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CONTROESODO

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VIRTUALE E REALE

Post n°84 pubblicato il 08 Ottobre 2008 da maryrose.ms
 

 

Intervista ad Antonio Socci

mercoledì 8 ottobre 2008

«Sulla
sabbia costruisce chi costruisce solo sulle cose visibili e tangibili,
sul successo, sulla carriera, sui soldi. Apparentemente queste sono le
vere realtà. Ma tutto questo un giorno passerà. Lo vediamo adesso nel
crollo delle grandi banche: questi soldi scompaiono, sono niente».
Erano parole non scritte nel discorso; eppure Benedetto XVI,
introducendo i lavori del Sinodo dei Vescovi, ha voluto inserire,
improvvisando, questo passaggio sulla stringente attualità della crisi
finanziaria, che proprio lunedì, mentre il Papa parlava, stava vivendo
uno dei giorni più bui. Un riferimento brevissimo, quasi «fulmineo», ma
che è bastato, secondo Antonio Socci, per esprime «un giudizio
culturale dirompente».

 

Socci, qual è la portata culturale di queste brevi parole che il Papa ha voluto dedicare al tema dell'attuale crisi finanziaria?

 

Il
giudizio espresso dal Papa colpisce innanzitutto per la fulmineità: in
poche e quasi scarne parole ha espresso un concetto che per semplicità
di sguardo si impone al buon senso comune, ma al tempo stesso ne
rovescia i criteri. Si tratta cioè di uno sguardo sulla realtà che è in
qualche modo rivelativo, tipico della tradizione cristiana. Ciò che il
Santo Padre ha fatto comprendere è che, sia nella prosperità che nelle
circostanze nefaste, tutto passa, e l'unica cosa che resta è il
rapporto con Cristo. Questo fa impressione, perché anche chi non è
cristiano percepisce l'effimero della vita, il lato per così dire
"leopardiano" dell'esistenza. È quindi un giudizio che magari può
irritare o far polemizzare, ma va a cogliere una cosa che tutti possono
constatare.

 

In cosa allora questo giudizio si differenzia dal normale "senso comune"?

 

La
cosa positiva è il fatto che quello del Papa non è il grido disperato
del nichilista, per cui tutto passa e quindi non vale la pena vivere;
tutto passa, dice Benedetto XVI, ma una cosa resta, e quello che resta
è la roccia, è Cristo. Questo libera dalla schiavitù delle circostanze,
della storia e della cronaca, che sbattono le persone qua e là, come
foglie al vento. È l'origine di una grande liberazione, perché indica
qual è l'ancora grazie alla quale l'io può trovare la propria
consistenza. Nel piccolo di una breve affermazione, emerge dunque un
giudizio culturale dirompente. Nessuno può indicare una sola cosa al
mondo che resta; ma questa rimane una constatazione con cui solitamente
non si fanno i conti, se non in termini nichilisti, come invito al carpe diem.

 

Benedetto
XVI non è il primo che rileva la profonda spaccatura culturale che
questa crisi finanziaria sta aprendo. Qualche giorno fa, sul Corriere della Sera,
André Glucksmann ipotizzava addirittura la fine del post-moderno, con
la sua ideologia secondo cui «una cosa diventa vera per il solo fatto
che la diciamo»: cosa ne pensa di questo giudizio?

 

Direi
che è troppo bello per essere vero. Non credo che questa crisi possa
portare alla fine di questa ideologia. Certo, sarebbe bello se si
arrivasse al superamento di una concezione della vita come pura
virtualità. Ma il vero problema è che questa virtualità in cui noi
tutti viviamo, prima che nell'economia – che pure ne è la struttura
portante – si manifesta soprattutto nel circo mediatico: televisioni,
internet, giornali. E questo mondo non è in crisi, e continuerà a
dominare le nostre esistenze. Tutti viviamo in questo surrealismo di
massa.

 

"Surrealismo di massa" è una strana espressione: che cosa significa?

 

Franco
Fortini, in una bellissima introduzione a un libro sui poeti
surrealisti francesi, diceva che la situazione in cui vivono
soprattutto i giovani è proprio questo surrealismo di massa. Quello che
negli anni Venti-Trenta era l'esperienza di alcune élites – si pensi ad
esempio alla dimensione delle droghe – è diventata una situazione di
massa. È la peste del nostro tempo, e gli effetti di questo li vediamo
noi stessi nella fatica che facciamo nel ricapitolare i termini esatti
della nostra esperienza. Parlando con qualcuno, soprattutto con i
giovani (ma anche con gli adulti), basta chiedere un'opinione su una
cosa qualsiasi: rispondendo esprimono uno sdoppiamento forte tra quello
che pensano e quella che è la loro esperienza. Mentre la loro
esperienza dice una cosa, la loro testa ne dice un'altra, proprio
perché la testa è imbottita di questo mondo virtuale.

