ROSE:LA DONNA CHE COMMOSSE BUSH, AL MEETING DI RIMINI
Anche
l'uomo più potente della terra-detto in termini politici- ha avuto un
intenso momento di commozione, durante l'annuale conferenza alla Casa
Bianca sulle iniziative caritatevoli di ispirazione religiosa dello
scorso 26 giugno, si è inchinato ed ha detto "Grazie".
Così
anche George W. Bush, Presidente degli Stati Uniti d'America è stato
conquistato dal cuore semplice e tenace delle donne del Meeting Point
International di Kampala, guidate da quella "miniera" umana fatta di
fede, di carità e di grande speranza, che si chiama Rose Busingye,
infermiera ugandese. Bush mostra la sua immensa gratitudine perchè la
loro semplicità d'animo fece si che dopo il disastro dell'uragano
Katrina "fecero di tutto per raccogliere mille dollari per le
vittime.
E una donna orgogliosamente disse: "ora siamo noi a donare". La
platea
americana altrettanto conquistata fece partire un lunghissimo applauso
alle parole del Presidente.
Martedì
26 agosto Rose,insieme a Vicky sempre del Meeting Point, terrà
l'incontro al Meeting di Rimini sul tema "Si può vivere così".
Di seguito propongo un articolo apparso su
www.ilSussidiario.net lo scorso mese
di maggio sull'esperienza di Rose e le donne del Meeting Point di Kampala.
LA DIFFICILE MISSIONE DI
ROSE TRA I POVERI DI KAMPALA
Alfred Memo è un ragazzino
ugandese che ha visto davanti a sé i propri
genitori uccisi e i loro corpi tagliati come carne da macello. Che idea della
vita può farsi un bambino come lui? Che cosa può aspettarsi dal futuro? «Le
prime volte che gli abbiamo chiesto che cosa avrebbe voluto fare da grande, ci
ha detto che voleva fare il soldato, per ammazzare, come era stato ammazzato
suo padre». A raccontare la storia di Memo è Rose Busingye, direttrice del
Meeting Point International di Kampala, un centro dove vengono accolti e curati
oltre duemila orfani per guerra o malattia, e altrettanti adulti, per lo più
donne, molte delle quali malate di Aids.
"Il nostro
primo lavoro è far capire a ciascuno di questi
ragazzi che la vita ha un valore, che c`è qualcuno che li ama, e, banalmente,
che vivere è meglio che farsi ammazzare». Non vale infatti, di fronte a Memo,
l`obiezione che andando a fare il soldato rischia di essere ucciso per primo; a
questo risponde dicendo «e allora?». «Quello di Memo sembrava veramente un caso
disperato, e io stessa ero convinta di averlo perso. Invece sono andata avanti,
continuavo ad andare a trovarlo, a scuola, a casa, per fargli vedere che c`ero,
che veramente mi stava a cuore. Non si può dire una volta sola che la vita ha
un valore, se poi non si affronta la fatica e il lavoro di continuare a far
vedere che questo è vero. E io insistevo, ripetevo a Memo che adesso aveva una
nuova
famiglia, in cui era voluto bene». Ora Memo non parla più di fare il soldato;
poco tempo fa in un disegno ha espresso quello che vuole fare in futuro: ha
disegnato una casa grande, per i bambini che hanno perso i genitori come lui.
«Un giorno - racconta ancora Rose - ho organizzato una gita al Nilo per i
bambini, e avevo portato delle pentole per cucinare. Quando siamo arrivati, i
ragazzi si sono buttati tutti in acqua: continuavano a giocare e divertirsi, e
non volevano mangiare. Alla fine ho chiesto loro: “e adesso cosa facciamo con
tutto questo cibo?”. È stato Memo a rispondere: “non sprechiamolo. Adesso
telefono a casa e ci organizziamo per portarlo ai bambini che non hanno da
mangiare”. Questo è Memo, quello che diceva di volerne ammazzare almeno dieci,
come era stato ammazzato suo padre».
Anche
la vita di molte donne malate di Aids è cambiata al Meeting Point
International. Tra di esse c`è Vicky, autrice di una lettera bellissima, che
l`associazione Avsi, di cui il Meeting Point è partner per l`Uganda, ha scelto
come testo per lanciare lo scorso anno la campagna “Tende di Natale”, una
raccolta di fondi che l`Avsi organizza ogni anno per sostenere le proprie opere
nel mondo. In questa lettera racconta la propria storia di malata di Aids,
abbandonata dal marito, sola e con i figli che non potevano più andare a
scuola: «Non avevamo amore da nessuna parte del mondo. Non sapevo più se Dio
esisteva davvero» racconta Vicky. «Nel 2001 qualcuno mi ha indirizzato al
Meeting Point, dove ho trovate donne che facevo fatica a credere potessero
vivere in quel modo pur essendo malate di Aids, tale era la gioia che portavano
sul viso». Ora Vicky sta meglio, è volontaria al Meeting Point, e i suoi figli
hanno ripreso ad andare a scuola.
