LA DEMOCRAZIA

TERMOVALORIZZATORI SONO LA SOLUZIONE QUASI PERFETTA PER RISOLVERE LA QUESTIONE SMALTIMENTO RIFIUTI.


Termovalorizzatori, la guerra dei dati: ce n’è davvero bisogno in Italia?Secondo i sostenitori della necessità di nuovi impianti le tonnellate di rifiuti che ancora finiscono in discarica e la distribuzione disomogenea dei ter-movalorizzatori sono emblematici del fabbisogno italiano. Ma non tutti sono d’accordo, e contestano gli studi alla radiceTiziano Rugi26 Ottobre 2021 “I fatti sono muti, essi parlano solo se c’è qualcuno che ne sa raccontare la storia”, scriveva John Stuart Mill. Lo stesso discorso, sostengono i filosofi della scienza, vale per i dati e le statistiche: parlano soltanto quando li si sappia interrogare, o a seconda di come lo si faccia.Viene da pensare a questo concetto nel momento in cui si tenta di orientarsi nel mare di numeri utilizzati per capire se l’Italia abbia davvero bisogno di nuovi termovalorizzatori, con posizioni nettamente distanti tra associazioni di settore e ambientaliste, nonostante i dati di partenza sullo smaltimento in discarica e il tasso di raccolta differenziata siano gli stessi.Cosa dicono i rapporti Fise e l’AntitrustPartiamo allora dall’analisi dei numeri. In Italia si producono ogni anno circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, di cui 6,3 milioni di tonnellate (dati del 2019), sono smaltiti in discarica. A cui si aggiungono 11,2 milioni di tonnellate di rifiuti speciali non recuperati (il 30 per cento del totale). Secondo Fise Assoambiente, che rappresenta le imprese private nella gestione dei servizi ambientali, questi dati portano a una inevitabile conseguenza. Le discariche italiane sono in sofferenza e la stima è che entro tre anni rischino il collasso.La riduzione del conferimento in discarica, secondo questi studi, passa dall’impiego dei termovalorizzatori, che attualmente in Italia sono 37 e bruciano circa 6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani. L’obiettivo sarebbe ridurre di almeno 3,1 milioni di tonnellate i rifiuti urbani smaltiti in discarica e colmare il deficit di 912mila tonnellate nel trattamento dei rifiuti organici. Per raggiungere il target, in base alle stime, sarebbero necessari almeno 6-7 nuovi termovalorizzatori di media taglia e un investimento complessivo compreso tra 2,2 e 2,5 miliardi di euro.Anche secondo i calcoli di Francesco Di Maria, professore di ingegneria all’Università di Perugia, il fabbisogno italiano sarebbe di circa 7 impianti. Il docente giunge a questa conclusione facendo un confronto con la Germania: “Ad oggi l’Italia ha una differenza in termini percentuali di rifiuti avviati a recupero di energia rispetto alla Germania di circa il 10 per cento. Rapportato al totale dei rifiuti prodotti nel nostro paese questo equivale a circa 3 milioni di tonnellate all’anno. Considerato che la dimensione economicamente sostenibile per nuovi impianti di incenerimento è una capacità di circa 400mila tonnellate/anno, risulta che l’Italia oggi avrebbe bisogno di circa 7 impianti”, spiega.Leggi anche: Termovalorizzatori, per gli ambientalisti meglio investire nell’economia circolareCosa contesta chi non è d’accordo con le stimeChi contesta le conclusioni sostiene però che gli studi si fondano su dati alterati da deduzioni ad hoc per sostenere la tesi del deficit impiantistico. Enzo Favoino, dell’associazione ambientalista Zero Waste Europe, che si batte per un mondo “a zero rifiuti”, critica in particolare quelli legati alle discariche.“Gli studi promossi da Fise Assoambiente o Utilitalia – sostiene Favoino – confrontano le performance dei moderni inceneritori europei con discariche concepite come se fossimo trent’anni fa, in cui manca persino il pre-trattamento dei rifiuti, che minimizza l’impatto ambientale della discarica e lo rende paragonabile all’impatto dei termovalorizzatori”. Due soluzioni, continua il ragionamento Favoino, comunque da evitare, perché l’Unione europea stessa indica la strada da seguire nella direzione del riciclo e della raccolta differenziata.Di stime fatte su deduzioni fuorvianti parla anche il deputato del Movimento 5 Stelle Alberto Zolezzi, membro della Commissione Ambiente. “Secondo lo scenario da loro delineato, da qui al 2035 la produzione di rifiuti urbani dovrebbe