Caos ed Essere

tratto da "Frammenti - dell'essere e dei suoi mali"


Un senso di impotenza mi scivola rapace sui muscoli, nervosi, contratti all’istante per l’amplesso abortito in petto. Il respiro affanna, lo avverto penetrarmi, ed è l’unica cosa che riesco a percepire, mentre indolenzito navigo i meandri di una ragione vacillante. La maschera si rapprende sul viso, tra carne e cera scende una lacrima che scava rabbia sugli incostanti confini della mia labilità. La sento esplodere nel profondo, divorando la  percezione dello spazio intorno. Marcio…marcio…marcio…lurido marcio elettrizzato nel disperato desiderio che mi prude rovine tra le mani. Mortifico l’impeto con la viscida incredulità della stasi. Catatonico nell’adimensionale attimo in cui mi cibo del mio veleno, sento parole. Non è la mia voce, no non lo è. Eppure lasento provenire dal cervello, roca, ovattata, strisciata sul malessere di questa sensazione. Mi ipnotizza, fissando sui miei occhi la vista del mio ospite. Avverto il fiato sul collo, inquietante come un ghigno sadico graffiato nel silenzio dei propri perché. Mi bracca. Lungo la nuca sento la sua lingua corrodere la pelle. Impietrito mi avvinghio alle mie paure, implodendo in gola l’urlo con cui diradare il manto denso del suo sudore. Sono io a sudare. Lui è me. Ingombra il mio essere con la sua perversione, è dentro, tra i ricami della mia psiche, metastasi di ragno sulle tele del pensiero.  Nonsi scappa da se stessi... ed io soffoco, compresso dalla sua presenza in uno spazio senz’aria, la succhia lui, anestetizzandomi fumo sulla volontà. Ottenebrata la ragione, un solo senso scorre nelle vene, e represso si perde tra i cocci di quell’urlo strozzato.Vomitare, questo occorrerebbe, vomitare! Vomitare le parole che fomentano lo stupro col quale mi autopunisco, vomitare la cappa opprimente sputando fuori tutto il veleno, che si condensa in gocce di follia con le quali mi lecca i pensieri. Fuori dalle righe, in una reazione che trascende la decenza, simulo nell’ipotesi potenziale l’azione con cui pugnalare il demone nel momento in cui mostra il suo viso, lasciandolo stramazzare a terra, inerme tra i suoi umori. Ma perdo, puntualmente perdo, necessariamente perdo. Debole,trascino i passi sulla sagoma delle sue impronte. Mi rassegno alla sconfitta, e mi detesto, e mi insulto, e mi squarto i pensieri, mentre i pensieri squartano me… non si può scappare da se stessi...  e di sbieco mi soffermo con lo sguardo sull’ombra deforme di ogni mia pulsione.