Letture della notte

Il Dio Ignoto


FERRUCCIO DE BORTOLIVorrei tornare al titolo del nostro incontro, Dio, questo sconosciuto, e farvi una domanda più personale. Comincerei dal cardinale Ravasi, chiedendogli se nella sua Fede c'è stato qualche dubbio e se c'è stato qualche momento in cui la Fede ha vacillato.GIANFRANCO RAVASINon esito a rispondere sì, pur sapendo di suscitare stupore ma anche una certa consolazione per i credenti. A mio soste¬gno ricordo che la Bibbia stessa ospita il momento deiroscurità, in cui si cammina sotto un cielo diventato improvvisamente vuoto e proietta sulla Terra lo sgomento per l'assenza di divinità. Mi riferisco al Li¬bro di Giobbe, uno dei capolavori dell'u¬manità, al di là della sua funzione religio¬sa. A un certo punto Giobbe arriva a rap¬presentare Dio in maniera quasi blasfema: «Sei come un generale trionfatore che mi sfonda il cranio, sei come un leopardo che affila gli occhi su di me per divorarmi, sei come un arciere sadico che mi colpisce» (Gb 16,9-14)7 Inoltre, ricordo il cammino di Abramo, nostro padre nella fede, sapendo che do vrà sacrificare il figlio Isacco a quel Dio che glielo aveva donato in tarda età, con¬tro ogni logica e ogni speranza umana, ma anche contraddicendo se stesso. Conside¬riamo pure l'esperienza dell'assenza di Dio sperimentata da Cristo ed espressa in un grido lacerante, mentre il Padre non ri¬sponde. La stessa tragica morte del Figlio di Dio scuote la nostra quiete e lacera le nostre presunte sicurezze con quell'imma¬gine cupa e gelida, accompagnata da un sonoro, straziante: «Ma Gesù, dando un forte grido, spirò» (Me 15,37).Il Figlio di Dio, dunque, condivide la lo¬gica della fede come consegna di sé a un altro, e non come accettazione di una tesi astratta ed evidente simile al teorema di Pi¬tagora, o di una qualsiasi formula matema¬tica. L'affronta come un incontro d'amore, che non si gioca sulla logica ferrea e sulla di¬mostrazione di un assioma, ma sul rischio,talvolta rivestito del silenzio dell'altro. Si tratta della vicenda del credere vissuta come mistero, magistralmente rappresen¬tata, sempre dallo stesso Bergman in Luci d'inverno, in cui un pastore perde la fede e, tuttavia, la rivive progressivamente in un paradossale e assoluto silenzio di Dio: «Se riuscissimo a essere sicuri... se riuscissimo a credere in una verità... se riuscissimo a credere...». E alla fine c'è un sorprendente approdo in cui si conserva tutto il rischio della fede segnata dal vuoto e dal silenzio. Appunto come accade al Figlio, al quale nessuna voce risponde al grido che egli lancia al Padre: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Eppure la meta è l'alba di Pasqua.