Galeotto fu 'l libro

Viva la civiltà


Per motivi a me non del tutto ignoti, nel corso degli anni ho subìto una lenta, progressiva, graduale ma significativa trasformazione: sono diventato un uomo pacifico. Dismessi i panni ormai logori del ragazzaccio di periferia, ho indossato senza quasi accorgermene quelli dell'uomo tranquillo. E qualcosa davvero deve essere cambiato in me se non rimpiango quel passato turbolento, ricco di episodi gustosi e bizzarri ma anche di pagine da rileggere per ricordare, a me e agli altri, che è preferibile sorridere ironicamente piuttosto che ringhiare rabbiosamente. Insomma, viva la civiltà.Stamane mi è capitato di avere prurito alle mani. Ovviamente, le ho infilate in tasca e mi sono limitato a mandare garbatamente a quel paese l'improvvido interlocutore, il signor Michele, una specie di damerino nerochiomato uscito dalle nebbie della Cornovaglia, con il quale da tempo non corre buon sangue. Di solito, se la stagione è propizia e il traffico lo permette, per non rimanere fulminato da un infarto da rabbia repressa metto in atto la seguente procedura salvavalvole: salgo in macchina, percorro con studiata lentezza un breve tratto della provinciale, raggiungo la casetta di campagna dei miei nonni materni e inizio a ululare fino a quando non mi rispondono tutti i cani nel raggio di cinque chilometri. Poi, dopo aver riposto zanne, artigli, orecchie a punta e peluria lupigna nel vecchio comò sul quale campeggiano le foto di tre generazioni di antenati in linea materna, rientro in città. Ma stamane avevo da fare, ho messo la museruola al luponario che è in me e sono rimasto in città. Nella tarda mattinata, il mio stomaco, con un sordo brontolio, mi ha ricordato che gli ero debitore di una colazione come Dio comanda, dato che, alzandomi più tardi del solito, avevo avuto il tempo di concedermi a malapena un frettoloso caffè domestico mentre provavo ad applicare due spettacolari lenti a contatto castane sui miei banalissimi occhi verde ramarro. Così, rientrando a casa, mi sono fermato al bar dietro l'angolo, strombazzando per richiamare l'attenzione di un mio vicino di casa che, uscendo in retromarcia, rischiava di mettere fine ai giorni di una placida ottuagenaria che si era infilata con inattesa agilità tra un'automobile ferma e l'altra in manovra. Ero fiero di me: avevo salvato la vita a un'anziana signora del quartiere la quale, dopo una vita trascorsa a spaccarsi le ossa vendendo verdura nella piazzetta dietro casa mia, finalmente aveva potuto chiudere la malandata bancarella e ora vivacchiava prestando denaro a strozzo alla gente della zona. Ho fatto colazione con l'animo lieto di chi ha appena compiuto una buona azione, sbafando più del lecito. Uscendo dal bar con le papille gustative ancora tripudianti per il cornetto alla crema appena ingollato e l'ottimo caffè sorbito, chi ti incontro proprio sulla porta? Michele, il damerino di qualche ora prima che, passandomi accanto, sussurra una parola appena percettibile. Riesco a sentire solo “nzo”... Ero troppo in pace con me stesso per infuriarmi con quel deficiente, ma per sicurezza ho rimesso le mani in tasca, non si sa mai.Cosa sia successo un attimo dopo, non lo so, non stavo guardando e, in ogni caso, non mi interessa. l'ho capito soltanto nel pomeriggio, quando ho incontrato lo sguardo pieno di simpatia del garzone del bar, di ritorno da una consegna a domicilio.“Dotto', ha visto che bel volo ha fatto il signor Michele?”“Sarà inciampato. Quello è distratto, ha il vizio di guardare per aria”“Sì, vero è... Però io ero proprio dietro di lei e m'è parso...”“Arriviamo al sodo: qual è il problema?” “No, niente... Però forse il signorino voleva dire 'ciao Alfonso'”“Ma perché, ti chiami Alfonso, tu?”“Nonsi, dotto'. Io Antonio mi chiamo...”“Appunto... Lo vedi che è distratto?”.Antonio se ne andato ridendo, come al solito. Antonio ride sempre. Beato lui.