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Dibattito 180


Intervista a Beppe Dell'Acqua(continua dal messaggio 143)D: La centralità del territorio è sempre stata una caratteristica dell'esperienza triestina. Oggi che cosa significa per l'equipe che dirigi abitare il territorio? R: Significa costruire e far funzionare servizi territoriali che, distanziandosi dal modello clinico-ospedaliero, vadano incontro alle persone e sappiano valorizzare il capitale umano che le persone sempre posseggono, le risorse della rete, i rapporti sociali. A Trieste mentre il manicomio si apriva e si trasformava fino a cessare, nel 1980, tutte le sue funzioni si progettava la rete dei servizi territoriali con centri di salute mentale aperti 24 ore su 24. Ancora prima della legge 180. L’ospedale psichiatrico contava 1200 internati oggi il dipartimento di salute mentale si occupa di 242 mila abitanti, Trieste e la sua provincia. Ogni 60 mila abitanti, ogni distretto, un centro di salute mentale funzionante 24 ore con 6/8 posti letto, una cucina, una mensa, spazi di incontro e di riunione. Anche la Clinica Psichiatrica Universitaria integrata nel DSM dal 1999, gestisce un CSM per un’area di 12000 abitanti. In ogni centro un equipe di circa 35 persone tra psicologi, assistenti sociali, infermieri, educatori, psichiatri vedono in media nel corso dell’anno circa 800 persone. Assicurano continuità e presa in carico forte e quasi quotidiana ad almeno 300 persone. Rispondono all’urgenza, meglio direi alla crisi in tempo reale. Considerando anche quelli che vengono in contatto con il SPDC sono più di 4000 le persone che in anno attraversano il dipartimento di salute mentale. Di fatto il servizio di diagnosi e cura presso l’ospedale civile lavora con 6 posti letto, un solo psichiatra e 14 infermieri. Tutti i medici dei centri ruotano a coprire le 24 ore del servizio. Le porte sono sempre aperte. Nessuno mai è stato legato. Intendo dal 1971. Nel corso di un anno 14/16 persone vengono sottoposte a trattamento sanitario obbligatorio, 6 ogni 100 mila abitanti. Il tasso in Italia si attesta intorno 25/ 30 per 100 mila. Questi trattamenti per 2/3 vengono attuati nei centri di salute mentale e non in SPDC. Circa 12 strutture abitative comunitarie e di convivenza costituiscono l’offerta dell’abitare assistito per circa 60 persone. Due posti ogni 10 mila abitanti. Tutte le residenze sono gestite da cooperative sociali in rapporto strettissimo con le unità operative del dipartimento, in particolare da operatori che costituiscono quello che chiamiamo il Servizio per l’abilitazione e la residenzialità. Tutti gli ospiti delle residenze sono titolari di un progetto terapeutico riabilitativo personalizzato, quello che chiamiamo budget di salute. Il programma è frutto della coprogettazione di tutti gli attori coinvolti. Cooperative, dsm, associazioni, servizi sociali. Gruppi di convivenza autogestiti vengono promossi e sostenuti dagli operatori dei centri. Il servizio per l’abilitazione e la residenzialità accredita 15 cooperative di tipo B che hanno raggiunto livelli di imprenditoria sociale molto elevati. Gestiscono molti servizi aziendali e di altre istituzioni pubbliche: catering, trasporti, giardineria, manutenzioni edili, lavori di ufficio e di archiviazione, progettazione grafica e stampa. Una cooperativa gestisce un ristorante e un albergo. Un’altra una radio. Ogni anno 150 persone accedono a percorsi di formazione e di questi circa 25 vengono assunti sia in cooperative che in aziende pubbliche e private. Programmi per i familiari sono attivi con corsi, incontri tematici, attività di auto aiuto. Le associazioni hanno spazio e ascolto istituzionalmente concordato. Destiniamo molta attenzione e risorse al protagonismo delle persone con l’esperienza che si articola attraverso club culturali, associazioni sportive e di volontariato, associazioni di genere. Molto si investe nel promuovere l’utilizzazione delle risorse informali. In totale gli operatori impegnati nel DSM sono 230, circa uno ogni 1000 abitanti (oltre il minimo di uno a 1500 previsto dal Progetto Obiettivo 1998/2000 ). Il costo totale nel 2007 a bilancio consuntivo è stato di 18 milioni di euro. Il costo dell’OPP fu nel 1971 fu di 5 miliardi di lire pari oggi a circa 30 milioni di euro. Il lavoro di integrazione con distretti e servizi sociali è una priorità e di recente si va articolando con un progetto aziendale che chiamiamo di microarea. Circa 20 aree della città, ognuna di poco più di 2 mila abitanti, sperimentano interventi intensivi di integrazione condotti da tutte le unità operative aziendali e comunali: distretti (anziani, handicap, adolescenti, famiglie, ADI, specialistica), DSM, dipartimento delle dipendenze, servizi sociali. Accanto allo sviluppo dei servizi di prossimità è attivo da dieci anni un progetto molto articolato di prevenzione del comportamento suicidario. Il tasso elevatissimo a Trieste, 25 per 100mila nei dieci anni precedenti il progetto di prevenzione e sceso nel decennio di sperimentazione a 14, Una diminuzione di quasi il 40%. Dal 1980 è attivo un gruppo di lavoro in carcere. Oggi non c’è una sola persona in ospedale