 

Se è la caratteristica fondamentale del mondo in cui tutti viviamo, significa che questa condizione riguarda anche i cristiani.

 

Questa
è la mentalità dominante, è l'aria in cui tutti noi viviamo, anche i
cristiani. Il cardinale Ratzinger, in un libro su Origene, disse che le
"potenze dell'aria" di una volta, cioè le divinità pagane, ora non sono
altro che l'opinione pubblica. I nostri figli ci nascono, e noi pure ci
siamo dentro completamente. Questo effettivamente rende difficile anche
vivere l'esperienza cristiana e fare un cammino. Poi ci sono momenti in
cui la realtà butta in faccia tutto, e si torna a toccare terra coi
piedi e a riaprire gli occhi; poi però immediatamente si ritorna alla
tentazione di costruire un'identità fittizia o di fuggire in altri
mondi. È un meccanismo molto complesso e difficilmente scardinabile. E
questo accade anche perché l'uomo ha bisogno di fuggire: l'uomo
riconosce l'esperienza vera, la realtà vera soltanto quando questa si
presenta con un significato, con un ordine e con una sua bellezza.
Altrimenti l'uomo di per sé ha come un automatismo che lo porta a
fuggire, perché ha paura della morte e dell'effimero della vita, e non
può dire in maniera indolore, come se nulla fosse, che tutto passa e
tutto è niente.

 

Un
altro intervento significativo sul tema delle cause culturali della
crisi finanziaria è stato un recente editoriale del direttore di Repubblica
Ezio Mauro, in cui l'autore introduceva un'immagine significativa: il
broker per strada con lo scatolone in mano «esce dall'indistinto
virtuale del paesaggio elettronico per tornare ad essere una figura
sociale». Non si salta però il passaggio che quel broker era ed è,
prima che figura sociale, figura umana, persona?

 

Il
punto è che siamo sempre alla ricerca di identità, di categorie e di
schemi dentro cui collocare i fatti che accadono. Se si guarda
all'accadere in sé del fatto, se ne coglie la drammaticità, e questo
spaventa. Un conto è fare l'analisi sociologica, un conto è incontrare
la persona per strada che ti chiede di aiutarla. Rispetto all'immagine
del broker, mi viene in mente che il medesimo giudizio del Papa io l'ho
sentito dire una volta da don Giussani, in una circostanza esattamente
opposta. Ed è quella che illumina e fa capire ancora di più la profonda
verità delle parole di Benedetto XVI. Giussani parlava con persone a
lui vicine, in un momento di forte entusiasmo al termine di un Meeting
di Rimini andato particolarmente bene. Nel mezzo dell'entusiasmo lui se
ne uscì con una frase impressionante e vertiginosa: «tutto passa,
l'unica cosa che resta è il tuo faccia a faccia con Cristo». E questo è
anche il giudizio finale su tutta la nostra esistenza. Ma la cosa
veramente impressionante è che egli lo disse in circostanze opposte a
quelle attuali: quando tutto crolla questo è più evidente, ma il punto
è saperlo affermare quando tutto va a gonfie vele. Ed è questo che
permette di capire l'immenso valore di questo giudizio.

Fonte: Il Sussidiario -
Leggi il discorso di Benedetto XVI Leggi l'articolo di André Glucksmann
Leggi l'editoriale di Ezio Mauro Vai allo Speciale Crisi finanziaria

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«Vergine madre, figlia del tuo Figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d'eterno consiglio, tu se' colei che l'umana natura nobilitasti sì, che 'l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l'amore per lo cui caldo ne l'eterna pace così è germinato questo fiore. Qui se' a noi meridïana face di caritate, e giuso, intra i mortali, se' di speranza fontana vivace. Donna, se' tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia ed a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz'ali. La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre. In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s'aduna quantunque in creatura è di bontate».
 

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La mia impressione è che in generale, a livello di potere esecutivo, legislativo e giudiziario, immaginando che questo terrorismo islamico "Made in Italy" potrebbe essere l’opera di una testa calda e magari di un cane sciolto, nel senso di un fanatico non organico a un gruppo terroristico noto, il pericolo viene valutato al ribasso e si ritiene quindi che non ci si debba preoccupare più di tanto. Questo è un errore gravissimo. Non si comprende che anche se fosse presente un solo aspirante terrorista e magari un terrorista suicida, sarebbe di per sé sufficiente per avere la certezza che si tratta della punta di un iceberg, dove l’iceberg è una realtà ben radicata territorialmente e ideologicamente che dovrebbe preoccuparci." Magdi Cristiano Allam
 
 

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