IL PARTITO DEL SUD

Post N° 14


La storia d'Italia vista dalla parte del Sud L’invasione del Regno delle due Sicilie Il 12 Ottobre 1860, un giorno dopo la decisione della Camera torinese e prima del voto del Senato e nove giorni prima della farsesca messa in scena del “Plebiscito” (21 ottobre 1860) il generale Enrico Cialdini penetrò nel Regno di Napoli con 8.000 uomini dalla parte di Perugia; altri trentamila entrarono da Pescara. Il 15 ottobre Farini e Vittorio Emanuele II varcarono la frontiera del Regno delle Due Sicilie, entrarono in Giulianova, giunsero a Chieti il 17 e a Popoli il 19 ove “…dovevano attestarsi parecchie divisioni dell’esercito sardo che da più parti avevano invaso, senza verun pretesto di guerra, gli Stati del Re Francesco II stretto congiunto di Vittorio Emanuele. Altre divisioni furono portate per mare a Napoli, d’onde mossero subito verso Isernia, per congiungersi con quelle accolte verso Popoli, e quindi assalire le difese preparate dai napoletani, tra il Volturno ed il Garigliano”.(La Civiltà Cattolica, Serie IV, Vol.VIII, anno 1860, pag.375) Vittorio Emanuele II entrò nel Reame il 15 Ottobre, sei giorni prima del Plebiscito da eletto, e fu ricevuto sul ponte del Tronto dal Governatore di Teramo, il traditore De Virgili e dal generale disertore e traditore de Benedictis. . Garibaldi intanto se la passava male:continuava ad essere battuto dai regi. Era sul punto di essere sconfitto. Dall’8 al 15 ottobre lui ed i suoi banditi, ormai allo stremo delle forze anche se assistiti continuamente dagli inglesi con denari, armi, munizioni e supplemento di mercenari, venivano martellati senza posa; ciò determinò l’urgenza dell’invasione del Regno di Napoli da parte delle truppe regolari piemontesi. Camere Torinesi Giuntagli notizia che i Borbonici stavano riorganizzando l’esercito, il malefico Cavour convocò le Camere per il 2 Ottobre. Naturalmente non si trattava delle camere della sua villa a Moncalieri, dove era solito, secondo il racconto del Curletti, ricevere ragazze minorenni, ma quelle del Parlamento torinese ormai paragonabile a bordello o a cloaca maxima della politica e del servaggio alle sette massoniche. Pochissimi, e per isbaglio, erano gli uomini veramente liberi dal cappio massonico. Cavour fece distribuire ai deputati il discorso che riportiamo e cominciò a blaterare e a ciarlare: << Il Parlamento è già tre mesi che die’ al ministero cinquanta milioni; con essi s’è secondata la fortuna, e compiuto imprese da segnar orme profonde nella storia del risorgimento italiano. Con quel denaro liberammo Umbria e Marche, e fuorché Venezia, tutta Italia. (Confessava dunque aver liberata Napoli coi denari, nda..). Venezia e Roma non possiamo aver subito, senza chiamar qui tutta Europa; ma Roma necessario capo d’Italia , potremo tra sei mesi, con mezzi morali ottenere. S’avanza l’universal convincimento che, nelle società moderne il sentimento liberale, sorregge quello religioso. Quanto al reame, non possiamo lasciar quei popoli nella incertezza del provvisorio, o l’anarchia divorerà la patria comune, e il movimento nazionale esporrebbe a pericoli estremi le province già liberare, e quelle di recente liberate. Napoli deve votare come Toscana, incondizionatamente; qualunque condizione sarebbe ingiuriosa al resto d’Italia, e contraria al suo organamento. Il pensiero garibaldesco di differire il voto, sarebbe ruinoso. Una nazione di 22 milioni opera da sé, né si fa da altri imporre il suo cammino. Se quando Napoli era staccato dal Piemonte parea ragionevole ritardare l’annessione, ciò svaniva dopo prese Umbria e Marche. (Così una usurpazione dava dritto all’altra nda.). Siamo a tale che l’era rivoluzionaria dev’essere chiusa per noi; perché per noi la rivoluzione è mezzo, non fine.>> [1] Costui confessava, dunque, che con l’oro massonico aveva comprato la libertà delle nazioni italiane colonizzandole e che Napoli, in pratica, incondizionatamente, avrebbe dovuto,come la Toscana, votare l’annessione. Dunque far votare solo i liberal-massoni e magari più volte e più persone nello stesso seggio. Tutto illegale, dunque. Il Sud, oggi, davanti alle sedi opportune (Comunità Europea, ONU, Corte dell’Aia) può chiedere la sua indipendenza che gli è stata rapita con le armi, con la frode e il genocidio. Parlamento bordello illegittimo. La Camera torinese, pur stracolma di affiliati alle varie logge massoniche, rimase attonita e stette parecchi giorni a discutere su cotanta barbarie. Dagli atti ufficiali del parlamento torinese, pag. 546 n° 140,apprendiamo che il deputato Cabella il 5 Ottobre chiese al Presidente del Consiglio “... il deposito di quei documenti, che senza danno della cosa pubblica potessero essere comunicati al Parlamento ... e se noi