psichiatrico giudiziario. Zero. Nei 6 OPG attivi in Italia sono1200, vale a dire 20 ogni milione di abitanti. Il DSM di Trieste è centro collaboratore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ed è stato invitato a presentare questi dati nella plenaria della conferenza di Helsinki del 2005 davanti ai rappresentanti dei 53 paesi europei partecipanti. Perché unica realtà operativa che poteva mostrare, in Europa, un quadro complessivo di organizzazione, programmi e pratiche innovative. D: Ma perché andare nei territori? Perché questo secondo te è il luogo? R: La scelta del territorio, della comunità, del contesto, dell'andare verso le persone, del lavoro terapeutico nelle relazioni è quanto quella scelta di campo che ho cercato di narrare per prima cosa ha preteso e pretende. Le esperienze di questi anni hanno permesso di capire quanto la malattia, la diagnosi, la clinica in una parola, va messa alla prova proprio nella dimensione territoriale. Il lavoro che bisogna fare per incontrare le persone si situa proprio in quello spazio dialettico, aspro e tesissimo, tra la clinica e il territorio, i luoghi delle persone, i contesti, le relazioni. Quanto più si riconosce il territorio come luogo privilegiato del lavoro terapeutico,della riabilitazione, dell’inclusione tanto più si colloca in questa dimensione la clinica e la malattia assume una diversa visibilità come detto, si mette in relazione alla persona. In questa sequenza si deve collocare la scelta della comunità. Nel territorio assume consistenza il senso e l’efficacia della “presa in carico” del lavoro terapeutico. In continuità e indissolubilmente connesso al lavoro terapeutico i percorsi di formazione e di inserimento lavorativo, la presenza della cooperazione sociale, il sostegno a tutte le forme dell’abitare garantiscono la permanenza delle persone nel contratto sociale e limitano il rischio di marginalizzazione. Nel territorio la presa in carico delle persone deve poter durare il tempo di una vita, senza che per questo la vita stessa si definisca come malattia, cronicità, inguaribilità, esclusione. Il luogo della presa in carico, della cura, della riabilitazione non può essere se non un luogo da inventare, da costruire nelle relazioni del quotidiano, da organizzare nel riconoscimento dei soggetti, dei poteri, delle istituzioni che costituiscono quel territorio. Il luogo della cura non può che collocarsi proprio sulla soglia della casa delle persone. Come sulla soglia del Servizio di Salute Mentale. Andare nel territorio, per noi, significa scoprire un tempo che è un tempo completamente diverso dal tempo della clinica, dal tempo della malattia. Quando prima ho detto “pensavamo che la cronicità non esistesse più” è perché a Trieste e in tanti luoghi in Italia, lì dove davvero funzionano i centri di salute mentale, lì dove le cooperative entrano nel mercato e producono lavoro, lì dove i servizi di diagnosi e cura sono aperti e attraversabili, dove tutti possono entrare e uscire, lì dove esistono appunto i luoghi dell'abitare, ebbene in questi luoghi la cronicità non c'è più. Ma non c'è perché garantiamo alle persone di vivere la cittadinanza, di vivere con dignità, di vivere in una possibile prospettiva di vita. Ancora una volta: di vivere la possibilità. Conosco persone che avevano la mia stessa età quando ho iniziato a lavorare 36 anni fa e le conosco ancora adesso. Sono guarite?, mi domanderai. Potrei dirti di sì, però poi a una valutazione psichiatrica, a un esame obiettivo che i miei colleghi psichiatri potrebbero fare si direbbe che hanno un delirio cronico, si direbbe che hanno una schizofrenia residuale, che hanno un restringimento della vita affettiva e relazionale dunque si direbbe che sono malati e sono malati cronici. Ma io continuo a dirti che sono guariti. Hanno recuperato un loro ruolo, vivono relazioni familiari e amicali, attraversano luoghi e tempi della città, insomma stanno vivendo la loro vita. Stanno vivendo in una dimensione di possibilità. Vedi, il tempo assume un valore decisivo anche nel momento della crisi. Nel territorio possiamo condividere e valorizzare il tempo della persona, il tempo della crisi, il tempo di una sofferenza che non può avere limiti di tempo. Il tempo dell’attesa, il tempo della negoziazione, il tempo del riconoscimento. Dare tempo, avere tempo, rispettare il tempo, stare nel tempo delle persone. La medicina è abituata a rinchiudere l'acuzie in un tempo definito. Opera una frattura nella vita delle persone. Ti ho detto che condivido percorsi con persone che conosco da 36 anni, e finché non morirò, andrò avanti a frequentarle. E forse qualcuno di questi miei compagni, oramai amici da una vita, mi sosterrà nella mia vecchiaia……. Ma non c’è solo Trieste. Cose straordinarie stanno avvenendo in Sardegna, sono avvenute ad Aversa, a Pistoia, a Mantova, in tutta la Regione Friuli Venezia Giulia e in tanti altri luoghi. Gli operatori in queste realtà dimostrano che i “folli” possono essere curati in un altro modo. Tutti sanno che si può fare….. Ciò che è accaduto in Italia è chiaro e i cambiamenti sono evidenti nelle pratiche, nella vita e nei diversi destini delle persone. (4. fine)