Camunia

29 maggio La Canzone di Legnano: il Parlamento


Giosuè Carducci ISta Federico imperatore in Como.
Ed ecco un messaggero entra in Milano da Porta Nova a briglie abbandonate."Popolo di Milano", ei passa e chiede,"fatemi scorta al console Gherardo."Il consolo era in mezzo de la piazza,e il messagger piegato in su l'arcioneparlò brevi parole e spronò via.Allor fe' cenno il console Gherardo,e squillaron le trombe a parlamentoII Squillarono le trombe a parlamento:ché non anche risurto era il palagiosu' gran pilastri, né l'arengo v'era,né torre v'era, né a la torre in cimala campana. Fra i ruderi che neriverdeggiavan di spine, fra le bassecase di legno, ne la breve piazzai milanesi tenner parlamentoal sol di maggio. Da finestre e portele donne riguardavano e i fanciulli. III"Signori milanesi," il consol dice, "la primavera in fior mena tedeschipur come d'uso. Fanno pasqua i lurchi ne le lor tane, e poi calano a valle.Per l'Engadina due scomunicatiarcivescovi trassero lo sforzo.Trasse la bionda imperatrice al sireil cuor fido e un esercito novello.Como è coi forti, e abbandonò la lega."Il popol grida: "L'esterminio a Como."IV"Signori milanesi," il consol dice,"l'imperator, fatto lo stuolo in Como,move l'oste a raggiungere il marchesedi Monferrato ed i pavesi. Qualevolete, milanesi? od aspettareda l'argin novo riguardando in arme,o mandar messi a Cesare, o affrontarea lancia e spada il Barbarossa in campo? VOr si fa innanzi Alberto di Giussano. Di ben tutta la spalla egli soverchia gli accolti in piedi al console d'intorno.Ne la gran possa de la sua personatorreggia in mezzo al parlamento: ha in manola barbuta: la bruna capellierail lato collo e l'ampie spalle inonda.Batte il sol ne la chiara onesta faccia,ne le chiome e ne gli occhi risfavilla.È la sua voce come tuon di maggio.VI"Milanesi, fratelli, popol mio!Vi sovvien" dice Alberto di Giussano"calen di marzo? I consoli sparuticavalcarono a Lodi, e con le spadenude in man gli giurâr l'obedienza.Cavalcammo trecento al quarto giorno,ed a i piedi, baciando, gli ponemmoi nostri belli trentasei stendardi.Mastro Guitelmo gli offerì le chiavidi Milano affamata. E non fu nulla."VII. «Vi sovvien» dice Alberto di Giussano
«Il dí sesto di marzo? Ai piedi ei volleTutti i fanti ed il popolo e le insegne.Gli abitanti venian de le tre porte,Il carroccio venía parato a guerra;Gran tratta poi di popolo, e le crociTeneano in mano. Innanzi a lui le trombeDel carroccio mandâr gli ultimi squilli,Innanzi a lui l'antenna del carroccioInchinò il gonfalone. Ei toccò i lembi.»VIII.«Vi sovvien?» dice Alberto di Giussano:«Vestiti i sacchi de la penitenza,Co' piedi scalzi, con le corde al collo,Sparsi i capi di cenere, nel fangoC'inginocchiammo, e tendevam le braccia,E chiamavam misericordia. TuttiLacrimavan, signori e cavalieri,A lui d'intorno. Ei, dritto, in piedi, pressoLo scudo imperïal, ci riguardava.Muto, col suo dïamantino sguardo.»IX.«Vi sovvien,» dice Alberto di Giussano,«Che tornando a l'obbrobrio la dimaneScorgemmo da la via l'imperatriceDa i cancelli a guardarci? E pe' i cancelliNoi gittammo le croci a lei gridando- O bionda, o bella imperatrice, o fida,O pia, mercé, mercé di nostre donne! -Ella trassesi indietro. Egli c'imposePorte e muro atterrar de le due cinteTanto ch'ei con schierata oste passasse.»X.«Vi sovvien?» dice Alberto di Giussano:«Nove giorni aspettammo; e si partiroL'arcivescovo i conti e i valvassori.Venne al decimo il bando - Uscite, o tristi,Con le donne co i figli e con le robe:Otto giorni vi dà l'imperatore -.E noi corremmo urlando a Sant'Ambrogio,Ci abbracciammo a gli altari ed a i sepolcri.Via da la chiesa, con le donne e i figli,Via ci cacciaron come can tignosi.»XI.«Vi sovvien» dice Alberto di Giussano«La domenica triste de gli ulivi?Ahi passïon di Cristo e di Milano!Da i quattro Corpi santi ad una ad unaCrosciar vedemmo le trecento torriDe la cerchia; ed al fin per la ruinaPolverosa ci apparvero le caseSpezzate, smozzicate, sgretolate:Parean file di scheltri in cimitero.Di sotto, l'ossa ardean de' nostri morti.»XII.Cosí dicendo Alberto di GiussanoCon tutt'e due le man copriasi gli occhi,E singhiozzava: in mezzo al parlamentoSinghiozzava e piangea come un fanciullo.Ed allora per tutto il parlamentoTrascorse quasi un fremito di belve.Da le porte le donne e da i veroni,Pallide, scarmigliate, con le bracciaTese e gli occhi sbarrati al parlamento,Urlavano - Uccidete il Barbarossa -.XIII.