Creato da NudaParola il 03/04/2011

Due volte vent'anni

Parole nude alla soglia dei 40 anni. E stavolta ho deciso di vuotare il sacco... Per farmi un regalo.

 

« Casta e puraIntimissimi! »

Alice nel Paese delle pornovoglie

Post n°21 pubblicato il 29 Aprile 2011 da NudaParola
 
Tag: Alice

 

Mi piace vestirmi da Alice nel paese delle meraviglie. Colori pastelo, maniche a palloncino, ampie gonne color ciclamino o rosa confetto a nascondere raffinatissime calze autoreggenti dal bordo in pizzo. Bianche o color champagne. In ogni caso colori neutri. Ho una pelle diafana, un viso di porcellana e grandi occhi cerulei. Sono stata anche bionda una volta. E rossa. Adesso la mia chioma fluente sotto i raggi del sole assume riflessi ramati. All'ombra hanno la corposità del mogano e l'intensità di certi frutti di rovo... Mi sono iscritta per gioco a uno di quei social network che consentono di conoscere gente nuova, allacciare rapporti d'amicizia, d'amore o, semplicemente, consentire d'evadere per una sera o una notte.

Sono una scrittrice freelance. Uso la gente per scrivere. Sono curiosa, coltivo l'attitudine alla mente umana e alla provocazione velata: non tutti abbiamo le stesse reazioni posti nello stesso contesto. A me non interessano le circostanze, ma come l'animo umano si pone in determinati frangenti. E scoprire in quanti modi diversi io riesco a pormi o rivelarmi a seconda dei soggetti con i quali interagisco. 

Giulio era un libero professionista con la passione per i vini. La sera in cui ci siamo conosciuti, mi ha portata in un ristorante discreto: pochi sfarzi e cibo delizioso. Ho ordinato del filetto di salmone affumicato, un'insalata mista e fragole innaffiate da tanto limone. 

Lui ha scelto dal menu della carne grigliata, patate novelle e un tiramisu.

Abbiamo consumato un vino rosso particolarmente corposo, delle olive e della bresaola con dei crostini di pane come antipasto. 

Anche quella sera indossavo un vestitino blu cielo. Modello ampio in stile collegiale di Vivian Westwood. Guance e bocca di fragola e il mio immancabile Trésor.

Giulio aveva l'aspetto da manger nel suo completo blu. Camicia bianca e cravatta bordeaux completavano l'abbigliamento inappuntabile, forse un po' troppo rigoroso. 

Senza troppi giri di parole, mi ha fatto notare di apprezzare particolarmente il modo in cui passavo la lingua intorno alle labbra, rigirando in bocca le fragole per succhiarne l'essenza prima di inghiottire il boccone.

Inutile, d'altra parte, negare che anche per me si è trattato quasi di un colpo di fulmine. Per carità, non parlo dell'uomo sul quale ti ritrovi a fantasticare un matrimonio e due o tre pargoli da sfornare giurandosi amore eterno. No, non sarebbe da me... Quando incontro un uomo che mi piace, io penso subito a come vorrei succhiarglielo, alle varianti che potremmo adottare per godere l'una dell'altro. A questo penso, tutto il resto sono sbadigli e favole che lascio alle novelle principesse dai sogni non ancora infranti. 

"Ce l'ho duro. Potresti prendermelo in bocca e fare con me quello che stai facendo con quelle fragole", mi ha detto serafico sorseggiando del vino.

Mi sono guardata intorno con circospezione e ho sorriso nervosamente.

"Qui?", ho chiesto attonita.

Lui ha scrollato le spalle e ha risposto con disinvoltura: "Perché no?".

Ho raccolto il tovagliolo appoggiato sul grambo e ho fatto sì che scivolasse ai piedi del tavolo, sotto il quale sono scivolata per raccoglierlo. Ho notato che nessuno badava a noi, così come nessuno si era soffermato su quel gesto. Alzando lo sguardo ho notato la sua mano che armeggiava con la cintura dei pantaloni e si apriva la patta, liberando dai boxer l'erezione che ora svettava sotto il mio naso. Limitandosi ad appoggiare il suo tovagliolo sul grembo, per non destare attenzione. 

L'ho sentito trasalire quando la lingua ha iniziato a sollecitare la punta del pene, attraversato da uno spasmo quando, con una mano ferma alla base del suo prezioso gingillo, ho spinto la testa in avanti, lasciando che si spingesse fino in gola. 

