MAGIC CLUB

Post N° 337


Il CORRIERE DELLA SERA 31 ottobre 1999    di Carlo Bonini  LA VICENDA  ·       LA SQUADRA Tutti gli uomini che la formavano erano stati scelti dal capitano “Ultimo”. Erano il reparto catturandi del Ros. Ancora oggi non si conosce il loro vero nome, per motivi di sicurezza.·       LA CATTURA DEL BOSS Furono gli uomini di “Ultimo” a catturare, la mattina del 15 gennaio 1993, il boss dei boss di Cosa Nostra Totò Riina.·       LO SMANTELLAMENTO Oggi quella squadra è stata interamente smantellata: i suoi componenti sono stati tutti trasferiti dal Ros, in “reparti dell’Arma territoriale”. E “Arciere”, uno degli uomini di “Ultimo”, “trasferito d’ufficio” dal Comando Generale, ha fatto ricorso al Tar del Lazio contro questa decisione.  “COSI’ E’ IMPOSSIBILE PRENDERE I LATITANTI” Il capitano Ultimo: devono dirci se le nostre indagini sui boss servono ancora            ROMA - Non vedeva “Ultimo”, il suo vecchio capitano, dal giorno in cui si erano stretti la mano per l’ultima volta. Prima di lasciare la divisa. Prima di vedere come andava a finire. Con i ragazzi della vecchia squadra catturandi del Ros, quelli dell’arresto di Totò Riina, trasferiti in provincia a fare multe per divieti di sosta.          Allora si erano abbracciati e non c’era stato bisogno  di dirsi niente. Lui ora scaricava cassette di frutta e quarti di bue ai mercati generali. Ne era passato di tempo.Ma non era cambiato, come non era cambiato “Ultimo”. E non era un caso che gli fosse venuta voglia di rivederlo proprio quel giorno. Mentre i tg, le radio, spiegavano al Paese che il Tribunale di Palermo aveva assolto Giulio Andreotti.          Si erano abbracciati e si erano messi a camminare. Come ai vecchi tempi. Senza una meta precisa. “E allora? Arciere come sta? E “Ombra”?”. “Ultimo” lo aveva fissato con un lampo di malinconia. “Lasciamo perdere che forse è meglio”.” Dimmi almeno di Andreotti, dai, muoio dalla curiosità”. E Ultimo aveva sorriso. Già, aveva voglia di chiedere e raccontare al capitano tante cose. Ma poi decise che forse era meglio starlo ad ascoltare. Perché era lui ad aver bisogno di parlare. “Vedi non siamo cambiati. Non cerchiamo medaglie, encomi, soldi. E non molliamo mai, mai. Ma non riesco a capire quale sia il gioco in cui sono. Una volta ho 20 ragazzi, una volta ne ho 40. Poi, un giorno, arriva un ordine di avvicendamento e addio. Guarda quello che sta succedendo. Ti ricordi no, quello che ci hanno sempre detto? per condannare un mafioso servono le prove, non solo i pentiti. E le prove come le trovi? Con l’esperienza, con il lavoro di squadra. Ma l’esperienza si coltiva, non si improvvisa. Come gli ultimi giovani delle mie parti. Poi, ti dicono:vogliamo i latitanti. E anche noi li vogliamo, giusto? Dio solo sa quanto li voglio. Ma si possono prendere in queste condizioni?”          Lo aveva interrotto anche un po’ spaventato:” Non mi dire che vuoi mollare”.”Ma non ci penso neppure un attimo. Lo sai che non mi piace chi si compiange. Questa è la mia vita. E’ da quando ho 15 anni che ho deciso di fare quello che faccio. Io non mi devo sistemare. Sono un contadino io, un “villano”. Quel che faccio lo devo “ali ultimi degli ultimi”, a quelli che pagano le tasse. E solo alla fine un po’ anche a me stesso”.  “ E allora?”. Allora bisogna che qualcuno si metta intorno ad un tavolo e decida. Se un certo tipo di lavoro non serve o non piace più, benissimo. Ci mettiamo a fare altro. Ma qualcuno deve dircelo. Qualcuno di quelli con le greche, le medaglie. per esistere bisogna che qualcuno ogni tanto te lo ricordi”.          “Ultimo” si era ficcato le mani nelle tasche del piumino. E l’amico aveva provato a farlo sorridere:”Ma non scoppi di caldo?”. “Veramente mi viene freddo a pensare a certe cose. E sai che ti dico? Mi viene da ripensare con nostalgia a Milano, quando tutto è cominciato. Che bei tempi. Che magistrati, che città”. “E dai, forza. Andrà a finire che penseranno che anche tu hai cominciato a menartela”. “Se lo pensano, lo devono dire. Se pensano che noi lavoriamo male, qualcuno lo deve dire, deve, capisci? Ascolta: il problema non è “Ultimo”. Il problema è che quando un Paese ha bisogno di eroi o di pazzi, vuol dire che c’è qualche cosa che non va. Essere bravi ma soli non serve a nulla. Io voglio che dimentichino “Ultimo” se necessario, ma che l’albero di Falcone a Palermo cresca così tanto da farli impazzire a quelli là che lo hanno ammazzato. Perché gli alberi sono le radici del cielo amico mio”.          Aveva provato a chiedergli dei suoi “nuovi ragazzi”. “Sono in gamba, hanno entusiasmo. Peccato che non sappia per quanto resteranno. E poi mi chiedo: perché i migliori tenenti usciti dall’Accademia non devono venire subito al Ros e passare prima dalla “Territoriale”? Non capisco. E allora mi viene un sospetto e mi dico: stai a vedere che magari qualcuno pensa che un ufficiale è meglio che non si formi subito con la mentalità di questo reparto. Ma se è così, ti rifaccio la domanda di prima: non è meglio sederci intorno ad un tavolo e decidere quello che vogliamo, una volta per tutte?”  Ora l’amico si era fatto curioso:” Ma con qualcuno ne hai parlato di queste cose?”. “Che non mi conosci? Certo che ne ho parlato. Ma sono uno che perde la pazienza. Quelli allora pensano che ho un carattere fatto a modo mio e le cose rimangono al punto di partenza”. Ora non parlava più il capitano “Ultimo”. Passeggiavano senza dirsi nulla. Sì, non era cambiato. Forse qualche capello grigio in più. Ma in fondo era rimasto quello di allora. Si erano salutati come l’ultima volta: Con una stretta di mano. Però questa volta il capitano una cosa l’aveva detta, sorridendo:”Ehi, ricordati. Prima o poi ci riusciremo a colorare le periferie”. Vedendolo andare via pensava che questa volta avrebbe dovuto raccontarlo a qualcuno quello che aveva appena ascoltato.           E al Corriere della Sera chiede allora solo di poter aggiungere una cosa:”Scusami, “Ultimo”, se non ho tenuto la bocca chiusa. Ma questa cosa la dovevo a te e a tutti i ragazzi”.Carlo Bonini