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Fin dove arriva il principio di autonomia?di Ignazio Sanna, arcivescovo di Oristano(tratto da L'Avvenire del 28.07.08)Uno dei problemi sui quali fa discutere la vicenda di Eluana Englaro è il rispetto della libera scelta del paziente. In questo mio breve intervento vorrei fare qualche considerazione sul limite dell’esercizio della libertà, che ritengo molto importante per la formazione delle nostre convinzioni personali.Relativamente al valore della libertà, va ricordato che il concetto di libertà cristiana è legato all’immagine di Dio, perché, secondo il concilio, la libertà è il segno altissimo dell’uomo creato a immagine di Dio. La libertà umana è una libertà partecipata, perché l’uomo non è Dio, ma solo immagine di Dio. L’immagine, infatti, in se stessa, è un limite. Non è l’archetipo, non è l’originale. Ma essa è sempre in rapporto con l’archetipo e con l’originale. La creatura è sempre in rapporto con il Creatore. L’uomo immagine è in se stesso un limite. Un limite verso l’alto, perché non è Dio, è un essere che sfida gli dei, secondo Eschilo, un essere che parla degli dei, secondo Platone, un essere che parla a Dio, secondo sant’ Agostino. È dalla parte di Dio. È vicino a Dio, parla con Lui, sfida il suo divieto, ma non è Dio. Però è immagine di Dio, cioè deriva da Dio, dipende da Dio. Per capire l’uomo bisogna partire da Dio. L’immagine ha in se stessa qualcosa di fragile, di debole, di corruttibile, ma allo stesso tempo ha una valenza di eternità. Essa respinge sia il dualismo ontologico, che divide l’uomo in due sostanze, che il monismo materialistico, che lo riduce alla sola materia, al cosiddetto uomo neuronale. L’uomo è immagine di Dio in tutta la sua realtà fisica e spirituale, ed è, a priori, un essere responsabile verso Dio e creato per Lui. Proprio in base a questa sua somiglianza divina, che costituisce la sua vera dignità, egli è fondamentalmente diverso da tutto il mondo infraumano. La libertà, dunque, è limitata, partecipata, verso l’alto, cioè Dio, ma è limitata e partecipata anche verso il basso, cioè la società. Il principio di autonomia, infatti, presuppone che la persona possa giudicare il valore della propria vita indipendentemente da ogni altra relazione con gli altri uomini, facendo riferimento in modo esclusivo ai propri criteri e al proprio vissuto. Nella realtà ciò non si dà mai, perché gli uomini non sono atomi, come afferma una concezione individualistica estrema, ma dipendono in modo reale gli uni dagli altri. L’immagine che un uomo ha di sé dipende non da ultimo da chi egli è agli occhi degli altri; la valutazione del valore della propria vita rappresenta nell’una o nell’altra direzione sempre anche una reazione alla valutazione ch’egli riceve nel giudizio degli altri. È semplicemente irrealistico pensare che una persona possa prendere una decisione definitiva, libera e razionale, sulla propria esistenza e sul suo valore complessivo, senza essere influenzata dalle persone con cui vive e dall’ambiente sociale che lo circonda. Inoltre, la libertà è limitata anche dal fattore tempo. In un avanzato stadio della malattia, il desiderio di morire spesso intende dire qualcosa di diverso dal significato diretto delle parole adoperate. Non solo. Nelle singole fasi che precedono la morte, l’umore del malato cambia spesso; il desiderio di morire presto, espresso in una fase di depressione, può cedere successivamente il posto a un nuovo desiderio di vivere, che permette al moribondo di accettare consapevolmente la propria morte. In un secondo momento simili desideri di morire sembrano un appello disperato a non essere lasciati soli nel difficile momento della morte. Dietro di essi si cela il desiderio di essere in quel frangente efficacemente aiutati, desiderio che un’interpretazione letterale della richiesta di eutanasia o addirittura il suo immediato appagamento potrebbero solo deludere. In secondo luogo la realtà delle cure palliative ha mostrato che la vera richiesta della popolazione è quella di non soffrire inutilmente e di essere accompagnati in modo attento e umano alla morte, mentre non è affatto quella di anticipare la morte.Riguardo, poi, alla richiesta di porre fine alla vita, si può tener presente che in Olanda i medici rifiutano richieste di eutanasie e praticano eutanasie non richieste dai pazienti, proprio sulla base della nozione di qualità della vita. Quando, a loro parere, il paziente non ha più la qualità in quantità sufficiente, si sentono autorizzati a praticarla senza richiesta, mentre rifiutano se pensano che non si sia giunti a quel livello. La nozione di qualità della vita, quindi, può diventare una ragione di esproprio dell’autonomia del paziente da parte dei medici, a tal punto che sia giustificato chiedersi dove vada a finire il principio di autonomia. Non si dovrebbe far dipendere la nozione di dignità dell’uomo dai parametri clinici. Al contrario bisognerebbe mantenerla come è stata accolta nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: dignità intrinseca che non si perde mai. Questa nozione oggettiva di dignità è una garanzia contro l’arbitrio e l’abuso.