TEMPO

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 Ab inferisPiù volte nell’esistenza aveva emesso la condanna a morte la vita stessa – che poi continuava subdola e sorprendente.La vita stessa con sue aguzze pene e deserte sofferenze mi aveva spesso condannato a morte. Ma un giorno incredibilmente ebbero altri su di lei potere e norma. La sentenza emanò da un orifizio tristo, posto in una trista faccia sotto il naso, sopra il mento e il pizzo. A fatica riusciva a essere un voltoquella raggrinzita carne. La parola morte, lei sola, rantolò nel mio timpano assordito. Non ebbi chiaro allora dove fosse caduto quel macigno. Era immane, aveva colpito solo un punto o tutto l’universo? Ci volle molto tempo perché affannosamente rinvenuto da un primo bruto totale annientamento a stento, con mortale angoscia divenissi conscio che io, io solo, ero quel punto.Su di me, parvo frangente, briciola oscura del creato era calato il colpo, era sceso quel fendente. Mi sbalordiva enormemente quella inumana dismisura. Su me quella violenza, su me l’iniquità del caosirriducibile e perversosu me la mostruosa cecità del casoaveva appuntato il suo furore. Su me si consumava, perché?, una vendetta primordiale, accesa ab origine del mondo trovava me sua vittima espiatoria la contesa capitale: e aveva nella pagina d’un molto bistrattato tomo il suo carnefice banale. Che oscura crudeltà, che arbitrio si abbatteva sul mio cranio! Così erano (stupite!) ridotti a tacere la colpa, l’innocenza,e altri dilemmi della mia coscienza. Chi ero io? Aveva il Figlio dell’uomo, gradino su gradino, con me salito l’abissale scala e portato questa croce. O quel pensiero mi restituì al mio male, mi rifece uomo crocifisso ai suoi rimorsi. Non fu la mia solamente un’atroce imitazione ma un grido ammutolito, una protesta del cuore umano bruciato dal peccato e dal dolore. Ma non fu disuguale la fede nella resurrezione.Amen.Mario Luzi