«Or ecco,» dice Alberto di Giussano,«Ecco, io non piango piú. Venne il dí nostro,O milanesi, e vincere bisogna.Ecco: io m'asciugo gli occhi, e a te guardando,O bel sole di Dio, fo sacramento:Diman la sera i nostri morti avrannoUna dolce novella in purgatorio:E la rechi pur io!» Ma il popol dice:«Fia meglio i messi imperïali.» Il soleRidea calando dietro il Resegone.NOTE:I. Sta Federico ecc.: essenziale e vigoroso, il verso d'apertura delinea la sempre paurosa potenza di Federico Barbarossa e insieme fa quadro. Disceso per la quinta volta in Italia nell'ottobre 1174, dopo avere vanamente tentato di assalire Alessandria ed essersi fortunosamente liberato dalla cerchia dei "latini acciari" nell'aprile 1175, secondo cantano le quartine Su i campi di Marengo, l'imperatore riparò dapprima a Pavia, poi, nella primavera del 1176, a Como, per raccogliervi gli eserciti di rinforzo provenienti dalla Germania e in un secondo tempo per unirsi alle milizie alleate di Pavia e del marchese Guglielmo di Monferrato. La scena è a Milano, alla vigilia della battaglia di Legnano (29 maggio 1176).3. da Porta Nova: una delle sei porte che aveva allora Milano, quella verso Monza e Lecco (le altre: Romana, Ticinese, Comasca, Vercellina, Orientale). Da Monza o Lecco, non da Como, viene il messaggero, che dunque reca a Milano un messaggio dei confederati lombardi, non un'intimazione dell'imperatore, come immaginava il Manzoni. Lo confermano d'altra parte i versi originari: "Ed ecco un messager lombardo a briglia / abbandonata entrar da Porta Nova"; e lo ha dimostrato il Gandiglio nella sua felice analisi del contesto carducciano. - a briglie abbandonate: a briglia sciolta, e perciò a gran carriera.4. passa e chiede: passa chiedendo, chiede senza fermarsi.5. fatemi scorta: guidatemi. - al: fino al, dal - console Gherardo: personaggio storico, il più insigne cittadino milanese del tempo: Gherardo o Gerardo Cagapisto, detto abbreviatamente Pisto, giureconsulto e oratore, più volte console di Milano tra il 1150 e il 1179, anche se non proprio nell'anno di Legnano, e rappresentante dei Milanesi in tutti gli atti importanti della Lega Lombarda.6. Il consolo: la forma latineggiante (mentre dicono "console" i vv. 5 e 9 e la prima redazione; "In mezzo de la piazza il console era") serve ad evitare i due e consecutivi, ma anche ritaglia la parola con aulica nettezza.7. arcione: la parte anteriore della sella; per sineddoche, sella.8. parlò: transitivo: disse, - spronò via: "Il cenno al cavallo, che dice anche l'impazienza del cavaliere, e nulla più. La corsa è tutta in quel via, come uno non anche mosso che è già lontano".9. fe' cenno: fece un gesto di comando, diede ordine ai trombettieri del Comune.10. a parlamento: chiamando il popolo a riunirsi in piazza.11. Squillarono ecc.: ripresa, con lievi varianti ma con efficace effetto complessivo, del v. 10: la quale "accentua il carattere di epopea popolaresca, la sciolta narratività del racconto detto e non letto (per così dire)".12-20. ché non anche ecc.: il parlamento viene convocato all'aperto con squilli di tromba perché, dopo la demolizione di Milano ordinata dal Barbarossa quattordici anni innanzi (1162), non erano stati ancora (anche) ricostruiti il palazzo del Comune (con espressione nobilmente arcaica, palagio) e la sala delle pubbliche riunioni (arengo) e la torre con la campana che chiamasse i cittadini a raccolta. Accenna sì il poeta al palazzo pubblico, poi della Ragione, che verrà edificato soltanto nel 1233, su' gran pilastri; nel Broletto Nuovo, poi piazza dei Mercanti, traendo egli nozione e suggestione storica da parole di G. Giulini, autore di Memorie spettanti alla storia [...] di Milano nei secoli bassi (1870); "ampio edificio quadrilungo, il quale di sotto ha un gran portico con due ordini d'archi sostenuti da grossi pilastri". E dai particolari delle fonti la suggestione s'allarga a visione, a pittura, della città in rovina, tra il nero dei ruderi e il verdeggiar dei rovi, in quella misera piazza attorniata da casipole di legno. - Da finestre e porte