essere invariata – nota Zolezzi – mentre il rallentamento del tasso di crescita della popolazione e il rispetto degli obiettivi di prevenzione, raccolta differenziata e riciclo ne ridurranno l’entità”.Insomma, concorda Favoino, “non tengono neppure in considerazione che lo scenario sta cambiando. Per fare un esempio – continua il rappresentante di Zero Waste – gli studi continuano a ritenere che ci sarà anche nei prossimi anni un 50 per cento di plastiche difficili da riciclare come se non fosse stata introdotta la Direttiva ‘monouso’ dell’Unione europea”.Sicuramente è complicato fare delle previsioni che non siano contestabili. Paolo Ghezzi, ingegnere ambientale e docente del Sant’Anna di Pisa elenca quali sono le variabili da tenere in considerazione: “Le oscillazioni del Pil che portano con sé aumenti o riduzioni della produzione dei rifiuti, i tempi istruttori e di realizzazione di impianti così complessi, le politiche di prevenzione nella produzione di rifiuti e il potenziamento della raccolta differenziata e del riciclo, la possibilità di intervenire con maggiore efficienza anche nel recupero di materia dal residuo di rifiuto indifferenziato con le cosiddette fabbriche dei materiali”.Leggi anche: Termovalorizzatori, l’Unione europea è d’accordo o no sulla costruzione di nuovi impianti?Per il deputato Alberto Zolezzi i dati di Fise partono da premesse incompleteNon c’è accordo, però, nemmeno sull’aspetto fondamentale per sviluppare un discorso, ovvero il numero di impianti di cui l’Italia dispone. Per Zolezzi, si tratta di numeri incompleti: “La stessa Fise ammette di non considerare l’eventuale apporto del coincenerimento, pur riconoscendo l’esistenza di altri impianti che potenzialmente possono concorrere alla saturazione del fabbisogno”.Si tratta di tutti quegli impianti utilizzati per bruciare rifiuti nel contesto delle attività produttive. In Italia, secondo il rapporto di Ispra del 2020, ci sono 13 impianti che effettuano il coincenerimento dei rifiuti urbani. Al coincenerimento presso impianti produttivi (cementifici, produzione energia elettrica e lavorazione legno) sono avviate quasi 367mila tonnellate di rifiuti urbani, ovvero circa l’1 per cento del totale prodotto, a cui si aggiungono 2 milioni di tonnellate di rifiuti speciali.Per Zolezzi questi numeri andrebbero contati quando si fanno le stime per stabilire il fabbisogno italiano di impianti. “Il quantitativo di rifiuti che potenzialmente possono finire inceneriti è dunque di gran lunga più elevato di quello che si crede. Per tutte queste ragioni – conclude il deputato della Commissione Ambiente – con i dati attuali non si può affermare in maniera incontestabile che ci sia necessità di nuovi termovalorizzatori in Italia”.Mentre si potrebbe fare di più concentrandosi sull’efficacia di tutti gli impianti che trattano organico ad oggi in funzione. Ghezzi cita uno studio del Sant’Anna di Pisa secondo cui su 45 impianti, con capacità dalle 30mila alle 150mila tonnellate, esiste ancora un 25 per cento di capacità di trattamento che potrebbe essere utilizzata. Per Zolezzi, invece, parte della soluzione verrebbe dal miglioramento delle tecnologie di selezione della frazione secca per facilitare il recupero di materia.Leggi anche: “No a inceneritori ed estrazioni di gas nel Pnrr”. Gli orientamenti della Commissione UEAl Centro-Sud servono più termovalorizzatori? A “complicare” le cose, si inseriscono le norme dell’Unione europea: “Entro quindici anni, i rifiuti riciclati dovranno superare il 65 per cento del totale – spiega Paolo Ghezzi – e solo il 10 per cento dovrà andare in discarica. A parità di produzione, esiste un 25 per cento, e si parla di 8 milioni di tonnellate di rifiuti, per cui sembra necessario trovare una soluzione in tempi rapidi”.Una posizione condivisa dall’Antitrust, che evidenzia “una situazione di particolare pressione sulla capacità di termovalorizzazione esistente sul territorio” e un “rilevante gap impiantistico, soprattutto nel Centro-Sud del Paese”. È qui, secondo le elaborazioni, che andrebbe destinato il 75 per cento dei nuovi impianti di recupero energetico da aggiungere ai 37 attualmente attivi in Italia e quasi tutti concentrati nel Nord.In particolare, in base ai calcoli fatti da “The European House-Ambrosetti”, tra le regioni che avrebbero bisogno di nuovi termovalorizzatori, ci sarebbe in primis la Sicilia, con un deficit calcolato in 666mila tonnellate di rifiuti urbani, seguita da Puglia, Lazio, Veneto e Toscana. In quest’ultime regioni, il gap da colmare si posiziona mediamente intorno alle 500mila tonnellate.