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Staminali: ora cambia tutto. Senza embrioni (di Elena Molinari) E’ stato chiamato il «padre» delle staminali embrionali. Ma lo stesso James Thomson (nella foto) ammette in questa intervista concessa ad Avvenire che, dieci anni fa, quando ha isolato la prima cellula indifferenziata estratta da un embrione umano, non si era reso conto delle profonde ripercussioni morali che la sua scoperta avrebbe avuto. Per questo negli ultimi anni, pur non disconoscendo l’uso delle cellule embrionali, ha dedicato le sue energia a superare i dubbi etici che circondano l’uso di embrioni a scopo scientifico o terapeutico. E ci è riuscito.  Quello che il suo laboratorio ha isolato dieci mesi fa simultaneamente all’équipe del giapponese Shinya Yamanaka, dice, «cambia tutto».  Thomson e altri ricercatori dell’Università del Wisconsin hanno inserito quattro geni in cellule della pelle di individui adulti, riprogrammandole e spingendole a comportarsi come cellule staminali embrionali. Thomson accetta volentieri di spiegare il suo pensiero a margine del Congresso mondiale sulle staminali, appena concluso proprio nel Wisconsin.  Professor Thomson, cos’è cambiato nel suo lavoro dopo che ha scoperto la possibilità di sviluppare linee di «cellule staminali pluripotenti indotte» provenienti dalla pelle di individui adulti?  «Che queste cellule non sono estratte da embrioni. Biologicamente parlando sembrano avere le stesse caratteristiche delle cellule embrionali: queste cellule sono notevolmente simili per il semplice fatto che in teoria possiamo farle trasformare in qualsiasi tessuto del corpo umano in cui vengano trapiantiate. Inoltre, usando questa tecnica le cellule estratte da persone affette da varie malattie possono essere usate per far crescere in laboratorio parti dell’organo affetto dalla malattia stessa: un’operazione che potrà mostrare, ad esempio, se la malattia è stata causata da un difetto genetico».  Qual è il vantaggio scientifico di questa scoperta?  «Il tessuto proviene dallo stesso paziente, contiene il suo patrimonio genetico. Questo ci condurrà prima di tutto a produrre più velocemente farmaci migliori e meno costosi. Forse inizialmente ciò avverrà in un modo che non farà notizia, che non comparirà sulla prima pagina del New York Times, ma che cambierà radicalmente la vita di molti pazienti».  A che stadio è la ricerca di possibili applicazioni cliniche?  «Ci sono già sforzi in atto, tentativi di usare le staminali per produrre sangue umano, che potrebbe essere usato per incrementare la disponibilità di sangue per trasfusioni, sempre scarsa. Altre terapie cellulari, compresi i trapianti per rimpiazzare cellule danneggiate o distrutte, sono da collocare più in là nel futuro».  Può darci una stima del tempo che ci vorrà perché queste sperimentazioni diventino terapie utilizzabili negli ospedali?  «Per i trapianti di cellule, direi cinque o dieci anni. Ma gli scienziati sono notoriamente poco portati a fare predizioni realistiche. Non ho dubbi sul fatto che ci attendono molte difficoltà. Dobbiamo rimboccarci le maniche e lavorare sodo, perché c’è molto da fare. Questi risultati non arrivano da un giorno all’altro».  Quali sono gli ostacoli più consistenti da superare?  «Ci sono potenziali ostacoli alla diffusione di terapie di trapianto usando le staminali. Dobbiamo essere in grado di realizzare cellule del tipo che ci interessa, vanno eliminati i dubbi sulla sicurezza delle terapie, come la possibilità che le staminali provochino lo sviluppo di tumori. E dobbiamo integrare le nuove cellule all’interno del corpo in una forma fisiologicamente utile. Questo può avvenire più velocemente in alcune parti del corpo rispetto ad altre».  In quali parti del corpo prevede che sarà più facile trapiantare efficacemente cellule staminali pluripotenti indotte?  «La maggior parte delle malattie che studiamo coinvolge il sistema cardiovascolare o il sistema nervoso centrale. Sebbene siano entrambi sistemi molto complessi, i trapianti cellulari saranno più facili nel cuore che nel sistema nervoso. Gli scienziati sono già in grado di produrre cellule cardiache a partire dalle cellule pluripotenti indotte, tanto che le stanno già usando per sperimentare nuovi farmaci. Invece il sistema nervoso è talmente complesso che i trapianti di cellule nervose potrebbero risultare più difficili e richiedere più tempo. Nel breve termine, però, l’osservazione in laboratorio di queste cellule potrebbe aiutare gli scienziati a capire perché il morbo di Parkinson, ad esempio, si manifesta in alcuni individui e non in altri. Le cellule potrebbero anche condurre alla creazione di terapie che prevengano la malattia o ne arrestino l’avanzamento, in modo che i pazienti possano avere una migliore qualità della vita. L’uso delle staminali pluripotenti per veri e propri trapianti risulterà più arduo. Una cosa è produrre tessuti in provetta, un’altra essere in grado di reinserirli nel corpo e ristabilire le connessioni necessarie a dare loro la funzione che devono avere. Ma credo che, prima ancora che nei trapianti, le cellule pluripotenti verranno utilizzate come cellule 'di supporto' per aumentare il flusso sanguigno nell’area affetta da degenerazione e far ricrescere le cellule danneggiate».  Si chiamano «staminali pluripotenti indotte»: sono cellule adulte E a ottenerle, insieme al giapponese Yamanaka, è stato lui, James Thomson Che ora punta sulla ricerca «etica» IN SINTESI 1 Le cellule riprogrammate cambieranno la vita dei pazienti.2 Serviranno per produrre sangue, farmaci e per i trapianti.(tratto da Avvenire del 25.09.08)