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La vita è quella che è


di Anna FataQuante volte mi capita di ascoltare il senso d’insoddisfazione delle Persone: “Mi manca questo, questo e quest’altro ancora”. A cui poi, altrettanto di frequente, s’accompagna il vissuto di mancata realizzazione di sé, e, per forza di cose, anche del Sé.Quante volte mi chiedo il perché di tante corse, fughe, accantonamenti di se stessi, dei propri messaggi di vita. Quanta scomodità si cela nel dover prendere atto che tutto quel che abbiamo modellato e costruito fino a quel momento e a cui ci siamo aggrappati e, peggio ancora, identificati, non ci corrisponde più.Un bel colpo. Che richiede incessantemente di ricominciare da capo. E arrivare così a quella che di fatto è l’Essenza che caratterizza ogni istante di Vita. Nessuna certezza, nulla di definito una volta per tutte, ogni istante è un mondo a sé.Quanta delicatezza, quanta vulnerabilità e forza al tempo stesso sono sottese alla capacità di fermarsi, stare e so-sostare nella Vita. E non necessariamente questo coincide sempre con l’immobilità fisica. Saper agire, emozionarsi, muoversi, e restare nel profondo in connessione sospesa e silenziosa con sé, Sé e il mondo di cui si è parte è ben praticabile.Che poi, di fatto, è anche l’essenza della Pratica Meditativa. Già, siamo dei Praticanti, tutti noi, anche senza saperlo. Il bello viene quando ne diveniamo coscienti. E cominciamo a giocare con questi vissuti e sensazioni che s’affacciano. Che spasso osservare se stessi con un pizzico di distacco: ci si rende conto di quanto, talvolta, ci rendiamo ridicoli ai nostri occhi! Perché lo facciamo? Per lo più per essere accettati. Quanto dolore proverebbe quel piccolo Orfano – Archetipo che caratterizza ciascuno di noi, a livello individuale e collettivo – di fronte all’ennesimo abbandono.E, allora ci camuffiamo: indossiamo abiti che ci costringono, proferiamo parole che pensiamo, ma non sentiamo, svolgiamo lavori che ci danno prestigio e denaro, ma scarsa realizzazione delle potenzialità, frequentiamo luoghi solo perché sono di moda. E, peggio, assai di frequente si arriva a tal punto ad immedesimarsi in questa rappresentazione che finiamo col crederci! C’illudiamo che quella sia la nostra vera essenza. Ma, talvolta, come un alito di vento può increspare la superficie del mare, oppure, rinforzandosi, può ribaltare le imbarcazioni, un evento esterno, piccolo o grande che sia, ci risveglia, ci aiuta a vedere come sono più propriamente le cose. E lì, immancabilmente, il castello di sabbia s’affossa.Tutto sommato, nonostante lo sbigottimento e il dolore iniziali, è una liberazione.Liberazione, finalmente, d’essere se stessi, d’esprimersi per quel che si è, di fare quel che ci si sente, in linea con la propria natura più profonda. E anche laddove qualcosa in superficie non s’accorda alla nostra natura si accetta con quella serenità profonda che ci fa sentire che questa non intacca in alcun modo la nostra natura più intima. Ma per arrivare a questa consapevolezza e accettazione, occorre un percorso, che è unico per ciascuno di noi, pur con elementi comuni alla collettività. Un percorso che passa attraverso la profondità per scaturire in una rinnovata leggerezza, in un abbandono di pesi e gravami che spesso ottundono la vita, che c’impediscono di viverla per quella che è: complessa, ma non complicata, leggera, ma non superficiale, ironica, ma non sarcastica.