“Al nord abbiamo più inceneritori semplicemente perché là ci sono più attività produttive”, sostiene di contro Zolezzi: “Invece di costruire nuovi impianti, che richiedono anni, prima di arrivare a livelli omogenei sul territorio nazionale di raccolta differenziata, le Regioni del Sud possono continuare ad appoggiarsi agli impianti del Nord, che appaiono persino sovradimensionati”.Una soluzione che, però, a dimostrazione di quanto sia intricata la materia, non convince Paolo Ghezzi: “Non interrompere il flusso di rifiuti dal Sud Italia, carente di impianti, verso il Nord, comporta una perdita di opportunità economiche delle comunità locali e incrementa i costi di smaltimento e delle emissioni inquinanti in atmosfera collegate ai trasporti”, commenta il professore.Leggi anche: Decreto semplificazioni? Per l’economia circolare solo un maquillage, mentre si agevola l’incenerimentoLe differenze tra Nord e Sud per smaltimento in discarica e differenziataPartendo dal ricorso in discarica, Lombardia ed Emilia-Romagna hanno in media un tasso di conferimento del 5,2 per cento, la Sicilia del 58 per cento, la Puglia il 47,5 per cento. Un divario molto ampio, che porterebbe le Regioni del Sud Italia ad avere un collasso del sistema entro il prossimo anno e mezzo, addirittura sei mesi per quanto riguarda la Sardegna (stime Ambrosetti).Proprio il caso della Sardegna, però, secondo Favoino è emblematico per capire come si consideri solo un aspetto del problema. La Sardegna, infatti, con il 73,3 per cento, è la seconda Regione italiana per raccolta differenziata, dietro al Veneto e davanti a Trentino-Alto Adige e Lombardia: “Eppure la Sardegna ha pochi inceneritori: uno a Cagliari e uno a Macomer, in Provincia di Nuoro, che è stato bloccato e non viene neppure riattivato”, fa notare Favoino.Se è vero che altre Regioni del Mezzogiorno come Basilicata, Calabria e Sicilia differenziano meno del 50 per cento dei rifiuti urbani, non è il caso di generalizzare con un Nord virtuoso e un Sud no. La Campania con il 4,5 per cento è la Regione italiana che ricorre meno alle discariche per i rifiuti urbani e le Province di Salerno e Avellino hanno tassi veneti per quanto riguarda la raccolta differenziata.Chi apre ai termovalorizzatori, con riservaAntonio Pergolizzi, esperto ambientale e saggista, ritiene sia necessario valutare caso per caso, partendo dalle situazioni in cui ci sia una evidente difficoltà nella chiusura del ciclo dei rifiuti: “I termovalorizzatori possono essere una soluzione, perché altrimenti troppi rifiuti continuano a essere smaltiti in discarica”, sostiene.“Senza dimenticare, però – continua Pergolizzi – che si tratta di impianti di ‘emergenza’, che sopperiscono a mancanze nella raccolta differenziata e nel riciclo. Soprattutto, l’emergenza non può essere utilizzata come scusa per realizzarli anche dove i dati non lo legittimano per aggirare rapidamente un problema causato da inefficienze delle amministrazioni o per l’assenza di visione della classe dirigente industriale”, conclude l’esperto ambientale.Anche secondo Paolo Ghezzi troppo spesso le difficoltà croniche nel settore dei rifiuti “diventano una scusante per procrastinare scelte compensative nel breve termine da parte del decisore pubblico e l’adozione di soluzioni di emergenza, con il rischio di gestioni ‘grigie’ e addirittura infiltrazioni malavitose”.Tuttavia, “gli impianti servono eccome”, sostiene Ghezzi. “Siamo in un ritardo per certi aspetti difficilmente recuperabile e nel settore dei rifiuti speciali, che per quantità è tre volte quello degli urbani, presto saremo al collasso sistemico, con ripercussioni significative sui costi per le aziende. Nel frattempo ogni giorno vanno gestite 82mila tonnellate in carenza di impianti”.Questo, però, precisa Ghezzi, non significa fare forzature sulle priorità europee: “E la valorizzazione energetica dei rifiuti non è nei primi obiettivi da perseguire nemmeno nelle direttive europee e viene dopo la riduzione degli scarti, mentre, a