FUOCO CHE BRUCIA

ALTERNATIVE


In questi giorni ho notato parecchia ignoranza riguardo i metodi alternativi alla tortura e alla morte di animali innocenti.Oltre ad una sempre più radicata ignoranza di "persone" che continuanoa considerarsi superiori agli animali, con tanto di diritto sulla lorovita e morte. Troppo spesso sento "persone" affermare che il canedeve capire chi comanda, chi è il padrone e qual'è il suo posto in casa...Idem con i cavalli. Questo retrogado modo di pensare, dovuto ad una sottocultura di fondo e a una stupidità nel non voler vedere la verità, è molto pericoloso sia per i nostri fratelli animali che per gli uomini.In questo modo si giustificano i macelli, la  vivisezione, i circhi, le pellicce....Tutto questo continua a creare sottocultura e assassini ignoranti.Per fare una volta per tutte chiarezza su certi argomenti ho scelto questo semplice testo che tutti possono capire:"L’analisi effettuata dalla LAV su centinaia di protocolli sperimentali, provenienti da tutta Italia, inviati dai ricercatori Ministero della Salute prima di apprestarsi a svolgere esperimenti su animali, dimostra un grave inadempimento da parte degli utilizzatori. Infatti, non uno dei protocolli riporta una giustificazione dettagliata e circostanziata sul ricorso all’animale a causa dell’impossibilità di impiegare tecniche sostitutive.Queste, sembra, vengono semplicemente ignorate; forse perché, come molti utilizzatori di animali ritengono, le colture cellulari (uno dei metodi più diffusi che non fanno uso di animali), non sono efficaci quanto l’animale stesso. Eppure un importante dato emerso a questo riguardo nella stesura del Rapporto LAV 2004 La vivisezione in Italia regione per regione è che quasi il 40% degli animali viene ucciso con il solo scopo di allestire colture cellulari; se al posto di questi venissero impiegati tessuti umani provenienti da biopsie, interventi chirurgici di vario tipo o da cadavere, si risparmierebbe la vita a circa 400.000 animali ogni anno.Dal 2003 anche l’Italia è dotata di un organo per la diffusione dei metodi alternativi, l’IPAM (Italian Platform on Alternative Methods), costituita, come tutte le piattaforme degli altri paesi europei, da rappresentanti di quattro aree di interesse: istituzioni governative, industria, mondo scientifico(università/enti di ricerca), organizzazioni animaliste e per il benessere animale, e che conta fra i suoi soci fondatori e sostenitorila stessa LAV. Il compito principale dell’IPAM è quello di promuovere e favorire l’implementazione dei metodi alternativi favorendo lo scambio di informazioni scientifiche e di competenze tra le quattro aeree, dando impulso all’ulteriore sviluppo e perfezionamento dei metodi alternativi alla sperimentazione animale in Italia, sensibilizzando l’opinione pubblica, il governo e gli stabilimenti utilizzatori, affinché, nella pratica della sperimentazione, vengano più facilmente accettati i metodi alternativi disponibili.Nel febbraio 2004 la LAV ha rilanciato la campagna sul tema dell’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale per la diffusione della legge 413/93 che riconosce a studenti e ricercatori il diritto a dichiararsi obiettori alla sperimentazione animale.Circa la metà delle quasi 50 università italiane con facoltà di tipo biomedico hanno risposto alle nostre istanze relative alle modalità di pubblicizzazione della legge in materia positiva, spesso richiedendo esse stesse il materiale divulgativo per garantire a tutti gli studenti l’accesso a questo importante diritto, storica vittoria della LAV. È tuttavia preoccupante rilevare quanto ancora questa legge – ormai in vigore da undici anni – venga ancora troppo spesso ignorata, e che in alcuni casi sia servito l’intervento di un’associazione e del suo legale per ottenere la semplice comunicazione di un diritto. In alcuni casi risulta poco chiaro il fatto che l’obiezione di coscienza sia applicabile per tutti i casi connessi alla sperimentazione animale, e non solo all’ambito didattico, sebbene sia questo quello nel quale l’esercizio della legge abbia più senso di esistere. In realtà già oltre il 70% delle esercitazioni didattiche in Italia non ricorre all’impiego di animali, e questo testimonia la loro inutilità in questo settore....Sono circa 45.000, invece,  gli animali che ogni anno muoiono sfigurati da rossetti, intossicati da profumi, bruciati da creme e saponi. Eppure, sono più di 8.000 gli ingredienti già disponibili per le aziende e centinaia i metodi alternativi di ricerca. Diversi sondaggi in tutta Europa hanno dimostrato che la maggioranza delle persone non crede che sviluppare nuovi cosmetici sia una valida giustificazione per far soffrire e uccidere animali.Prosegue il lavoro della LAV per la sensibilizzazione dei consumatori verso cosmetici non testati su animali, grazie all’adesione allo Humane Cosmetic Standard, l’unico standard riconosciuto a livello internazionale che fissa i criteri per l’approvazione di una ditta cosmetica che produce senza il ricorsoai test su animali. Dopo l’edizione del 1998, la LAV è alla stesura della sua seconda Guida ai prodotti cosmetici non sperimentati su animali, che prevede l’ingresso di una nuova figura come garante degli impegni presi dalle aziende: ICEA, l’Istituto di Certificazione Etica e Ambientale, ente che si occuperà di eseguire i controlli nelle aziende approvate in base allo standard internazionale per verificarne la loro conformità.Dalla fine di quest’anno sarà possibile riconoscere i cosmetici non testati su animali grazie alla dicitura:Stop ai Test su AnimaliApprovato da LAV (Lega Anti Vivisezione) (www.infolav.org)Controllato da I.C.E.A. (Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale)(www.icea.info) n. 000Dal 2005 sarà presente anche il logo della European Coalition to End Animal Experiments (ECEAE), che gestisce lo standard e di cui la LAV è membro. Man mano che nuove aziende decideranno di aderire allo Standard verrà aggiornata la lista sul sito web della LAV; rispetto alla precedente edizione è stato registrato un incremento nelle aziende aderenti, sebbene non così importante come la LAV si era aspettata. A questo proposito Unipro, l’associazione italiana dei produttori di cosmetici, ha contribuito a non far decollare lo standard invitando i propri soci a non aderirvi, evidentemente per evitare una discrezione del consumatore tra aziende impegnate eticamente nel rispetto per gli animali e le altre.Questo testo è tratto dal volume:Animali non bestie Difendere i diritti, denunciare i maltrattamenti, a cura di Gianluca Felicetti, pubblicato da Edizioni Ambiente nel 2004.