L'ho leccato, mordicchiato, succhiato voracemente... portandolo sul punto di venire e riprendendo placidamente il mio posto per godermi la sua espressione stravolta dal desiderio e dalla frustrazione.

"Non vorrai lasciarmi così!", mi ha bisbigliato digrignando i denti.

"Torna a finire il lavoro che hai iniziato, troia!".

"Perché non paghi il conto?", ho suggerito senza guardarlo.

"Credo che dovremmo uscire da qui".

Non si può certo dire che abbia perso tempo in convenevoli.

Il parcheggio era pressoché deserto dopo mezzanotte. Ricordo che Giulio si è fermato davanti al codano della sua Porshe e ha tirato fuori il suo sesso marmoreo: sembrava volesse esplodere mentre si faceva una sega, guardandomi alzare l'ampia gonna e abbassare le mutandine.

L'ho raggiunto voltandogli le spalle e offrendogli le mie due sfere perfette mentre, leggermente piegata in avanti, con le gambe ben aperte, spingevo due dita nel mio lago bollente, torturando il clitoride durissimo. 

Ho soffocato un gemito, mordendomi il labbro inferiore quando l'ho sentito forzare la mia apertura, spingere contro lo sfintere ed entrarmi dentro implacabile. 

"Hai un cazzo enorme", mi sono lamentata cercando di adattarmi, più che alle dimensioni, in realtà alla consistenza virulenta dei suoi affondi ripetuti, mentre mi spingeva contro il cofano dell'auto e con le mani mi allargava ulteriormente le natiche, sbattendo con forza contro il mio corpo con una sequenza di colpi forsennati.

Abbiamo gridato all'unisono, in un fiotto di umori corposi che hanno schizzato rivoli d'impeto e piacere a colarmi fra le cosce. 

Che meraviglia quando non c'è amore. Quell'inutile sentimento a castrare impulsi e mediare istinti. Quelle disperanti attenzioni, la mediazione disperante tra voglia e decenza. 

Riversa, supina, con la schiena contro il metallo freddo della macchina, sono rimasta immobile mentre mi strappava con forza il corpetto del vestito e mi spingeva il grosso membro pulsante tra i seni, masturbandosi affinché l'erezione si rinvigorisse. Aprivo la bocca solo per leccarlo o suggerlo un po' quando la punta s'accostava alle mie labbra. La stessa che disegnava arabeschi di vizioso piacere intorno ai capezzoli e che riprendeva, un attimo dopo, a spingere tra le due grosse bocce che con le mani premevo intorno alla sua virilità nuovamente turgida e bagnata. 

"Voglio che fermi una di quelle macchine", mi ha intimato roco ed eccitato, indicandomi con uno sguardo la strada lungo la quale sfrecciavano auto in entrambe le direzioni.

"Non importa chi. Ferma uno e scopatelo".

"E perchè dovrei farlo?", ho replicato in tono di sfida.

"Perché te lo dico io, troia!", ha risposto strattonandomi con veemenza per i capelli.

"Ti piacciono le situazioni al limite, eh? Ti piace giocare... Beh, stasera ci divertiremo: hai trovato pane per i tuoi denti!".

Non potrò mai dimenticare la sensazione dell'aria pungente della notte risalire l'orlo della mia gonna ed insinuarsi tra le pieghe della mia ininmità. Così come non scorderò mai il lungo brivido che, passo dopo passo, sull'eco dei miei tacchi sull'asfalto, ad ogni metro percorso mi restituivano la sfrontatezza e la voglia di spingermi oltre ogni limite mai varcato prima d'allora. 

Quando ho visto lampeggiare i fari di un'auto che dopo qualche metro mi ha accostata e il braccio di un uomo ha abbassato il finestrino, per un attimo ho trattenuto il respiro.

"Quanto prendi?".

Quella domanda mi ha riportata gelidamente alla realtà.

"Cosa?", ho chiesto con voce incerta, studiando l'aspetto anonimo ma distinto dell'uomo che sfoggiava una grossa fede all'anulare della mano sinistra.

"Non lo so... Quello che vuoi", ho farfugliato aprendo la portiera perché l'uomo potesse sistemarsi sul sedile accanto alla guida.