livello globale, sono priorità le ‘transizioni’, la sostenibilità attraverso la circolarità e, ancor più in prospettiva, la decarbonizzazione”.Tutti elementi, per i fautori del no ai termovalorizzatori, che dovrebbero indurre a concentrare l’attenzione su altre tematiche. Valutando gli impatti potenzialmente negativi sull’ambiente e sul tasso di crescita della raccolta differenziata dell’utilizzo dei termovalorizzatori: una “scorciatoria”, dal loro punto di vista, poco orientata sul medio-lungo periodo. ELEMENTI RICAVATI DAL SITO WEB:https://economiacircolare.com/termovalorizzatori-guerra-dati-italia/ Ecco perché non abbiamo bisogno di altri inceneritori. Anche i più moderni non producono solo vapore acqueo…Francesca Mancuso20 Novembre 2018Inceneritori, un tema caldo, che negli ultimi giorni ha acceso le polemiche nel cuore del governo. Il punto è sempre lo stesso: sono davvero utili all’Italia? Ma soprattutto occorre davvero costruirne degli altri?Una questione annosa, che da sempre divide mettendo da una parte chi pensa che trasformare i rifiuti in energia sia necessario, dall’altra chi invece punterebbe maggiormente sul riciclo e sul trasformazione dei rifiuti in nuovi materiali.Gli inceneritori italianiSecondo l’ultimo rapporto Ispra, nel nostro paese sono operativi 41 impianti di incenerimento che trattano rifiuti urbani, non distribuiti in maniera uniforme sul territorio nazionale. Il 63% si trova al Nord (26 impianti) e, in particolare, in Lombardia e in Emilia Romagna con 13 ed 8 impianti operativi. Al Centro e al Sud, gli impianti operativi sono rispettivamente 8 e 7.Nel 2016 è stato incenerito circa il 18% dei rifiuti urbani, in calo di 1 punto percentuale rispetto al 2015. In discesa anche la quantità di rifiuti pro capite inceneriti, passati da 92 kg/abitante per l’anno del 2015 a 89 per il 2016. Su base regionale, la maggiore quantità di rifiuti inceneriti è in Lombardia col 34% del totale nazionale. A seguire, l’Emilia Romagna (18%), la Campania (13%), il Piemonte (8%), il Lazio (7%), la Toscana (5%), il Veneto (4%), il Trentino Alto Adige il Friuli Venezia Giulia la Sardegna e il Molise (2%), ed infine Puglia, Calabria e Basilicata (1%). Gli inceneritori servono davvero?Secondo Legambiente, abbiamo un quadro impiantistico di incenerimento saturo, regioni in cui la capacità di combustione dei rifiuti è addirittura eccessiva e sovradimensionata, come in Lombardia e in Emilia Romagna. In altre, soprattutto al centro sud, sono stati costruiti negli ultimi 10 – 15 anni impianti ""per bruciare i rifiuti per colmare un deficit impiantistico ‘immaginario’, spacciato furbescamente come uno dei motivi alla base delle emergenze rifiuti; ci sono regioni dove i risibili quantitativi di rifiuti in gioco rendono superfluo realizzare un impianto dedicato. In questo scenario non ha più senso costruire nuovi impianti di incenerimento/gassificazione per rifiuti (il contrario sarebbe un incomprensibile regalo alla lobby dell’incenerimento). È invece fondamentale procedere alla realizzazione di impianti di digestione anaerobica per l’organico da raccolta differenziata e per altri rifiuti biodegradabili compatibili”. "" La vera sfida non è il facile (ma costoso e dispendioso) incenerimento, ma una corretta raccolta differenziata e un sistema di trasformazione dei rifiuti, che in questo modo possono tornare a nuova vita sula base dei principi dell’economia circolare.Perché convertire i rifiuti in energia quando invece potrebbero tornare nel ciclo produttivo?Va detto però che, soprattutto nel Nord Europa, gli inceneritori vengono molto utilizzati.L’inceneritore con pista da sci di CopenaghenIn questi giorni sta facendo parlare di se l’avveniristico impianto di Copenhagen, di recente apertura, che ospita sul tetto anche percorsi di trekking e una pista da sci. Un termovalorizzatore innovativo, non c’è dubbio, in grado di produrre una quantità ridotta di inquinanti rispetto ad altri.Soprannominato Copenhill perché aspira a diventare una collina verde nel cuore della capitale danese, è stato costruito da una società formata da 5 Comuni, prendendo il posto di un vecchio inceneritore. Con due linee di combustione, è in grado di bruciare 70 tonnellate di rifiuti all’ora. L’energia generata dalla combustione alimenta 50mila abitazioni e