dobbiamo giudicare il Sistema del Conte di Cavour e i suoi disegni ce li faccia prima conoscere ... essi dipendono da cause che ci possono essere ignote: sono l’esecuzione di disegni che hanno bisogno d’essere rivelati ... e se il Ministero ha deciso di entrare in una via, dalla quale non può più ritirarsi e ch’egli deve forzatamente percorrere a qualunque costo fino ad un risultato finale, egli ha dovuto avere tali argomenti di sicurezza da potervisi, senza pericolo grave dello Stato, avventurare”. Il Conte di Cavour (forse per la Ragion di Stato, quello piemontese si intende) rifiutò decisamente e beffardamente di mostrare i documenti richiesti “... perché non possiamo dire che la questione dell’Umbria e delle Marche sia terminata in quanto le Potenze straniere non hanno ancora legittimato le nostre conquiste con il riconoscimento ufficiale ... io dichiaro che, coscienziosamente, stimerei far cosa nociva e pericolosa se venissi a comunicare quali siano i documenti segreti intorno a questa impresa (invasione degli Stati Pontifici) scambiati tra il governo di Sua Maestà e le Potenze estere”. La presa di Napoli Nel Giugno del 1860 Francesco II fece alcune concessioni circa l’organizzazione della Guardia Nazionale. I galantuomini liberali ne approfittarono immediatamente: arruolarono corpi armati volontari costituiti per la maggior parte da borghesi, artigiani, nullafacenti e ladri. La massoneria internazionale e Cavour non badavano a spese. Nell’estate del 1860 i moti insurrezionali preparati ad arte cominciarono a dare i frutti sperati dal primo ministro piemontese. La Calabria, la Basilicata ed il Cilento risposero per primi alle sollecitazioni rivoluzionarie del Piemonte. Pochi idealisti di queste regioni, uniti alla feccia liberal-massonica, contribuirono non poco al crollo militare borbonico a sud di Napoli. Le insurrezioni dovevano servire come alibi ai generali borbonici, pagati dalla massoneria, a tradire la patria Napoletana. Il Garibaldi, senza combattere e senza sparare un colpo di fucile, si stava dirigendo verso Salerno. Francesco II, mal consigliato dai suoi generali , lasciò la capitale nelle mani di don Liborio Romano, ministro dell’Interno del Regno delle Due Sicilie nonché massone dichiarato, e si imbarcò sulla nave Messaggero per raggiungere la fortezza di Gaeta. Napoli fu affidata nelle mani della milizia cittadina. Appena partito il Re, il ministro don Liborio Romano inviò al venerabile fratello don Peppino Garibaldi le seguente lettera:” All’ invittissimo Generale Garibaldi, Dittatore delle Due Sicilie, Liborio Romano Ministro dell’Interno. Con la maggiore impazienza Napoli attende il suo arrivo per salutarla il Redentore d’Italia, e deporre nelle sue mani i poteri dello Stato ed i propri destini. In questa aspettativa io starò saldo a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica: la sua voce, già da me resa nota al popolo, è il più gran pegno del successo di tali assunti. Mi attendo gli ulteriori ordini suoi e sono con illimitato rispetto. Napoli, 7 settembre 1860. Di lei dittatore Invittissimo, Liborio Romano “.( La Civiltà Cattolica, Serie IV, Vol. VIII, 1860, pag. 357) Il carognone, massone e liberale, stava consegnando lo Stato delle Due Sicilie nelle mani del bandito Garibaldi. Tra “ don “ se la intendevano! Entrambi mercenari della massoneria ed entrambi servi di Londra. Spedita la missiva al nizzardo, il ministro traditore anche capo della Polizia, fece affiggere per le strade di Napoli il seguente bando:<< Cittadini. Chi vi raccomanda l’ordine e la tranquillità in questi solenni momenti è il liberatore d’Italia, è il Generale Garibaldi. Osereste non essere docili a quella voce? No certamente. Egli arriverà fra poche ore in mezzo a noi, ed il plauso che ne otterrà chiunque avrà concorso nel suo sublime intento, sarà la gloria più bella cui cittadino italiano possa aspirare. Io, quindi, miei buoni cittadini, aspetto da voi quel che il Dittatore Garibaldi vi raccomanda ed aspetta. Napoli, 7 Settembre 1860. Il Ministro dell’Interno e della Polizia Generale. Liborio Romano>>. (La Civiltà Cattolica, Serie IV, Vol.VIII, anno 1860, pag.358 ) I napoletani, inebetiti dagli eventi, non si rendevano conto che quegli atti stavano per decretare la morte del Regno delle Due Sicilie, la perdita della loro indipendenza e autonomia; non si rendevano conto, in quei giorni infelici, di perdere la libertà; non si rendevano conto che stavano consegnando nelle mani di un mercenario filibustiere le loro ricchezze ed il loro destino; che costui, repubblicano convinto, stava per regalare ai criminali Savoia le chiavi del Regno Felice; che aveva approvato le 700 fucilazioni ordinate da Nino Bixio e le molte altre eseguite dai mercenari in camicia