storie di Sebastiano

4 - UN ADDIO, UN SOGNO, UNA DONNA (prima parte)


Una stanza nuova. Qualcosa di nuovo dentro questa vita che puzzava di finito. Mi avrebbe dovuto portare allegria ed invece no. Aggiungeva, se fosse stato possibile ancora più insofferenza. Guardavo intorno e vedevo solo freddo. Una fredda ed impersonale scrivania, una sedia dove poggiare la mia borsa mezza vuota, un armadio con tre cassetti che mi ispirava tristezza solo al pensare di riempirlo, ed un freddo letto, enorme per una persona sola. Sola come me. Da quella sera e fino alla fine, sola. Che tristezza. Meno male che nel minibar avevo trovato qualche mignon di liquori da scolare. Che cosa mi importava se mi fossero costati un occhio. I soldi ormai non avevano più molto valore per me. Dove mi sentivo destinato non mi sarebbe serviti, nessuno se li può portare dietro.Avevo lasciato dietro di me una donna che mi amava ma che in quel momento avrebbe avuto tutte le sacrosante ragioni del mondo per odiarmi. Con i miei due figli di diciannove e sedici anni che me ne avevano dette di tutti i colori. E sicuramente Fidel era quello che tra i due ci era rimasto più male. Sino da quando andava alle elementari aveva avuto un’ammirazione nei miei confronti che andava anche oltre il lecito. E ancora con un sorriso a mezza bocca, indice di un malcelato orgoglio, ripensavo a quando lui disse alla maestra che da grande lui di mestiere voleva fare il papà, come me, essere come me. E mi strideva il ricordo dei suoi occhi pieni di odio di quella sera mentre abbracciato alla madre mi vedeva andare via, via dalla casa nostra, dove in fondo non avevamo mai smesso di essere felici. Forse era retorica, ma non mi ricordavo un solo momento triste tra di noi, mai prima di quella sera. Ma era proprio così giusto quello che stavo facendo? Ma non era forse tutto sbagliato invece? Farsi passare per un traditore, per uno che aveva un’altra vita da vivere oltre e dopo loro e non dirgli invece della sola morte che avevo da affrontare, era veramente la cosa giusta? Sicuramente la perdita fisica sarebbe stata peggiore di quella a cui li stavo sottoponendo. Sicuramente. O forse no?Che confusione. Che caos di sensazioni e di situazioni avevo vissuto in una sola giornata!! E come ne ero uscito? Sempre che ne fossi veramente uscito. Analizzando quello che mi rimaneva tra le mani della mia esistenza era come se non mi ritrovassi nulla. Guardavo intorno, soppesavo quello che avevo salvato della vita posseduta fino alla mattina scrutando nelle cose che mi circondavano nella stanza di quell’albergo senza pretese. Ed il bilancio era sicuramente negativo. Avevo con me una borsa con una cerniera che funzionava a fatica, due camicie, quattro paia di calzini e di mutande, il rasoio ma non la schiuma da barba, il dentifricio ma non lo spazzolino, il pigiama ma non le pantofole. Tutto a metà. Frutto di una veloce fuga. Del prendere qualcosa solo per dire di averla presa, per dare uno spessore a quello che stava accadendo, come se uscire per sempre da una casa, la propria, senza una borsa con effetti personali potesse sottintendere che non fosse una cosa seria. O forse era proprio questo che volevo lasciare dietro di me. Il dubbio e la possibilità di potere tornare indietro da una decisione che non mi convinceva fino in fondo.E poi il buio. Era pesante. Poco rassicurante, anzi forse proprio angosciante. Il buio di quella stanza, il buio della notte fuori da là, il buio dentro di me che non riuscivo ad avere un pensiero che mi potesse aiutare a prendere sonno. Non un ricordo, una speranza, un desiderio che mi aiutassero a trovare un senso a tutto quello che stavo vivendo. Non trovavo nulla. Come nulla avevo trovato allungando la mano nel letto, accanto a me. Non c’era nulla, nessuno da toccare, sfiorare, accarezzare per prendere un sonno rassicurante. E mi accorgevo che mi stava mancando Lucia. Mi stava mancando il suo corpo avvolto in un pigiama fuori da ogni possibile immaginario erotico, il suo corpo sdraiato accanto al mio, con il suo rannicchiarsi, il suo muoversi alla ricerca di una posizione migliore,  con il suo odore.Il senso del vuoto, dell’assenza, era invece era quello che sentivo mi dormisse accanto e che non riuscivo ad allontanare da me, che non riuscivo a scansare, ignorare, dimenticare. Anzi che mi stava possedendo trascinandomi in un gorgo senza fondo, in un perdermi senza avere possibilità di ritrovarmi. E come per riemergere da quel vortice che mi stava distruggendo la mia mano era corsa alla luce, ed in un clic avevo ritrovato razionalità, realtà e logica. Me stesso.Il numero poi l’avevo in memoria e lo avevo composto senza