CARMEN AULETTA

Post N° 32


Racconto autobiografico n. 5
Quiete dopo la tempesta(Proseguimento del racconto autobiografico) Ora si apriva un altro capitolo della mia vita, molto meno drammatico anche se difficile. Si, difficile perché oramai avevo la mia depressione di cui non ero neanche consapevole, solo adesso mi rendo conto che il mio modo di combattere la sofferenza che mi portavo dentro,   era quello di rifugiarmi in un mondo da me costruito. Questo chiaramente significava che avevo perso il contatto con la realtà, si,  vivevo in mezzo agli altri, ma era come se non ci fossi,  questo mio modo di estraniarmi mi proteggeva, guardavo le cose che mi accadevano come se non capitassero a me e quindi le vedevo da lontano e con distacco.Ad esempio, non ricordo il primo giorno di scuola… a dire il vero non ricordo quasi niente dei primi tre anni scolastici, salvo che la maestra mi ripeteva in continuazione che ero “un’asina”ed io per farla contenta  facevo di tutto per essere il  più somara possibile.  Chissà che effetto faceva sugli altri, una bambina come me, che camminava male, che arrivava sempre tardi a scuola e con la testa perennemente  tra le nuvole!Mi chiederai: che fine ha fatto poi tuo padre?Purtroppo lo vedevo sempre più di rado, oramai quella donna lo aveva allontanato da me e dai miei fratelli, da allora, e sono passati quasi 40 anni,  credo di averlo visto quattro o cinque volte in tutto.  Nella mia memoria vi sono alcuni ricordi di quando mi fece mettere in collegio e la madre Superiora non voleva accettarmi, perché camminavo male, zoppicavo e non ero come le altre. Allora mio padre, preso dalla rabbia, le disse: – Madre, provate a prendervi mia figlia e vedrete che lei non zoppica ma VOLA! – Questa frase fece effetto sulla suora,  io volavo, è vero, ma con le ali della fantasia, che mi permetteva come sempre di vedere le cose come se non accadessero a me … e meno male! Purtroppo devo dire che non sono stata sempre fiera di mio padre, crescendo cominciavo a idealizzarlo sempre meno, non si vedeva mai e quella volta che mi vedeva faceva tante promesse, che poi non manteneva. In particolare, un giorno doveva venire a prendermi in collegio perché doveva portarmi da un famoso medico per vedere cosa si poteva fare per la mia gamba, forse un’operazione. Quel giorno aspettai invano, mi ricordo la delusione che provai, pensando che oramai non era rimasto più niente che legava me e mio padre e mentre ci pensavo appoggiata al vetro della finestra, le  lacrime rigavano il mio volto, la suora mi guardava  con tenerezza, voleva fare qualcosa per non farmi essere così triste  ma non ci riusciva. Poco prima che  morisse, mio padre venne a trovarmi a casa, quando oramai ero sposata e con una figlia, aveva uno strano sguardo, era stanco, invecchiato e depresso, voleva dirmi qualcosa ma non ci riusciva. Compresi che in fondo mi voleva ancora bene…..allora provai  per lui una grande tenerezza, sentii il bisogno di dimostrargli il mio affetto, benché nessuno in famiglia ci avesse abituato ad esternare i sentimenti, volli rompere questa regola  che c’impediva di far conoscere il lato migliore di noi stessi. Allora mi feci coraggio, non era facile ma sapevo che dovevo dirgli quello che provavo, così esclamai tutto d’un fiato: - Papà, ascoltami, voglio dirti una cosa che non ti ho mai detto, e preferisco dirtela ora, perché ci vediamo così raramente che potrebbe non esserci più un’altra occasione per dirtela:  - Ti voglio bene! -Dopo pochi giorni mio padre morì. Solo e in mezzo ad una strada, il suo cuore all’improvviso cessò di battere.