COMPAGNIA DELL'EST

Ilnuovo leader del Pd


Da Il Giornale del 20 Febbraio 2009Ma il mister X ideale viene da destraIl laico, sociale e antifascista FiniIn assenza di rivali credibili il presidente della Camera potrebbe guidare il Pd: antico e moderno, elitario e popolare, soprattutto telegenico. E mai stato comunistaDi Stenio Solinas     Il copyright, lo confesso, non è del tutto mio, ma io ci metto il know-­how, che è poi quello che serve e che conta nel tempo dell'I Care e dello Yes, we can... E quindi, e insomma, Why not Gianfranco Fini al posto di Walter Veltroni? L'idea me l'hanno data il pro­fessor Roberto Zavaglia, che è uno dei migliori analisti di politica internazionale in circolazione, e Andrea Marcenaro, ovvero il re dei corsivisti italiani, l'uno a voce, a cena, l'altro per iscritto, sul suo giornale, Il foglio, ma quella che per loro è una boutade, può anche divenire, come avrebbe detto Ciriaco De Mita, «un ragionamento politico». Seguitemi. Si sa che Fini è stato fascista nella stessa logica con cui è divenuto antifascista. È un professionista della politica, ovvero un contenitore vuoto disponibile a riempirsi del liquido rite­nuto in quel momento più potabile. La Destra oggi soffre di un problema di sovrappopolamento: ce n'è troppa, con troppi leader più o meno in compe­tition e tuttavia con un capo incontrastato qual è Berlusconi. A lungo Fini si è immaginato come suo delfino, ma la scienza medica è contro di lui. È dell'al­tro giorno la notizia di un vaccino che, stando a dei ricercatori statunitensi, porterebbe l'età media oltre il secolo di vita... Fra trent'anni, insomma, avre­mo ancora Silvio premier e Gianfran­co in lista d'attesa... È una strada chiu­sa. A Sinistra invece c'è il caos e la stra­da è aperta. Un po' perché le sconfitte elettorali hanno sempre molti padri, un po' perché quella generazione di cinquantenni è alla frutta, usurata dal suo continuo fondarsi e rifondarsi, dall'eccesso di sigle con cui si è nel tempo ribattezzata, dalla smania fratricida che l'ha pervasa, un pugnalarsi freneticamen­te alle spalle... È un caos uma­no, nel senso di leadership, ma anche politico, in quanto che cosa sia la Sinistra, che cosa sia di sinistra, nessuno lo sa più. La confusione è tal­mente grande sotto quel cie­lo che alle ultime elezioni re­gionali si e giocata la carta di un sardo-capitalista, Renato So­ru, e su Repubblica l'intellettua­le di riferimento Michele Serra si è riscoperto un teorico del Law and Order: ronde, vigilantes, magari qualche sana impicca­gione preventiva ai lampioni del centro e della periferia... La deriva, dunque, è evidente, quella di una Sinistra che in mancanza d'altro scimmiotta la Destra, butta via Il Capitale e insegue i capitalisti. Chi dunque meglio di Gianfranco Fini la può rimettere in carreggiata, ri­dargli quell'anima sociale e solida­le che è andata perduta fra l'acqui­sto di una barca nel Salento, una banca in Lombardia e tre camere a Manhattan? Fini, per fare solo qual­che esempio, si è dichiarato favore­vole al diritto di voto per gli immigra­ti, difende la laicità dello Stato e l'au­tonomia dell'individuo, è per le cop­pie di fatto ed è un critico severo del cesarismo, sia vero sia presunto, ha inaugurato la sua chat-on-line e ha già fatto sapere che il Festival di Sanremo non gli piace. In una parola, e insieme moderno e antico, elitario e popo­lare e non è forse questo il modo mi­gliore per incarnare oggi la Sinistra? Il linguaggio, poi. Diciamoci la verità, la «lingua di legno» di Veltroni&C si è da tempo fatta insopportabile, un ritualismo bugiardo e fumoso dietro il quale si nasconde la tota­le mancanza di contenuti. Fini, invece, pur senza dire niente lo dice bene, e questo è se non al­tro un passo avanti sulla strada della chiarezza. Non siete con­vinti? Va bene, mettiamo giù allora il carico da novanta del­la telegenia. Si sa che il Cavalie­re nero vince anche per questo e certo se gli opponi i borborigmi di Prodi, l'espressione patibolare di Fassino, il doppio mento di Vel­troni, dove vuoi andare? Qui in­vece c'è un ancor piacente cin­quantenne, un po' stagionato ma sempre abbronzato, fresco papà, sub esperto. Vuoi mettere? Con lui sì che si riequilibra la partita, basta con le me­lensaggini piccolo-borghesi di pull­man, caminetti, biciclette, mezze-cal­zette...    Ma, dice qualcuno, ci sarebbe anche la carta Bersani... Dico, scherziamo? Bersani è di Piacenza, Fini è di Bologna, dialetto per dialetto meglio la dot­ta e la grassa Bologna che la irrimedia­bilmente provinciale Piacenza. Poi Bersani è calvo e non ha alcuna inten­zione di ricorrere al trapianto, laddove Fini i capelli ce l'ha ancora e quindi non ha bisogno di procurarseli artifi­cialmente. Infine, Bersani vuol dire D'Alema e allora siamo da capo a dodi­ci, si ritorna alla celebre invettiva mo­rettiana: «Con questi leader non vince­remo mai»... E l'antico fascismo finia­no, diranno i duri e puri, gli inguaribili, gli immarcescibili? Be', il Duce all'ini­zio era socialista, che c'è di male a sperimentare il percorso inverso? Del re­sto, se Veltroni non è mai stato comuni­sta, nemmeno da piccolo, se Violante dice da grande di vergognarsene, Fini almeno può affermare con orgoglio che questo tipo di abiura non ha biso­gno di farla, lui comunista non è mai stato. Quanto al «nero» peccato origina­le, si è già cosparso più volte il capo di cenere, e per la verità non solo quel­lo... Da qualunque parte la si guardi, la candidatura di Fini alla guida dei Pd è perfetta. È una figura istituzionale, e stato ministro degli Esteri e vicepresi­dente del Consiglio, e un paladino del­la Costituzione, è alto come Obama... Si può fare, insomma, Yes we can.