Hanno cercato di renderle invisibili, sfigurandole con l’acido, cercando così di umiliarle e piegarle per un amore non ricambiato, un affronto, un tradimento, lasciando sui loro corpi cicatrici indelebili. Invece, per alcune di queste donne le cicatrici hanno cancellato via i loro tratti ma non la loro essenza, rendendole ancora più visibili e importanti di prima. E’ con questo gioco di parole “In/visibile” che si presenta il progetto fotograficodi Ann-Christine Woehrl, in mostra per due week-end (dal 17 al 19 e dal 24 al 26 ottobre) a Lodi, in occasione del Festival della Fotografia Etica.Certo, il suo è un progetto che fa gelare il sangue. Provate a scorrerlo qui, sul suo sito, e provate a dire che pagina dopo pagina riuscite a far correre via le immagini senza problemi. Bene, aggiungete il fatto che Ann-Christine ha ripreso solo 48 donne mentre si contano 1500 casi l’anno di aggressione con acido a livello mondiale, 1500 donne sopravvissute che hanno avuto il coraggio di denunciare a cui si devono aggiungere tutte quelle che non denunciano. Quelle ritratte da Ann-Christine fanno parte delle donne che hanno reagito; donne che nonostante tutto, che sia la dipendenza economica dal marito o dalla famiglia, sono riuscite ad accettarsi, e che sono ritornate alla vita quotidiana sopportando gli sguardi imbarazzati della gente.E se ogni cicatrice corrisponde ad una ferita ogni sguardo la riapre. Eppure per il suo progetto Ann-Christine ci presenta donne che sembrano non curarsi più dell’opinione della gente. A Lodi, in particolare, ci saranno le storie di quattro donne provenienti da quattro stati differenti: Neehaari dall’India, Flavia dall’Uganda, Nusrat dal Pakistan e Renuka dal Nepal. Scatti quotidiani che raccontano la loro volontà di sopravvivere e tornare alla normalità e che va oltre lo stereotipo che la società ha cucito loro addosso, rendendole nuovamente visibili
Festival della fotografia etica: l’essenza delle cicatrici delle donne
Hanno cercato di renderle invisibili, sfigurandole con l’acido, cercando così di umiliarle e piegarle per un amore non ricambiato, un affronto, un tradimento, lasciando sui loro corpi cicatrici indelebili. Invece, per alcune di queste donne le cicatrici hanno cancellato via i loro tratti ma non la loro essenza, rendendole ancora più visibili e importanti di prima. E’ con questo gioco di parole “In/visibile” che si presenta il progetto fotograficodi Ann-Christine Woehrl, in mostra per due week-end (dal 17 al 19 e dal 24 al 26 ottobre) a Lodi, in occasione del Festival della Fotografia Etica.Certo, il suo è un progetto che fa gelare il sangue. Provate a scorrerlo qui, sul suo sito, e provate a dire che pagina dopo pagina riuscite a far correre via le immagini senza problemi. Bene, aggiungete il fatto che Ann-Christine ha ripreso solo 48 donne mentre si contano 1500 casi l’anno di aggressione con acido a livello mondiale, 1500 donne sopravvissute che hanno avuto il coraggio di denunciare a cui si devono aggiungere tutte quelle che non denunciano. Quelle ritratte da Ann-Christine fanno parte delle donne che hanno reagito; donne che nonostante tutto, che sia la dipendenza economica dal marito o dalla famiglia, sono riuscite ad accettarsi, e che sono ritornate alla vita quotidiana sopportando gli sguardi imbarazzati della gente.E se ogni cicatrice corrisponde ad una ferita ogni sguardo la riapre. Eppure per il suo progetto Ann-Christine ci presenta donne che sembrano non curarsi più dell’opinione della gente. A Lodi, in particolare, ci saranno le storie di quattro donne provenienti da quattro stati differenti: Neehaari dall’India, Flavia dall’Uganda, Nusrat dal Pakistan e Renuka dal Nepal. Scatti quotidiani che raccontano la loro volontà di sopravvivere e tornare alla normalità e che va oltre lo stereotipo che la società ha cucito loro addosso, rendendole nuovamente visibili