ecc.: "queste donne, questi bimbi, fermi su le porte, affacciati alle finestre che sono appena più su delle porte, danno a questa adunata un aspetto novissimo e come un tono domestico e dimesso, e un'aspettazione più dolorosa. Gli ultimi sono già fuori".22-24. La primavera in fior ecc.: la primavera matura conduce tra noi, nelle nostre terre, torme di tedeschi, come è accaduto tanto spesso, come accade secondo il costume delle genti ermaniche (pur come d'uso). Evidentemente il console riferisce ai suoi concittadini, qui e nei versi successivi, quanto ha saputo dal messaggero, e così ora s'intende il significato di quel messaggio, che è d'informazione e d'allarme: scendendo dalle Alpi sono arrivati rinforzi all'imperatore, e tutto l'esercito imperiale è in movimento; preparatevi a ricevere questa nuova invasione e aggressione, e, se potete, prevenite e attraversate le mosse del nemico. - lurchi: ingordi, rapaci, come lupi che alla buona stagione escono dalle loro tane per scendere a valle e far bottino.25-26. Per l'Engadina ecc.: due arcivescovi ghibellini, Filippo di Colonia e Wichmann di Magdeburgo, scomunicati dal papa Alessandro III, nemico del potere imperiale e sostenitore della Lega (ma qui, nel discorso del console, la parola "scomunicati", come oserva il Valgimigli, "aggiunge al suo senso specifico un tocco iroso e ingiurioso"), guidarono gli eserciti (trasser lo sforzo, bella espresione arcaica, ove "sforzo" significa forza raccolta d'armi e d'armati, esercito, come spesso "vis" latino) per l'Engadina, cioè per la valle dell'Inn, fino al lago di Como. In verità i rinforzi attesi dall'imperatore discesero, pare, per la valle del Reno e poi per quella del Ticino, se Federico uscì da Como per andare loro incontro fino a Bellizona: "Sarebbe una piccola offesa alla verità poetica".27-28. Trasse la bionda imperatrice ecc.: Beatrice di Borgogna, seconda moglie di Federico, venne a sua volta in Italia, recando all'imperatore se stessa e un altro esercito, composto di nuove leve e perciò fresco e gagliardo (novello). Senonché nella primavera del 1176 l'imperatrice doveva già essere in Italia accanto al marito, e all'estate del 1159, al tempo della seconda spedizione in Italia di Federico e dell'assedio di Crema, le cronache ascrivono invece la discesa di ici nella penisola con un nuovo esercito: altra e certo consapevole infrazione di Carducci alla storia; ché, come sempre o quasi sempre, spostamenti di tempi e concentrazioni di fatti rispondono a fini estetici e drammatici, in una coincidenza di verosimile storico e vero poetico. Peraltro non insisterei eccessivamente sulla gentilezza e sul fascino dell'"eterno femminino regale" connessi con l'aggettivo bionda, come fa il Valgimigli, né essendo quell'aggettivo pronunciato dal console di Milano, vi avverto, come suggerisce il De Robertis, un lieve sapore d'ironia. Bionda è detta l'imperatrice dalle antiche cronache, e bionda è tipico attributo, da canzone di gesta e da ballata romantica, di una donna nordica e di nobile sangue; così come, più avanti, la bruna chioma di Alberto di Giussano entra nella caratterizzazione tipica del prode guerriero latino.29-30.Como è co' i forti ecc.: diserzione, tradimento di Como: ha abbandonato la Lega passando dalla parte del più forte, l'esercito imperiale. Donde un grido di esecrazione e una minaccia di distruzione (esterminio, altro arcaismo), - Como: "a prima era all'inizio del verso, qui è alla fine: come un suggello e una minaccia decisa"32. fatto lo stuolo: "altra espressione tecnica dell'antico linguaggio militare": raccolte e ordinate le sue schiere.33-38. l'oste: altro arcaismo, "che accentua la storicità e la poesia". - il marchese di Monferrato ed i pavesi: che, al pari di Como, avevano abbandonato la Lega e fatto causa comune con l'imperatore. - Quale volete: quale cosa volete, quale proposta scegliete. E tre sono le proposte che ora il console enuncia: testare sulla difensiva, venire a patti, affrontare il nemico in campo aperto. - l'argin novo: quello che aveva sostituito la cinta difensiva distrutta. Così, in armi dietro i bastioni, i Milanesi avevano accolto Federico nel 1158 e nel 1159, ricevendone l'una e l'altra volta assalto e assedio. - mandar messi: che