Senza troppe cerimonie ho schiuso le gambe intorno ai suoi fianchi e sono scivolata sul suo grembo, aprendogli i calzoni con pochi gesti freddi e meccanici. 

Giulio, oltre l'avvallamento d'erba e terra battuta che si frapponeva fra la strada ed il viale scosceso che conduceva al parcheggio esterno al locale, stava masturbandosi vigorosamente, senza mai distogliere l'attenzione da ogni mio passo. 

"Non metterlo subito dentro", mi ha detto lo sconosciuto, eccitandosi quando ho iniziato a muovere la mano sul pene tozzo e gonfio.

"Strusciatelo un po' fra le cosce", mi ha istruita con una risata fastidiosissima e un'aria da porco assatanato.

"Mi piacciono le tue cosce... sembri una bambola". 

Le luci della macchina continuavano a lampeggiare e altre auto seguitavano a sfrecciarci accanto. Sentivo sotto le dita il sesso dell'uomo bagnarsi e spingere contro il mio inguine mentre si contorceva ansimando di volermi prendere sulle scale, contro la ringhiera, masturbandosi fra le mie cosce mentre mi apriva le natiche e lo spingeva tutto dentro. 

La voce gli si è spezzata in gola mentre schizzava sperma sul mio ventre, tra le dita e sulle mie gambe, continuando a venire con fiotti ravvicinati e violenti, masturbandosi con foga contro la mia coscia. 

Non ho provato niente. Non ho sentito niente. Solo tanta tristezza per quel piccolo uomo dal piccolo sesso tozzo, incapace di far godere una donna e in grado di godere solo immaginando situazioni che non avrebbe mai saputo vivere davvero. E anche nel suo immaginario erotico, l'orgasmo arrivava sempre fuori dal corpo di una donna. 

Ha fatto scivolare una banconota di cento euro all'interno della mia borsa ed è ripartito di gran fretta.

Mentre m'incamminavo lungo la via del ritorno, riassettandomil vestito alla meno peggio, un'altra macchina mi ha fiancheggiata, spegnendo luci e motore.

Dall'abitacolo sono usciti due ragazzi visibilmente alticci e una donna. Una bella donna. Vent'anni, forse venticinque. Biondissima e scosciata.

"Mica vorrai andartene proprio adesso?", ha esordito uno dei due, palpandomi pesantemente il culo.

"Domani il mio amico si sposa con questa gran gnocca. Vogliamo fargli un bel regalo di addio al celibato?".

"Tanti auguri", ho risposto gelida e cortese. "Per me però si è fatto un po' tardi, mi dispaice".

"Per favore", ha esordito la ragazza mentre voltavo loro le spalle.

"Ci tengo tanto a fare un regalo al mio fidanzato. E tu gli piaci molto... Sarò molto generosa con te", ha aggiunto mentre la sua voce mi sfiorava i capelli come una carezza lieve. 

"E' ubriaco", ho constatato rivolgendo uno sguardo freddo e distratto all'uomo che, appoggiato alla macchina, sorrideva senza che ve ne fosse ragione.

"Domani non ricorderà più niente". 

E' avanzata verso di me inducendomi ad indietreggiare fino al lampione. Mi ha aperto il vestito scoprendomi i seni e mi ha schiuso le gambe non una carezza gentile, insinuandosi tra le pieghe della mia intimità senza che riuscissi tentare la minima resistenza.

Era diverso dal toco di un uomo. Aveva mani affusolate e dispensava lente carezze che, muovendosi davanti e dietro, ritmicamente, facevano sì che ondate di calore intenso divenissero piacere nel progressivo languore che mi faceva cedere le gambe. 

Anche il modo in cui intrecciava la sua lingua alla mia ed il suo sapore erano diversi da quello di un uomo. E per me era tutto nuovo. Una vertigine. La giovane donna ha iniziato a strusciarsi pesantemente contro il mio corpo mentre l'amico del suo fidanzato la prendeva da dietro e le dita di lei si adoperavano alacremente per portarmi all'orgasmo mentre stringeva una mano intorno al mio seno e, piegandosi, portava la testa più vicina al mio pube, immergendo la lingua negli umori colavano dalle mie cosce, leccandomi e succhiando più volte il clitoride, procurandomi un piacere intenso.

Quando mi slegata da quel contatto intimo, lei si è aggrappata al lampione e l'uomo alle sue spalle ha continuato a possederla furiosamente, strappandole gridolini d'assenso e voluttuosi gemiti di piacere. 

