Il
giornalista del manifesto Alberto Piccinini sabato scorso ha passato
una bella serata. Potrebbe non fregarcene di meno se non fosse stato
egli stesso a rendere pubblico l’evento con un articolo uscito ieri sul
suo giornale; e se il motivo del suo godimento non fosse sintomatico
dell’aria che tira. Piccinini era andato in trattoria con la sua
compagna Valentina, e a un certo punto sono entrati - anche loro per
mangiare: mica per altro - alcuni ragazzi di Azione Giovani, appena
usciti dalla lì vicina festa di Atreju. «Valentina si è alzata»,
racconta Piccinini, «e ha fatto la mossa di andarsene. Sapete come sono
le ragazze: una volta non gli va bene il tavolo, l’altra volta hanno il
mal di pancia. Stavolta no: mi sono alzato anch’io, ho pagato il mezzo
conto e via. Fuori abbiamo preso un acquazzone da fine del mondo. Però
che bella serata». Ma sì: meglio tornare a casa bagnati fradici e a
digiuno piuttosto che cenare non dico alla stessa tavola, ma nello
stesso ristorante, non dico con dei fascisti, ma con dei ragazzi,
insomma, di destra. L’episodio ne ricorda un altro, celeberrimo e
sicuramente ancora impresso nella memoria di molti nostri lettori. È lo
stesso Piccinini a fare il collegamento: «Ai primi di giugno del 1971,
Giorgio Almirante si fermò all’autogrill Cantagallo, sull’A1. Al grido
di “né un panino né una goccia di benzina”, camerieri e benzinai lo
fecero ripartire a bocca asciutta e serbatoio vuoto». Fece tanto
clamore, quel fatto, da essere immortalato da due canzoni: una, di
Piero Nissim, attaccava così: «L’altro giorno sull’autostrada/ sul
versante che porta a Bologna/ viaggiava un topo di fogna/ affamato
voleva mangiar»; l’altra, del Canzoniere delle Lame, rivelava il
seguito: «... fu così che schiumante di rabbia/ se ne andò la
squadraccia missina». Sarà un caso, ma l’orgogliosa replica
dell’eroico incrociar le braccia del Cantagallo segue di pochi giorni
un’altra replica: quella di Adriano Sofri sul delitto Calabresi. Così
come Sofri ripete oggi quel che aveva scritto nel 1972, e cioè che
uccidere Calabresi fu un atto di giustizia, il manifesto scrive che i
topi di fogna non andavano serviti allora all’autogrill e non vanno
tollerati oggi sotto lo stesso tetto. Anche se non portano più la
camicia nera, anche se il loro leader ha appena fatto l’elogio
dell’antifascismo. È strano: Sofri e il manifesto avevano dismesso
da anni certi toni, ma ora c’è una parte della sinistra che sembra
subire una sorta di regressione. Una sinistra come ad esempio quella di
Caruso che parla di gambizzazioni, una sinistra che rispolvera il
tristo linguaggio degli anni di piombo: la giustizia proletaria, il
terrorismo di Stato, i fascisti che non devono parlare e neppure
mangiare. Però a volte nei giornali la grafica gioca brutti
scherzi. La rubrica di Piccinini stava proprio sopra un articolo contro
il razzismo. Essere antirazzisti vuol dire saper accettare il diverso,
ed è difficile immaginare che chi accetta il diverso per colore della
pelle non accetti il diverso per idee. Ma oggi «non si vive più come
persone, in questo Paese, non più come individui, ma come appartenenti
a sottocategorie (...) si sta facendo strada una catastrofica tendenza
alla semplificazione. Non solo il concetto democratico di cittadino, ma
anche quello cristiano di persona vanno sbiadendo, perché richiedono la
faticosa elaborazione di un giudizio caso per caso, di un rapporto
umano che sappia distinguere e sappia scegliere. Sappia guardare negli
occhi, un paio di occhi per volta e solo quelli. Il giudizio
all’ingrosso è più comodo e rapido, leva di mezzo l’incombenza di
rapportarsi al prossimo, cancella scrupoli etici e fatiche umane».
Sapete chi ha scritto queste parole? Michele Serra, ieri su Repubblica Pagina 1 -
2 Michele Brambilla -
Il Giornale 17 settembre 2008