«Di
storie come quella di Vicky cene sono molte altre», racconta ancora
Rose. «Sono storie di donne rinate, e anche di donne coraggiose. Come ad
esempio Jovine, una donna di quarantasei anni. Una volta c`era qui un gruppo di
giornalisti, che dopo avere visto queste donne rimasero molto colpiti e
commossi, e pensarono di fare un gesto per aiutarle: comprarono cinque scatole
di preservativi. Jovine prese in mano quelle scatole e disse: “c`è a casa mio
marito che sta morendo, cosa me ne faccio di queste? I miei figli non hanno da
mangiare, a cosa mi servono queste scatole?”. Li affrontò con un coraggio che
nemmeno io avrei avuto». E qui c`è il segreto del “metodo” di Rose: non c`è
nessuna risposta preconfezionata al dramma di queste persone. L`unica strada è
quella di voler bene, di educare al valore della vita, e di responsabilizzare.
Senza questa educazione, non c`è nulla che valga. «Anche il discorso della
prevenzione» spiega Rose «non ha senso, se non li aiuti a scoprire il valore
della vita. Altrimenti i nostri ragazzi - che hanno storie simili a quella di
Memo - quando parliamo loro di prevenzione ci dicono: “e perché? Come noi siamo
stati infettati, così anche noi infettiamo gli altri”. Partono da una
considerazione della vita che è assolutamente pari a zero, sia la loro che
quella degli altri».
Il
metodo di Rose è vincente, anche dal punto di vista medico. Se ne sono
accorti anche negli ospedali di Kampala. «Un po` di tempo fa - racconta Rose -
l`ospedale di Stato sperimentò gratuitamente alcuni farmaci contro l`Aids, e
presero un po` di persone da vari centri. Da me presero solo cinque persone,
tra cui anche Jovine. Ebbene, le mie cinque persone furono le uniche a guarire.
Allora dall`ospedale mi chiesero altre persone, e anche queste miglioravano.
Non capivano il perché, e pensavano che, essendo io amica degli italiani, mi
arrivassero alcune cure speciali dall`Italia. Io ho provato a spiegare che il
punto è dare un motivo per cui valga la pena lottare contro la malattia. Loro
mi dicevano: “sì, è molto bello”, ma come se fosse qualcosa di marginale.
Volevano numeri per fare uno schema da applicare: tanti medicinali, tanti
preservativi etc. Ma da noi non c`è uno schema».
I malati al
Meeting Point, dunque, trovano un motivo per cui valga la pena guarire. Perché
questo accada vengono organizzati gruppi di dieci pazienti, che si ritrovano
per affrontare insieme le cure. Se una volta ce n`è uno stanco, che non
vorrebbe andare avanti col trattamento, gli altri lo sostengono e lo
incoraggiano. Oppure c`è chi inizia la cura e ha effetti collaterali pesanti:
altri lo aiutano, anche semplicemente dicendo «è successo anche a me, poi è
passato». «E una catena di aiuto, in cui sono i malati stessi ad essere
responsabilizzati - spiega Rose - non puoi dar loro solo le medicine, anche
perché spesso non le prendono».
E la responsabilità che matura in queste persone può raggiungere punte
veramente commoventi. Come per Memo, che vuol dar da mangiare agli altri
bambini e costruire una casa per gli orfani.
O
come accadde ai tempi dell`uragano Katrina. Allora Rose parlò di questo
evento con i malati del Meeting Point, leggendo un testo e facendo con loro un
minuto di silenzio. «Ma un malato, che pesava circa trenta chili, si alzò dal
fondo e mi disse: "con me non avete fatto solo un minuto di silenzio, mi
avete anche aiutato concretamente". Allora decisero di raccogliere un po`
di soldi, e in quattro settimane misero da parte circa mille euro. C`era un
giornalista scandalizzato che disse di non mandare negli Usa quei soldi, che
servivano più a loro. Gli rispose una delle nostre donne, dicendo: “noi
vogliamo amare come siamo stati amati, e il cuore è internazionale”. E da
questa frase, tra l`altro, che è nata l`idea di chiamare il nostro centro
Meeting Point International». Un punto d`incontro nel centro dell`Africa, dove
si rinasce, e da dove si può addirittura decidere di mandare un po` di soldi
negli Stati Uniti d`America.
Grazie all'amico
POLITICUS