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Un ponte sulla scena, seconda edizione


(di Antonio Cesare Gerini) Se si vuole dare una definizione di disturbo mentale si può dire che esso è uno stato in cui la persona è persa in un grave e spesso invincibile isolamento; isolamento da se stessa e dalla comunità con contemporaneo tentativo di uscita da tale stato attraverso pensieri e comportamenti “folli” e che gli psichiatri chiamano “psicosi”.   Nel nostro momento-periodo storico si parla a più riprese della cura di tale malessere e si danno risposte diverse a seconda dell’impostazione personale-culturale dello psichiatra - della scuola psichiatrica e del contesto culturale e sociale di riferimento.   Quando si parla di come curare la persona con disturbo mentale, la parola cura assume valenze diverse, ma sostanzialmente la si omologa alla parola terapia. Come se  cura e terapia fossero la stessa cosa.  Nascono allora una serie di fraintendimenti e equivoci, come se la cura (o terapia) fossero un’esclusiva di gruppi “scientifici”, di specialisti che posseggono lo strumento finale per vincere tale stato. Si crea così uno stato di delega alla cura, con conseguente espropriazione di livelli propri della persona e del contesto sociale che, attraverso il buon senso comune, possiede anch’esso importanti risorse di cura.   In realtà la parola cura ha significati molto più articolati e complessi, che abbracciano diverse modalità di essere e di cui la terapia è solo una parte della cura stessa.  Quando si parla di cura possiamo dire che “ci si prende cura di una persona attraverso modalità diverse" e che nessuna della modalità della cura è mai superiore a un’altra. Ci può essere una prevalenza nei diversi momenti del “prendersi cura”, ma la totalità della cura non deve mai sfuggire.   Ci si prende cura di una persona attraverso una relazione di simpatia ma, contemporaneamente, anche  attraverso un insegnamento morale graduato e, se del caso, con una terapia farmacologica opportuna.   Mettere sempre in evidenza, o tenere a mente, i diversi significati e contesti in cui si esplicita  la cura è molto importante se non si vogliono dare risposte parziali, riduttive e anche dannose alle problematiche che pone il disturbo mentale.   La scelta fatta dal nostro gruppo, di riflettere su questi argomenti e di chiamare i conseguenti interventi di cura come “prendersi cura”, ha il significato di coinvolgere in questa cura, oltre le persone con problematiche mentali, anche tutte quelle componenti sociali che ne sono vicine.   Si tenta così di “creare” un livello di contesto sociale in cui la persona – quella specifica persona - trova la possibilità di esprimersi e relazionarsi con più facilità, anche, da parte del sistema sociale di riferimento, assorbendo modalità “psicotiche”, naturalmente sin dove questo è possibile, che altrimenti sarebbero incompatibili con il resto della società.   La seconda edizione di “Un Ponte sulla scena” ha proprio questo significato.   Attraverso il teatro è possibile veicolare parte di questi contenuti e creare contesti sociali in cui un gruppo di sofferenti psichici sono protagonisti insieme a altre persone che lavorano paritariamente con loro; contemporaneamente è possibile stimolare e rendere partecipi altre componenti della società, scuole con docenti e studenti, gruppi teatrali vicini e sensibili alle problematiche esposte, familiari e operatori sanitari, che in questo confronto formino un ponte che a partire dalla scena sia di un collegamento reale con tutte le componenti personali e sociali chiamate, ognuna secondo specifiche responsabilità, alla cura della persona sofferente.