fornisce calore a 120mila.Ma non produce solo vapore acqueo, come spesso abbiamo sentito dire. Anche se le emissioni sono certamente inferiori rispetto a quelle di colleghi più datati, l’inceneritore di Copenhagen produce ossidi di azoto (che secondo i produttori non supereranno i 15 mg/Nm3), monossido di carbonio e ammoniaca. Secondo la presidente nazionale degli Amici della Terra Monica Tommasi“In Europa e in Italia, le regioni dotate di inceneritori per il recupero di energia sono le uniche anche in grado di recuperare la materia, riciclando la gran parte dei rifiuti prodotti. Tutte le altre regioni, soprattutto quelle con un grave deficit di impiantistica, hanno ancora un esagerato conferimento in discarica e un imbarazzante export di rifiuti. Le discariche hanno un grande impatto ambientale, sono tra i più importanti produttori di gas ad effetto serra (metano ed anidride carbonica), emettono sostanze tossiche nel suolo, nelle acque e nell’aria, sia quando sono in esercizio, sia per diversi secoli dopo la chiusura. Costituiscono un grande danno per l’ambiente e per l’economia”.Il Ministro dell’ambiente Costa dice no agli inceneritoriSecondo il Ministro dell’ambiente Costa, non serve realizzare nuovi inceneritori:   ""“Al di là delle motivazioni ideologiche, puntare sugli inceneritori è oggi una scelta antieconomica e tecnicamente non condivisibile. La dimostrazione è quello che sta accadendo il Veneto, come leggete in questo post, dove gli #inceneritori li stanno spegnendo. Senza contare che siamo a Caserta per affrontare l’emergenza roghi tossici degli impianti di stoccaggio e dei trattamenti dei rifiuti e non ‘l’emergenza rifiuti’. "" Il Governo smorza i toni della polemicaLa bagarre tra Lega e 5 Stelle, i primi a favore, i secondi contro la realizzazione di nuovi impianti, è stata messa a tacere da un comunicato congiunto da parte del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dei due vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini.“Il governo lavora a una soluzione condivisa e senza polemiche. L’obiettivo è sempre la tutela della salute e del territorio. Il contratto di governo sul tema generale dei rifiuti esprime un chiaro indirizzo politico-amministrativo: dobbiamo lavorare per realizzare quanto prima una completa economia circolare e rendere ‘verde’ il nostro sistema economico. Questo significa lavorare a difendere la cultura del ‘riciclo’ e rendere i rifiuti ‘prodotti’, puntando alla capillare diffusione della raccolta differenziata. Il governo dunque si impegna al contempo a gestire le criticità che nel periodo di transizione dovessero manifestarsi, affidando al ministro dell’Ambiente le proposte e la prevenzione di queste criticità per una soluzione innovativa, concreta, realizzabile”ELEMENTI INFORMATIVI TRATTI DAL SITO WEB: https://www.greenme.it/approfondire/inceneritori-italia/leggendo gli elementi informativi sopra esposti e che non sono per nulla allineati, appare comunque chiaro ed evidente che anche l'ITALIA , per tentare di risolvere la questione smaltimento corretta ed in sicurezza ricavandone anche grandiquantità di utilissima energia da trasformare poi in gas ed anche in elettricità, proprio nel momento attuale che vede abnormi aumenti dell'elettricità e del gas, non può a medio termine, sottrarsi alla realizzazione di grandi e medi termovalorizzatori o digestori di organico , per ottenere lo scopo di non  continuare ad avvelenare le terre comè accaduto drammaticamente in CAMPANIA  ed altri luoghi come le terre di BUSSI legate alla famigerata frabbrica MONTECATINI ed altre zone d'ITALIA ormai perse completamente come quelle circostanti alla ex fabbrica ILVA  di TARANTO.Che piaccia o meno dovremo costruirne anche noi come hanno già fatto utilmente moltissimi PAESI  nordici.E questo ci consentirà di smettere di trasferire enormi quantità di rifiuti specialmente al nord Europa e specificatamente in GERMANIA che , finora, s'è arricchita con gli stessi, trasformandoli utilmente in materia prima per produrre energia elettrica nei modi che sappiamo tutti.BASTA ATTACCHI TERRORISTICI DA PARTE DEI COSIDDETTI AMBIENTALISTI CONTRO L'INSTALLAZIONE DEI TERMOVALORIZZATORI VISTO I RISULTATI ECCELLENTI  OTTENUTI PER ESEMPIO DALLA CITTA' DI COPENAGHEN SOPRA DESCRITTI.Cuneo,li 07.02.2022Rinaldo