Gesù Cristo è Dio

Meditazione sul Padre Nostro


 ''Meditazione sul Padre Nostro'' di Rosy Romeo  Che sei nei cielitratto da :http://spadaaduetagli.oneminutesite.it/Quando preghiamo e diciamo "Padre nostro che sei nei cieli", siamo portati ad alzare gli occhi al cielo, pensando che Dio sia lassù, nel cielo azzurro. Così, però, siamo tentati di sentirlo lontano da noi, infilato in uno spazio definito, dato che il cielo che noi vediamo è una piccolissima fetta di un cosmo sconfinato e questo spazio immenso è troppo per noi. In tal modo sarebbe distante, astratto. Che padre sarebbe se mantenesse le distanze da noi? No, l'espressione "i cieli" non rappresenta un posto fisico, ma indica la sua maestà e nello stesso tempo la sua umiltà nell'insediarsi nel cuore dei suoi amati. E' una dimensione particolare che ci permette di essere suoi figli, di sentirci suoi e sentirlo nostro, il preludio del Paradiso.Nel Vangelo secondo Luca questa espressione non è riportata poiché Luca si rivolge ai pagani di cultura greca che non avevano conoscenza delle Scritture, mentre Matteo si rivolge agli Ebrei convertiti al cristianesimo che conoscevano molto bene l'Antico Testamento. Per gli antichi Ebrei il cielo era come un telo che sosteneva le acque al di sopra del cielo stesso, su cui stava il Trono di Dio. Nel linguaggio della Bibbia essere o abitare nei cieli significa essere molto diversi da noi. Infatti, l'uomo è legato allo spazio e al tempo, per cui, se si trova in un luogo, non può essere in un altro né può tornare a vivere il giorno prima o anticipare il giorno dopo. Dio, invece, è in ogni luogo e in ogni tempo. Se abita nel mio cuore non ha lasciato il tuo e contemporaneamente si trova fra i suoi figli perseguitati in Pakistan e in qualsiasi altro luogo. Questo ci dà una grande responsabilità, poiché non possiamo permetterci di perdere l'occasione di ospitare Dio nel nostro cuore, dobbiamo sforzarci quanto più è possibile di mantenerlo puro, coltivando la pianticella dell'amore che comunque ci è donata. Infatti: "Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui" (Gv 4, 16) e "Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?" (1Cor 3,16).Non è sbagliato alzare gli occhi al cielo quando preghiamo il Padre. Gesù pregava così. Sta a indicare chiaramente che la paternità di Dio è di natura nettamente superiore a quella terrena. L'alto indica la trascendenza, l'infinito. Nell'Ascensione gli Apostoli contemplarono Gesù che saliva verso l'alto. Quindi è bello stare a pregare dritti, in piedi, da risorti, guardando in alto per contemplare anche noi, con gli occhi dell'anima, Gesù nel Padre, e con le mani alzate, nell'atto di offrire la nostra umanità e accogliere la sua divinità. Tuttavia non è sbagliato nemmeno raccogliersi in se stessi, magari a occhi chiusi, perché il Padre è dentro e fuori di noi; ovunque Lo pensiamo Egli è. Pregare raccolti esprime un grande desiderio di purificazione e unione con Dio. Non possiamo rischiare di perdere l'occasione di ospitare Dio nel nostro cuore e contemplarlo di continuo. Una volta gustata la sua presenza, non se ne può fare a meno, e se, per nostra disgrazia, dovesse capitarci di perderla a causa del nostro egoismo, poveri noi. Nel nostro cuore si aprirebbe una voragine incolmabile. Spesso non crediamo o non pensiamo che il Padre ci sia così vicino, che possa essere un tutt'uno con la nostra anima, un'unità che noi scindiamo solo col peccato. Siamo fatti a sua immagine e somiglianza e questo non significa che Dio ha gli occhi, i capelli, le gambe, ecc., ma che siamo fatti di amore, di luce, di gioia immensa. Ogni anima è un cielo in cui il Padre si compiace di abitare, vi si trova a suo perfetto agio. Che dimora potremmo preparare noi, misere creature, per Lui? Ha provveduto da sé a costruirsela come uno dei suoi cieli. A noi il compito di mantenerlo sgombro da nubi. Riporto un brano tratto da "Le mie confessioni" di S. Agostino, che molto bene rende ciò che voglio dire: "Tardi ti ho amato, Bellezza così antica e così nuova, tardi ti ho amato. Tu eri dentro di me e io fuori di me. Lì fuori ti cercavo e sulle belle forme che hai creato, privo di bellezza, mi gettavo. Tu eri con me, ma io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle cose che non esisterebbero se non vivessero in te".Sovente speriamo che venga a trovarci un personaggio di riguardo per potercene gloriare con gli amici, ma chi può essere