riflettere. Uno squillo e una voce stridula di un pianto. Mi ero ritrovato ad ascoltare Lucia, il suo respiro nel telefono, ma senza parlarle, ma senza che mi parlasse. Troppo evidente, troppo pesante era la sofferenza. Troppo dura era per entrambi ed avevo tutta la voglia di dire no!, di gridare no!!, ma non mi usciva nulla dalla bocca. Che rapporto le potevo dare? Che genere di rapporto si può dare senza un domani? E quello che mi mancava era proprio il domani, quello che non avevo più a disposizione da donarle era proprio il tempo, il futuro. E dentro quel nostro respiro (anche quello complice) scambiato tra cornette del telefono, mi ero lasciato andare nel viaggio meraviglioso del ricordo di quella nostra vita. Una vita che promette, che vuole costruire. Mi ero lasciato trascinare in tutte quelle volte che insieme ci eravamo promessi, sognati, immaginato il futuro, nostro ed insieme. Ed ora? Ora che era rimasto? La morte? L’abbandono? Il passato?Ora era tutto racchiuso in un disperato, tristissimo e dolcissimo sussurro. “…buona notte…”.“…buona notte, amore…”Ed ancora la comunicazione che si interrompeva, il clic che annullava la luce, il buio che mi riassorbiva. Ancora la solitudine, ma forse più serena, meno disperante, quasi come fosse bastato il respiro di Lucia a rassicurarmi. Ed avevo preso sonno, nonostante quella fredda stanza nuova di quell’albergo senza pretese.  “…come va?..”  “Io? Come stai tu? Mi avevano detto che eri morta”“…no, che dici?...”“…ma come ti senti?”“Bene… ora meglio… mi sento in forze… riesco s respirare, a camminare, a parlare senza sentire dolore… sto bene… ““Camilla… Camilla… ti avevo data per persa ed invece… ““Ed invece ti sei perso tu… ““Ma io devo morire… sul serio…”“…ed a me quindi non pensi più?”“Ma tu non sei morta…”“O forse sì… che importanza ha?... ““Non importa… come non importa?... cosa ha importanza allora?”“Ha importanza Lucia, non capisci?”“Ha ragione Camilla… non capisci Sebastiano che io sono importante per te? Pensi proprio di potere morire senza di me? Pensi che davvero la morte ci possa separare?”“Lucia, ma che dici? Che ci fai qui?”“Che ci fai qui tu, invece…”“Qui dove?”“Qui in questa stanza tra tutta questa gente che non c’entra nulla con noi… non c’entra nulla, lo capisci?”“Che dici? Ma di chi parli?”“Ma questa gente che sta qui intorno al tuo letto e tu non sei ancora morto. Li vuoi aspettare ancora per molto?”“Erano tutte persone che sono venute anche da me ma che di me non gliene importava nulla… c’eri anche tu Sebastiano… non ti ricordi più…” “Ma a me importava…Camilla, non mi credi?”“Lucia era triste…”“…ma adesso che succede?... che devo dire a questi che mi girano intorno?...”“Diccelo tu che succede… riesci a muoverti ancora?...”“Sì, sì certo… anzi, adesso che me lo dici… ho qualche problema… faccio fatica anche a respirare… ma sto iniziando a morire?... si muore così?... senza dolore…senza nessuno intorno?... dov’è andata tutta quella gente che stava qui?  Non vedo più nessuno… E Lucia… dov’è Lucia?... Camilla… Camilla, perché non mi rispondi? Dove sei? Dove siete andate?... Cos’è questo silenzio, questo buio… Non mi sentite? Non mi sentite più? Eppure sto urlando… sto urlando perdio, ma nessuno mi sente… nessuno… e sono solo come un cane… sono morto?... ma sono morto?... aiutatemi… aiuto, aiuto!!”  E alla fine mi ero svegliato. Sudato e spaventato, ma rassicurato. Come se mi fossi salvato, come se fossi arrivato in salvo. La luce che penetrava dalla serranda mi diceva che era giorno, l’orologio mi diceva che era presto, molto presto, neanche le sei, ma io non avevo più l’intenzione di riprendere sonno. Troppo brutto era stato sentirsi morto come nel sogno. Troppo brutto e così disperante. E mi ero fermato a pensare. Al non esistere più. Non alla morte, ma il non esistere, lo sparire. Senza neanche sapere di essere sparito, perché non si può più sapere nulla se non si esiste più. E tutti i miei pensieri? Le mie idee? Tutte le mie esperienze, le mie donne, i miei figli. E i miei dolori, i miei sacrifici, le mie conquiste. Tutto inutile, tutto svanito, tutto senza che nessuno possa ricordarlo, senza che possa ascoltare più nulla. Perché io sarei diventato nulla. Un vuoto senza fine. Un vuoto dove non si è più nulla. E che senso aveva avuto la mia vita? Oltretutto che senso avrebbe avuto poi la mia morte?E come se fosse l’unica soluzione a quella sensazione di non avere più terra sotto i piedi avevo deciso di avere un contatto diretto con la realtà più prosaica, cercando di salvaguardare la mia logica sporcandola di inutili ma realissime scartoffie. Nell’ufficio di segreteria del mio posto di lavoro. (segue)