rossa; che di lì a poco la loro terra si sarebbe riempita di cadaveri, di croci, di fame, di miseria. I Napolitani non avrebbero mai potuto immaginare, che di lì a pochi mesi, i cosiddetti liberatori del Nord avrebbero incarcerato migliaia di cittadini senza rispetto per le donne, bambini, preti e fatto fucilare centinaia di migliaia di contadini, un vero macello, una ecatombe, vera barbarie nella terra che diede al mondo la civiltà. I napoletani non potevano mai immaginare che i Savoia fatti passare per italiani in realtà appartenevano ad una Super-Nazione chiamata Massoneria e che di italiano non avevano niente, nemmeno la lingua. I napoletani non si chiedevano perché Garibaldi fosse andato a “liberare” la Sicilia anziché la sua Nizza e la Savoia vendute da Cavour. I napoletani commisero un errore tremendo: non si ribellarono immediatamente ai barbari venuti dal Nord. Per la supina remissione di allora, ancora oggi stanno pagando amaramente in disoccupazione ed emigrazione. I napoletani non immaginavano che di lì a pochi giorni, Napoli, da Capitale di un Regno ricco e felice, prospero e libero da 730 anni, sarebbe diventata una città di provincia piena di disoccupati, di camorristi e di emigranti. Il Garibaldi, con gratitudine infinita, prima di partire da Salerno, mandò la seguente proclamazione al Popolo Napoletano, usando tutta l’ipocrisia di cui era capace in quei momenti per noi infelici:< Generale, vi è innanzi il Ministero di Francesco II: ma noi ne accettammo la potestà, per far di noi un sacrifizio al nostro paese( e pigliarci i bei soldi, dovuti ai ministri che ne avevano tanto di bisogno! aggiunge il Buttà da cui abbiamo attinto codesto papiello a pagina 225 del suo capolavoro Un Viaggio da Boccadifalco a Gaeta) L’accettammo in difficile momento, quando il pensiero dell’unità italiana con Vittorio Emanuele, che da gran tempo agitava gli spiriti napoletani, sostenuto dalla vostra spada, era già onnipotente; quando era cessata ogni fiducia tra sudditi e sovrano; quando antichi rancori e diffidenze, riprodotte dalle ridate libertà costituzionali, facevano che il reame stesse angosciato per tema di nuove violente dimostrazioni. Accettammo il potere nel fine di mantenere l’ordine pubblico e salvare lo Stato dalla guerra civile. Il paese comprese questo nostro intento, e ne apprezzò gli sforzi. A noi mancò la confidenza dei nostri concittadini; e noi dobbiamo al loro concorso( dei camorristi, ndr) l’aver preservata questa città dagli atti di violenza e distruzione, fra tanti odii di partiti. Generale, tutti i popoli del Regno, sia per sollevazioni aperte, sia per istampe, ed in altri modi, han manifestato chiaramente la volontà di voler far parte della gran patria italiana, sotto lo scettro di Vittorio Emanuele, voi siete il simbolo più alto di questa volontà e di questo pensiero: però in voi si girano tutti gli sguardi, in voi tutte le speranze son poste. E noi, depositari della potestà, noi pure cittadini italiani, trasmettiamo il potere nelle vostre mani, certo che il terrete con vigore, e che saprete menare la patria verso il nobile scopo ch’è scritto sulle vostre vittoriose bandiere, impresso nei cuori di tutti: Italia e Vittorio Emanuele>. Ma don Liborio Romano, ultimo ministro di Francesco II e primo ministro di Garibaldi, non potè leggere il papiello perché la folla oceanica fatta affluire dai camorristi fu veramente vibrante e la festa “... organizzata così bene ch’egli stesso rimase vittima del proprio zelo. La ressa infatti fu tale che, quando il Liberatore scese dal treno , Don Liborio non riuscì ad affiancarglisi ed il suo messaggio di benvenuto si perse tra le grida della folla. Fu il principio della fine della sua carriera...” ( Marco Nozza- Indro Montanelli, Garibaldi, Rizzoli Editori, Milano, 1992, pag. 398) Don Liborio Romano, fratello di setta di don Peppino Garibaldi e della consorteria internazionale, porse i suoi servigi al nizzardo anziché arrestarlo e fucilarlo, e sì che di motivi ne aveva a iosa: il Pirata dei Due Mondi era uno straniero invasore venuto a depredare e ad usurpare un Regno, era un mercenario al soldo inglese, era un criminale di guerra per aver ordinato eccidi e fucilazioni di inermi cittadini a Bronte e nella fascia etnea su ordine del console inglese, e ancora a Montemiletto, a Isernia. Don Liborio Romano faceva parte di quella specie umana capace di tutto, di trasformarsi come i camaleonti e di rigenerarsi in un attimo, di tradire la terra in cui era nato ed erano sepolti i suoi antenati, di inchinarsi davanti ad un mercenario. Ladri e malfattori, massoni e camorristi se la intendevano alla perfezione. Tratto dal libro " Le stragi e gli eccidi dei Savoia" di Antonio CianoPer contatti: antoniociano@virgilio.it