CO.SA.PUBBLICA

FACEZIE


DOVE STA ZAZA’  ?Fra i tanti parallelismi legati alla situazione generale odierna della nostra società che ultimamente ci fanno meditare, mi sia concesso rilevarne uno che, seppure di natura più leggera, parlando di canzonette, trovo illuminante.L’Italietta viscida e crudele, un pochino carogna, di questi nostri tempi è molto simile a quella che venne definita “dei telefoni bianchi”, quella, per capirci, del ventennio fascista, quella delle commediole leggere dai toni sofisticati, così sofisticati come solo gli Italiani hanno.L’Italietta  fatta di piccoli populismi da farsa,  fatta per gli italici spiriti pronti a commuoversi davanti ad un piatto di maccheroni fumanti (quando c’erano) e a guardare il maccherone cantando “…salve o popolo d’eroi…” con il cuore gonfio d’orgoglio e “Vincere…” oppure  “la saga di Giarabub” e molte altre canzoni accondiscendenti ed untuose verso il regime.Eppure vi furono anche canzoni che pur non essendo gradite al regime riuscirono in qualche modo a scampare alla ferrea censura del Minculpop e lo fecero in modo brillante ed intelligente. Le cosiddette “canzoni della fronda”. Pensiamo alla celeberrima “Dove sta zazà?”, che sembrerebbe una storiellina da poco.Nelle intenzioni segrete degli autori però, Zazà è la libertà ed Isaia è l’ Italia ecco allora che  “Nel momento culminante del finale travolgente, 'mmiez'a tutta chella gente, se fumarono a Zazá!...!”…ahi libertà perduta… E: “ Pare, pare, Zazá, che t'ho perduta, ahimé! Chi ha truvato a Zazá ca mm''a purtasse a me …”Ed ancora “…dove sta Zazà?...Cosa fa Zazà senza Isaia”…e   così via.Altro capolavoro del genere fu “Il tamburo della Banda d’Affori”. Stranamente questa canzone passò indisturbata senza finire nelle grinfie dei fascisti e fu un grande colpo visto che il testo descriveva, in modo ironico e vicino al vero, il loro capoccione.Ecco cosa si cantava “E’ il tamburo principal della Banda d’Afforiche comanda cinquecento e cinquanta pifferi…” dove appunto il tamburo era il Benito nazionale ed i cinquecento e cinquanta pifferi i membri della Camera dei Fasci e delle Corporazioni. “Che scompiglio! Ci sono anche le oche che gli fan "qua qua"…” continua la canzone . A questi due bellissimi pezzi seguono a ruota “Maramao perché sei morto…”, “ Signora illusione”, “Pippo non lo sa” e così via.Altri tempi.Oggi, ahimè, è poca quella capacità di usare l’ironia e la scaltrezza per porre in luce quello che realmente ci troviamo davanti agli occhi, occhi che hanno da tempo perso una capacità critica poiché fissi su di uno schermo di televisore o coperti dalle famose fette di prosciutto.Ci resta forse un’unica consolazione. Ad ogni piffero di oggi, ad ogni suonatore di piffero di oggi, a tutti quelli che adorano sentire suonare i pifferi, e magari anche ai tamburi principali di oggi, possiamo sempre cantare: tra le mie mani “un’ora sola ti vorrei, per dirti quello che non sai….”.                                                                                                               CLAUDIO MICHELAZZI