significa inchinarsi all'autorità e ai diritti dell'imperatore (Cesare) e conclusivamente accettare il solo accordo possibile con lui, la resa. La seconda proposta è "fatta senza persuasione, anzi, per incitamento e inasprimento, onde poi la terza, la decisiva" - il Barbarossa: ora Federico è designato col nomignolo, che riduce a un tratto la maestà prima conferitagli dal titolo di Cesare e lo riconduce al ruolo di tiranno, di nemico.39-40. A lancia e spada ecc.: "non voglio lasciare di mettere in rilievo la diversa interpunzione del v. 38 e del v. 40, che pure nelle parole uguali; ma quello deve correr rapido, senza spezzamenti, dietro alla foga della conclusione in forma interrogativa, e questo, con le pause delle due virgole, riproduce la risolutezza della risposta che rimbomba come tuono nell'assemblea".41. Alberto di Giussano: il giovane capitano della Compagnia della Morte, drappello di guerrieri che avevano giurato di vincere o di morire. Le cronache parlano dell'alta statura e della forte corporatura di alberto, e da queste replicate notizie, che forse si uniscono a momenti e immagini di letteratura medioevale, nasce e campeggia il ritratto monumentale della quinta strofa.42. tutta la spalla: cfr. l'immagine di Franceschino Malaspina in I.G.I. XIV Poeti di parte bianca. 42-43: "tu dritto in piedi tutta / ergei = la testa su i minor baroni". - soverchia sopravanza. Il Valgimigli vi riconosce una reminiscenza dei Fatti di Enea, là dove frate guido da Pisa parla di Turno: "Era lo più bello di tutta Italia ed era sì grande che dalle spalle in su era maggiore di tutti gli altri uomini".43. gli accolti ecc.: i cittadini riuniti intorno al console: in piedi, a definire interamente la statura di Alberto.45. torreggia: si leva come torre, domina come torre: all'altezza si unisce la robustezza.46. la barbuta: elmo prolungato nella parte anteriore fino a coprire tutto il volto. Ma Alberto è a testa scoperta, e quell'"elmo in mano è solo come un ricordo di più, o un annuncio, di guerra". Ed è un tocco che accresce la storicità del quadro forse senza rispettare la storia, che molto più tardi, a quanto pare, i guerrieri milanesi adottarono un simile elmo. Così come, subito appresso, la cappelliera che scende copiosa sul collo e sulle spalle di Alberto richiama certo tempi più avanzati, addirittura, in Milano, il secolo seguente. I consueti anacronismi carducciani, felicemente poetici e rappresentativi.47. lato... ampie: si accentua il ritratto in ampiezza e gagliardia.48. chiara onesta: due aggettivi che ai tratti tipici ed esteriori del poderoso guerriero lombardo aggiungono la franchezza e la nobiltà dell'espressione, e umanizzano e rischiarano il ritratto incontrandosi con la luce del sole che lo colpisce.50. È la sua voce ecc.: "la voce ha l'impeto e la freschezza di un tuono di maggio che annunzia tempesta ma anche promette un rinverdire della terra e del ciclo".51. Milanesi ecc.: indirizzandosi ai Milanesi, a esordio della sua commossa e impetuosa orazione, Alberto rivela un'immediatezza e un trasporto d'amor fraterno che certo non aveva il netto e composto "Signori milanesi" del console.52. Vi sovvien: vi torna in mente. Espressione ripetuta altre cinque volte al principio di ognuna delle strofe successive, ognuna delle quali rievoca un episodio di umiliazione subita dai Milanesi.53. calen di marzo: il primo marzo del 1162, quando Milano, stretta d'assedio e allo stremo delle forze, mandò all'imperatore acquartierato in Lodi gli otto consoli che con le spade sguainate gli giurarono obbedienza, cui seguirono, tre giorni dopo, trecento cavalieri che ai piedi dell'imperatore deposero gli stendardi, e mastro Guitelmo (o, come dice un cronista, Guintelino) che a lui consegnò le chiavi della città. - sparuti: emaciati, abbattuti, per la fame patita e la pena del momento.55. obedienza: "per effetto della dieresi ha suono stanco, e dice prostrazione grande, sacrificio e strazio".56. Cavalcammo: "o ci fosse anche Alberto fra quei trecento, o sè accomuni, nel racconto e nell'animo, con quelli", come dicono i cronisti, non "gli stendardi", come interpreta il Valgimigli, che ama credere in un altra voluta deviazione di Carducci dalle fonti storiche.60. E non fu nulla e non bastò.