CSMinforma

Gli esistenzialismi


di Emmanuel Mounier ...  L’ottimista è colui che conta sempre sull’avvenire, il disperato incastrato nel finito è colui che non conta più su niente e nessuno. Ma entrambi contano. Essi dispongono delle cose e di sé, e giudicano del gioco. “l’inventariabile è il luogo della disperazione”. L’ansietà, la paura dell’avvenire, sentimenti più modesti, sono già malattie dell’avere.. La speranza, invece, è primitivamente un rilassamento dell’io, un rifiuto di voler disporre di me, di calcolare le mie possibilità, una distrazione ontologica volontaria, un abbandono. Non è un modo di beatificare i miei desideri, perché essa è tanto più autentica quanto più si allontana dal desiderio, e rifiuta di immaginare  la sostanza della cosa sperata. Ma essa è pazienza, cioè rinuncia alla premura, all’indiscrezione davanti a ciò che, nel mondo, può nascere indipendentemente dalla mia azione possibile. Non considera il mondo come inventariabile, dunque esauribile, ma al contrario inesauribile. Rifiuta di calcolare  le possibilità, e generalmente di misurare le forze in gioco. In questo senso e su questo piano, essa è una distanza presa nei riguardi del mondo funzionalizzato delle tecniche, formato al servizio dei miei desideri; essa afferma l’inefficacia ultima delle tecniche nella risoluzione del destino dell’uomo. Essa ci pone al polo opposto dell’avere e dell’indisponibilità. Fa credito, dà del tempo, dà spazio all’esperienza in corso. La speranza è il senso  dell’avventura aperta, tratta la realtà come generosa, anche se questa realtà deve apparentemente ostacolare i miei desideri. Noi possiamo rifiutarci alla speranza come all’amore. Essa è dunque una virtù, e non una consolazione o una facilità. Ma è più di una virtù. Entra nelle statuto ontologico di un essere definito come trascendente all’interno di se stesso. Accettarla o rifiutarla, è accettare o rifiutare di essere uomo. ...