From The Inside

La favola di Amore e Psiche(Parte6)


 Inutili invocazioni di Psiche a Cerere e Giunone I "Intanto Psiche vagava di qua e di là cercando con l’animo in pena, giorno e notte il suo sposo. Ella più che mai desiderava se non di rabbonirlo con le sue carezze di sposa perché era troppo adirato, almeno di ottenerne il perdono con le preghiere più umili. "’Chissà che il mio signore non abiti lì’ pensò quando scorse un tempio sulla cima di un’alta montagna. E, sebbene fosse stanca per il continuo peregrinare, là si diresse affrettando il passo, sorretta dalla speranza e dal desiderio. Superate rapidamente alte giogaie, raggiunse quei sacri altari. Vide spighe di frumento a mucchi e altre intrecciate in corone, spighe d’orzo, falci e attrezzi per mietere ben lustri ma sparsi qua e là alla rinfusa, come sogliono lasciarli d’estate per il gran caldo i contadini stanchi. "Psiche con gran cura cominciò a dividere e a mettere in ordine, pensando giustamente che ella non dovesse trascurare nessun tempio e pratica religiosa ma anzi invocare la misericordia e la benevolenza di tutti gli dei.II "Mentre tutta sollecita Psiche era intenta a questo lavoro sopraggiunse Cerere *: ‘Oh, povera Psiche’ esclamò da lontano. ‘Venere è furibonda con te e ti sta cercando per mare e per terra; vuole ucciderti e con tutta la sua divina potenza grida vendetta. E tu te ne stai qui a occuparti delle mie cose e a tutto pensi fuorché a porti in salvo.’ "Allora Psiche prostrandosi dinanzi alla dea e bagnando con copiose lacrime i suoi piedi e spazzando con i capelli la terra, cominciò a pregarla in mille modi, a invocarne il soccorso: "’Ti supplico per questa tua mano dispensatrice di messi, per le gioconde feste della mietitura, per gli inviolabili misteri dei tuoi sacri arredi, per il tuo alato cocchio al quale, per servirti, sono aggiogati serpenti, per i solchi delle campagne di Sicilia, per il carro che ti rapì Proserpina, per la terra avara che te la sottrasse, per la sua discesa agli Inferi a nozze tenebrose, per il suo ritorno alla luce, per ogni altro mistero che il silenzio del tuo santuario, ad Eleusi, custodisce, soccorri Psiche che ti supplica, la sua povera vita. "’Lascia ch’io mi nasconda fra questi covoni di spighe, per pochi giorni soltanto, finché non si plachi, col tempo, la collera terribile di una dea così potente o almeno fino a quando io non riprenda, con una breve sosta, un po’ di forze, sfinita come sono dopo un così lungo peregrinare.’III "’Mi commuovono le tue lacrime e le tue preghiere’ le rispose Cerere ‘e vorrei proprio aiutarti. Ma Venere è una mia parente, ottima donna peraltro, con la quale sono sempre stata in buoni rapporti; non me la sento, perciò, di farle un torto. Esci dunque, e in fretta, da questo mio tempio e consideralo già un favore se non ti faccio mia prigioniera.’ "Così, contro ogni sua speranza, Psiche si vide respinta e, delusa, sentì raddoppiare dentro l’angoscia. Tornò allora sui suoi passi e vide nel mezzo di un boschetto che verdeggiava nella valle sottostante un tempio costruito con bell’arte. Non volendo tralasciare nessuna possibilità, benché minima, di miglior fortuna, ma anzi invocare il favore di quel dio, qualunque fosse, ella si avvicinò alla sacra porta e vide magnifici doni votivi e festoni ricamati a lettere d’oro appesi ai rami degli alberi e agli stipiti delle porte che testimoniavano le grazie ricevute e dichiaravano il nome della dea cui erano dedicati. "Psiche cadde allora in ginocchio e asciugandosi gli occhi e abbracciando l’altare ancora tepido, così pregò:IV "’O sorella e sposa del grande Giove, sia che tu abiti nell’antico santuario di Samo, la sola che può vantarsi dei tuoi natali, di aver sentito per prima i tuoi vagiti e d’averti allevata, o sia che tu ti indugi nella beata dimora dell’eccelsa Cartagine che venera te, vergine trascorrente nel cielo sul dorso di un leone, o sia che tu protegga le mura di Argo presso le rive dell’Inaco, che da sempre ti chiama sposa del Tonante e regina di tutte le dee, tu che tutto l’Oriente venera col nome di Zigia e tutto l’Occidente con quello di Lucina, sii nella mia estrema sventura, veramente Giunone Salvatrice e me, sfinita da tutte le sofferenze patite, libera dalla paura del pericolo che mi sovrasta. So che tu sei quella che prontamente accorre a sostenere le donne nel momento rischioso del parto.’ "Così supplicava Psiche e a un tratto le comparve davanti Giunone in persona in tutta l’augusta maestà del suo nume: "’Come vorrei, credimi, esaudire le tue preghiere’ le disse ‘ma per doveroso riguardo io non posso mettermi contro la volontà di Venere, che mi è nuora, e che, del resto, ho sempre voluto bene come una figlia. Per giunta ci sono anche le leggi a impedirmelo, che proibiscono di dare ospitalità agli schiavi fuggiti senza il permesso dei loro padroni.’V "Per la seconda volta Psiche vide così naufragare le sue speranze. Sentiva che non avrebbe più potuto raggiungere il suo sposo alato e che ogni via di salvezza ormai le era preclusa. "’Quali altre strade mi restano’ incominciò a pensare fra sé, ‘quali rimedi ai miei mali, se neppure delle dee hanno potuto aiutarmi nonostante le loro migliori intenzioni? Dove di nuovo volgere i passi, impigliata come sono in tanti lacci, sotto qual tetto, in quali tenebre nascondermi per sfuggire all’occhio implacabile della grande Venere? Perché, invece, non ti fai coraggio e, decisamente, rinunzi alle tue povere speranze e spontaneamente non ti arrendi alla tua padrona e con un atto di umiltà, anche se tardivo, non cerchi di placarne la collera violenta? Chissà che quello che stai cercando da tanto tempo tu non lo trova proprio là, nella casa di sua madre?’ "Così, pronta a una resa le cui conseguenze erano incerte, o meglio portavano a una sicura rovina, Psiche rifletteva tra sé come incominciare la supplica. Venere alla ricerca di PsicheVI "Intanto Venere rinunciando a valersi per le sue ricerche di mezzi terreni decise di tornarsene in cielo e ordinò che le fosse allestito il cocchio che Vulcano, l’orafo insigne, le aveva fabbricato con arte raffinata per offrirglielo come dono di nozze alla vigilia della prima notte. Era un carro bellissimo per l’opera sottile della lima che togliendo l’oro superfluo lo aveva ancor più impreziosito. Delle molte colombe che sostavano dinanzi alla camera della dea, quattro, bianchissime, vennero avanti e con graziosi passi, muovendo qua e là il collo iridato, si sottoposero al giogo tempestato di pietre preziose, attesero che la loro signora fosse salita e poi presero il volo. "In corteo, dietro il carro, folleggiavano i passeri in lieta gazzarra e gli altri uccelli con canti modulati e con dolci gorgheggi annunziavano il suo arrivo. Le nubi si ritrassero, il cielo si spalancò per ricevere sua figlia e l’altissimo etere gloriosamente accolse la dea, né volo d’aquile o di rapaci sparvieri impauriva il canoro corteggio della grande Venere.VII "Ella si diresse difilato al gran palazzo di Giove e senza mezze misure chiese che, per un suo progetto, le fosse messo a disposizione Mercurio, il dio banditore. "Il nero sopracciglio di Giove le disse di sì e Venere, tutta trionfante, lasciò il cielo rivolgendosi con gran premura a Mercurio che la seguiva. Fratello Arcade, tu sai che tua sorella Venere non ha mai fatto nulla senza l’aiuto di Mercurio e saprai da quanto tempo è che io non riesco a sapere dove si nasconda quella ragazza. Non mi rimane altro che annunciare pubblicamente attraverso un tuo bando che io darò un premio a chi la troverà. Fa, però, alla svelta e vedi di essere chiaro, di illustrare bene i suoi connotati, in modo che ognuno possa individuarla e, se contro le leggi si sia reso colpevole di averle dato ospitalità, non abbia poi a trovare scuse di non saperne nulla.’ Così dicendo gli porse un foglio dove era segnato il nome di Psiche e ogni altra indicazione. Poi se ne tornò subito a casa.VIII "Mercurio obbedì all’istante. Si mise a correre per tutte le terre del mondo per eseguire l’incarico di banditore che gli era stato affidato: Chiunque catturerà o indicherà il luogo dove si nasconde una figlia di re, schiava di Venere, datasi alla fuga, di nome Psiche, si rechi dal banditore Mercurio dietro le colonne Murzie. A compenso della denunzia riceverà da Venere in persona sette dolcissimi baci e uno ancora più dolce a lingua in bocca.’ "Un bando come questo, gridato da Mercurio, e il desiderio di guadagnarsi un premio simile eccitò ogni uomo e tutti gareggiarono in zelo e questo tolse a Psiche ogni ulteriore incertezza. "Mentre ella si avvicinava al palazzo di Venere le venne incontro la Consuetudine, una delle schiave della dea che, con tutta la voce che aveva in corpo, cominciò a investirla: ‘Finalmente hai cominciato a capire che hai una padrona, serva d’una malora! Oppure con la tua solita impudenza ora fai anche finta di non sapere quanti fastidi ci hai dato per venirti a cercare? E sta bene, ora però mi sei capitata fra le mani e quindi sii pur certa che sei caduta nelle grinfie dell’Orco e quanto prima la pagherai, e come, questa tua insolenza.’ Psiche davanti a Venere. IX "E afferratala bruscamente per i capelli cominciò a strascinarla senza che quella poveretta potesse minimamente reagire. "Quando Venere se la vide portare davanti sbottò in una sonora sghignazzata e scuotendo la testa come di solito fa chi ribolle dentro dalla rabbia e grattandosi l’orecchio destro: ‘Finalmente’ le gridò ‘ti sei degnata di venire a salutare tua suocera! O forse sei venuta a far visita a tuo marito in pericolo per la ferita che gli hai procurato? Ma sta tranquilla, ti farò l’accoglienza che merita una brava nuora come te,’ e soggiunse: ‘dove sono Angoscia e Tristezza, le mie ancelle?’ e fattele entrare ad esse l’affidò perché la torturassero; e quelle, eseguendo a puntino l’ordine della padrona, cominciarono a lavorare di scudiscio sulla povera Psiche e a straziarla con torture di vario genere, poi gliela riportarono davanti. E Venere nuovamente scoppiò a ridere: ‘Sta a vedere che io adesso debbo commuovermi per quel suo ventre gravido che dovrebbe farmi nonna felice di una prole illustre. Sì, proprio felice: nel fiore degli anni esser chiamata nonna e il figlio di una miserabile schiava passare per nipote di Venere. Ma stupida anch’io a chiamarlo figlio, ché mica è valido il matrimonio fra persone di diversa condizione sociale celebrato, poi, così, in campagna, senza testimoni, senza il consenso del padre; perciò questo che nascerà sarà un bastardo, ammesso pure che io ti lasci portare a termine la gravidanza.’