della strada, sotto le bancarelle, vagiti di neonati abbandonati, rassegnazione di madri, pugni di umanità aggomitolata su se stessa. Trovi lei, Bruna Girini da Brescia. Suor Bruna, la suora bianca! Da quasi 50 anni l’angelo custode dei bambini di ‘Ngozi. Lei passa, tutti si fermano, si levano il cappello, le porgono la mano. Eppure la sensualità non fa per lei, le misure sarebbero tutte sballate, il fisico non richiama attenzioni speciali. Solo una cosa fa inciampare il passo frettoloso e distratto: due occhi che spaccano. Sembra una scheggia impazzita: corre, fa la spesa, impreca al cellulare, parla con i bambini, con le mamme, con gli adulti, contratta, vende, presta, carica, scarica, regala sorrisi, stringe mani, accarezza piedi sanguinanti… Lei, occidentale benestante, quaggiù? Un giorno annusa un terreno: lo compra, costruisce una capanna:la chiama Giriteka (in kirundi: “Ritrova la dignità”). Il logo: tre bambini che si alzano da terra e vanno verso casa. Dalla polvere della strada al calore di un focolare: il viaggio degli ultimi in compagnia di Suor Bruna. Sembrano sue le parole scritte da Paolo di Tarso: “Fratelli, non è per me un vanto predicare il vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il vangelo” (1 Cor 9,16).
La Chiesa è vita! Musiche e danze, tamburi e voci, suoni profondi e voci acute. Varchi la porta della Chiesa e senti vibrare l’anima nascosta dell’Africa, il colore delle sue tradizioni, dei suoi riti, delle sue note dipinte all’ombra delle baracche di foglie. Chiesa viva, chiesa senza orologi, chiesa che denuncia. Chiesa che sostiene le redini di uno stato sull’orlo del tracollo. Economico, morale, umano. Un piccolo prete nero in mezzo a una turba di bianchi: padre Venant. Poco più di trent’anni, tredici passati in Italia a colorare il sogno del sacerdozio, la voglia di tornare laggiù, a Gisuru, in mezzo alla polvere che sin da bambino respirava calciando il pallone costruito con i guanti degli infermieri. La sua parrocchia è un disastro. O forse un segno di profezia. Manca la luce, l’acqua non arriva, la scuola non c’è. Ma butti lo sguardo oltre la porta e vedi il tabernacolo aperto: Lui c’è! Forse per questo non s’è ancora ammazzato. Non vuole compassione per il suo paese: al massimo qualche consiglio. Lui è convinto che la gente saprà risollevarsi tenendosi per mano. Prete, prete con la sua gente, prete per la sua gente!
Poco oltre campeggia una scritta: “The peace begins with a smile” (“La pace inizia con un sorriso”). Siamo all’entrata dell’orfanotrofio gestito dalle suore di Madre Teresa di Calcutta a Bujumbura, sulla riva del Lago Tanganica. Lei, la piccola suora che invitava a diventare santi, la senti vegliare tra i più poveri dei poveri che bussano a quel portone. Sembrano profezia le splendide parole del testamento di G.G.Marquez: “Ho imparato che tutto il mondo ama vivere/sulla cima della montagna,/senza sapere che la vera felicità/sta nel risalire la scarpata”.

L’Africa è vita! Terra di passaggi spalancati. La sua pista è scritta in cielo, costringe ad alzare gli occhi, insegna a dipendere da Qualcuno. “Come può vivere una vecchia tartaruga 300 anni ignara del cielo?” (A. KIAROSTAMI, regista israeliano). Una colonna di fuoco di notte e una colonna di nuvola al giorno tracciavano il percorso al popolo di Mosè. I greci per districarsi nei labirinti avevano bisogno di una chiave. L’Africa ti costringe a spogliarti per poterla osservare! “Cava i tuoi sandali” (Es 3,5) – è detto a Mosè presso il cespuglio in fiamme, perché quel suolo è sacro. I piedi devono essere nudi. “Corro scalzo per sentire meglio quello che mi sussurra la strada” (ABEBE BIKILA, maratoneta africano). Premessa essenziale dell’ascolto: aderenza al terreno, alla buccia, alla lettera senza la distanza indurita di un suolo. Scalza è la condizione dell’ascolto. L’Africa ti spoglia. Ti riduce all’essenziale. Ti priva del guardaroba. Ti toglie di dosso gli abiti che finora hai considerato assoluti. Ti fa sentire povero. Come una bisaccia vuota.
Ma solo la bisaccia vuota è pronta per essere riempita!

In aeroporto le scarpe firmate son sporche, i vestiti odorano di polvere, i profumi non rendono. A casa avremmo già recitato un rosario di lamentele. Quaggiù il solo pensiero fa arrossire. I miei ragazzi sorridono, le mie ragazze senza trucco son ancora più belle, Claudia Koll con il rosario in mano m’intriga ancor più che d’attrice.
Che contrappasso! Noi, esperti d’estetica, abbiamo dovuto scendere in Africa per vestirci di luce! “Alzati, rivestiti di luce” (Is 60,1-4).
Che figo un Dio così! Non puzza mai di scontato!



Don Marco Pozza
 
Rispondi al commento:
madda_13
madda_13 il 29/08/07 alle 18:20 via WEB
Ti affacci su questo terzo mondo, con curiosità, voglia di imparare, stupore e ti rendi conto che davvero questi bambini mi passano avanti... che si fanno 2 ore di cammino (+ 2 per il ritorno) ogni giorno per andare a Messa (4-5 h quella festiva...) e cantano e danzano, anche se i loro piedi sono nudi, anche se la loro maglietta non firmata è forse l'unica che hanno... E alle volte ti trovi impotente di fronte a bambini infermi in mezzo alla strada e cerchi con gli occhi qualcuno che ti dica che puoi fare e ti ritrovi a non poter "rialzare chi è caduto"... Ma su tutto resteranno sempre nei miei i bambini... il Burundi pare un popolo di bambini. Saltano fuori dappertutto: dalle capanne, dalle strade, dalle bancarelle, dai bananeti, dalla boscaglia e ti si fanno incontro solo per urlarti iambu ("ciao"), stringerti la mano, toccarti i capelli, saltarti in braccio come fossi una star... ecco la fiducia che hanno verso di noi, uomini bianchi... ecco come accolgono il nostro arrivo!!!... inutile dire che mi viene da pensare all'accoglienza che noi riserviamo loro... penso alla differenza con i nostri bambini.. viziati, capricciosi, mammoni, incapaci di condividere il molto che hanno... Di fronte a quegli occhi, a quelle mani,a quei sorrisi, alla loro pazienza, allla loro voglia di raccontarsi la domanda è: "Dov'è la civiltà? dove il progresso?". La loro carica umana ti sommerge, ti spiazza... loro sono RICCHI! Ricchi di umanità, simpatia, spontaneità, voglia di vivere, capacità di ricominciare. Chi pensa di andare in Africa per insegnare qualcosa si sbaglia...ve lo garantisco io... iniziate a prendere carta e penna per prendere appunti: in Africa si va per imparare. A vivere!
 
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