più illustre del Papà che ci dona la grazia più grande e cioè se stesso?Meditazione sul ''Padre Nostro'' di Rosy RomeoPadre Nostro Quante volte recitiamo questa preghiera durante le nostre giornate! La diciamo tante di quelle volte che dimentichiamo di pregarla, trasformandola così in una semplice devozione. Dico quest'orazione, qualche minuto, e sono a posto col Signore! Non facciamo caso che è soprattutto vita. Confrontiamoci con quel grande santo che tutti ammiriamo su questa questione. Parlo di San Francesco. Una sera volle fare una gara con fra' Masseo; lo sfidò a recitare quanti più "Padre nostro" possibili curando di contarli con i sassolini. L'indomani fra' Masseo mostrò giulivo le mani piene di sassolini e S. Francesco lo lodò perché lui non ne aveva recitato neanche uno. Infatti si era fermato alla prima parola, "Padre", contemplandola e andando in estasi tutta la notte.PADRE! Innanzitutto c'è da dire che Gesù parlava in aramaico e, in quella lingua, diceva "Abbà", non per significare un formale "padre", ma un confidenziale "papà". E' il richiamo del bambino verso chi lo ha generato e veglia su di lui. Ed è naturale che fra padre e figlio vi sia un amore che unisce in una relazione confidenziale, riconoscendo una certa identità. Fanno parte della stessa famiglia, il padre trasferisce al figlio le sue conoscenze e la sua mentalità cosicché, se veramente c'è unione fra i due, capita di parlare con uno pensando all'altro. Come si suol dire: tale padre, tale figlio. Se è così nella famiglia umana, quanto più in quella divina! Gesù si esalta quando si rivolge al Padre: "Io ti rendo lode o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto" (Mt 11, 25-26). Conosce già la sua decisione quando prega per l'amico Lazzaro. Dice che ha già contato i capelli del nostro capo. Si dona nel Giardino degli Ulivi con la sicurezza, pur dolorosa, di chi sa che il Padre decide il meglio per chi ama. Gli raccomanda i suoi con decisione: "Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io" (Gv 17,24). Dice "voglio" perché ha piena fiducia nell'ascolto accondiscendente del Padre. Non esita a presentare la sua misericordia con la parabola del figliol prodigo perché ne conosce la profondità del cuore. L'amore li lega a tal punto da essere l'uno nell'altro, da essere Uno, fino a dare la garanzia che il Padre ascolta le preghiere fatte nel suo nome.Ma dice anche "nostro", quindi suo e mio, mio e tuo, nostro ... vostro ... di tutti. Tutti nella stessa famiglia. Che strano, diciamo tranquillamente "Padre nostro" e non pensiamo che è il Padre anche di chi ci offende o ci schernisce o semplicemente ci ignora. Sono tutti fratelli nostri, tutti figli del Padre, tutti "Barabba", come noi. Anche se siamo soli a pregare il "Padre nostro", stiamo intercedendo a favore di tutti i nostri fratelli, per tutti offriamo e chiediamo, a nome di tutti riconosciamo in Dio il nostro Padre in cielo e in terra e crediamo che, come tale, ha disposto un disegno particolare per ognuno. Riconoscersi come suoi figli significa accettare questo disegno e uniformarsi a esso, anche quando questo non soddisfa i nostri canoni di felicità. Sempre dobbiamo tenere presente che un programma di educazione è spesso incomprensibile e doloroso per un educando, ma necessario in vista di un bene futuro. E' un dire a Dio: "Sì, so bene di non capire qual è il mio bene, ma so che ci sei Tu a indicarmi la strada per raggiungerlo, perché dall'eternità mi conosci meglio di mia madre, meglio di me stesso. Allora grazie perché dall'alto dei cieli ti pieghi sulla mia piccolezza e ti prendi cura della mia anima. In Te è tutta la mia fiducia. Ecco, tutto questo è racchiuso in quella invocazione. Quando diciamo "Padre", dunque, ci stiamo presentando non come magistrati o contadini o insegnanti, teologi, casalinghe, ma come figli tutti uguali, tutti peccatori, tutti amati. Se apriamo le nostre mani e le solleviamo verso il cielo e preghiamo il "Padre nostro", è come se su quelle mani ci fosse tutta l'umanità e in nome di tutti stiamo accettando i suoi doni. Siamo fratelli di Gesù e come tali siamo suoi coeredi e viviamo all'interno della famiglia trinitaria. In una società che non dà motivi di speranza, diamo spazio allo Spirito Santo e in Lui gridiamo "Abbà", "Papà", solo in Te la nostra speranza.                                                                                                   rosy romeo