E' incredibilmente eccitante vedere due corpi che si penetrano e il corpo dell'uomo sbatteva contro quello della teutonica bionda con un impeto dal quale era impossibile non lasciarsi coinvolgere. 

Il suo fidanzato, più che dal mio corpo che cavalcava il suo enorme sesso vigoroso, sembrava eccitato dalla visione della sua futura moglie inculata dal suo amico e ame, del resto, poco importava di come o quanto avrebbe goduto. Ero eccitata, fradicia, con la voglia di qualcosa di duro fra le cosce, capace di sbattermi e farmi godere. Finalmente godere. 

Mi sentivo piena e più lui continuava a riempirmi, più i miei fianchi sbattevano contro i suoi, il bacino si alzava e tornava a scendere sul suo vigoroso palo di carne, schizzando umori e rantoli spezzati dalla foga con cui, al culmine dell'amplesso, mi ha afferrata, impalandomi ripetutamente sul suo membro ingrossato da contrazioni che culminavano in fiotti intensi di sperma che m'inondavano il ventre, la vagina, la parte interna delle cosce e, ogni volta, mi trattenevano sempre più a lungo, fino al culmine dell'orgasmo che ci ha uniti nello stesso grido liberatorio. 

Mi sentivo troia come non mai mentre tornavo verso il parcheggio. Troia e appagata, fiera della mia libido, della soglia oltre la quale mi ero spinta. 

Una banconota da cento euro e una da cinquecento. Ben arrotolate, strette nella mano che ho trasferito in quella di Giulio, guardandolo con aria trionfante, piena di disprezzo ma in fondo grata.

"Questi te li sei meritati, tesoro".

L'ho zittito sfiorandogli le labbra con due dita mentre stava per replicare, l'erezione nell'altra mano e l'espressione smarrita.

"Ma si, tu sei stato la mia puttana per una sera. E hai ragione, mi sono divertita molto... E' stato illuminante".

Appoggiato contro la portiera, lui non ha resistito all'impulso di masturbarsi più vigorosamente, ormai prossimo a godere per l'ennesima volta. 

E, in un inutile quanto infantile gesto di pudore, si è voltato allargando le gambe e spingendo il bacino in avanti mentre il membro si contraeva e spingeva nella sua mano, frenetica lungo l'asta, cacciando un grido soffocato quando fiotti di sperma hanno raggiunto la fiancata e la sua voce e diventata poco più di un suono gutturale. Mentre stringeva nell'altra mano le due banconote ridotte qusi a cartastraccia nell'atto supremo di quel tristissimo assolo. 

Non sono tornata a casa con lui. Non si è nemmeno accorto che io sia andata via. 

Lungo la strada che dai Castelli scendeva verso Roma, ho fermato un'auto e ho chiesto un passaggio fino a casa. 

Abbiamo fatto solo una breve sosta nel piazzale di un autogrill. Abbiamo imboccato la porta della toilette e, in piedi, con la faccia sprofondata contro la mia spalla, abbiamo scopato.

E' stato tutto molto veloce, ero già dilatata e lubrificata, con i postumi degli orgasmi multipli colllezionati nelle ultime ore e in quel posto squallido, anonimo e maleodorante, più che di quel sesso che si muoveva fuori e dentro di me, stantuffandomi l'ano e facendo sbrodoloare la mia passerina, ho goduto della donna che avevo scoperto di saper essere. Forse d'esser sempre stata.

Preferendo, in cambio di un passaggio, dare il culo piuttosto che tante spiegazioni a uno sconosciuto. L'anima, come l'intimità di una persona, sono qualcosa si privato e non accessibile: ci vuole tempo e testa per capirmi, per entrami dentro. Nell'anima, appunto.

Per penetrarmi il corpo basta un pene che sappia adoperarsi per riempire tutti i buchi fatti apposta per essere riempiti. Un pene: non serve poi molto per fottere una donna. Almeno fra le cosce. E poi avevo bisogno di scrivere un altro capitolo del mio libro: mi serviva altro materiale e ho fottuto, io, chi - lasciandosi fottere - ha reso possibile la stesura della pagina che state leggendo, con il vostro sesso a smaniare nei pantaloni e la mano che cercherà d'arrecarvi un po' di sollievo, mentre sognate della vostra Alice nel paese delle pornovoglie... 

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