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Post N° 20


 Nostalgjia                                                 music: Ainda - MadredeusLa casa. Un ampio appartamento a pianterreno con quattro stanze, un ingresso, un bagno, un gabbiotto con un altro gabinetto, una cucina e un lunghissimo corridoio che dava l’impressione di non portare da nessuna parte. In fondo al corridoio su un piedistallo una statua dai seni piccoli e i capelli raccolti, in atteggiamento aggraziato e fiero, che mio fratello ed io bersagliavamo con palline di plastica.Sul lato destro del corridoio un’ampia vetrata (suddivisa da un reticolo di nervature in quattrocento piccoli vetri) che dava sul cortile interno, dove s’affacciavano una piccola ditta di pezzi di ricambio per automobili, la casa signorile dei padroni di casa e una zona neutra di cui non riesco a fissare i contorni. La casa mi appariva come uno spazio che univa materiali eterogenei e irriducibili: il vetro, il legno, le piastrelle, l’acciaio, i mattoni sembravano provenire da ambienti e vite diverse, avevano l’aria di essersi incontrati lì casualmente e di guardarsi con un sospetto non temperato dalla lunga coabitazione.In realtà, non era quella la mia prima casa torinese. Prima ancora, agli albori della memoria, stavamo al terzo piano dello stesso edificio, in un appartamento più ristretto e soffocante. Ma di quel luogo non ho conservato quasi nessun ricordo, tranne la caduta mentre inseguivo una palla e il volo attraverso la porta-finestra del balcone, l’arrivo terrorizzato di mia madre, il sangue delle sue mani che si mescolava con quello della mia gola.Papà era una presenza imponente, ma virtuale. Lavorava come un matto dalle cinque del mattino alle nove di sera, lo vedevamo quasi solo la Domenica.I primi ricordi che conservo di lui sono una saponetta che lasciava scivolare nella vasca da bagno, così che ne potessimo seguire le traiettorie e le discussioni accese con mamma, verso la fine del mese, per fare quadrare i conti. Crescendo, ho compreso. Ma allora, quando le parole si avviavano a diventare grida, m’affrettavo a nascondermi sotto il lettone matrimoniale. Dividevo con Giancarlo, mio fratello, lunghi pomeriggi fatti di giochi ripetitivi e reiterati. Ero molto più cattivo di lui e, quando potevo, lo colpivo senza pietà, almeno fino a quando non riuscì a restituirmi parte delle angherie che doveva subire. Già a dodici anni eravamo più lontani e la deriva non si è tuttora arrestata.Nella mia seconda casa torinese incominciai molto presto a scoprire il morso della noia. Arrivava la domenica pomeriggio e io avvertivo l’inattività e la mancanza di cose da fare come una tensione crescente che mi faceva contorcere sulla poltrona, mi muoveva da una parte all’altra dell’appartamento, bloccava le idee e le fissava sullo scorrere del tempo. Quel tempo che mi appariva vuoto e inessenziale come i miei pomeriggi, sospesi tra la televisione in bianco e nero e il desiderio di uscire purchessia, di camminare lungo strade sconosciute portando in giro, tra canzoni cantate sommessamente e pensieri fantastici, la mia incertezza e la mia sfida.                                                                  scritto da falco58dgl.