La domenica io la abolirei dal calendario.
Anzi, da tutti i calendari, compreso quello ebraico che pure non la contempla come giorno di festa.
Se poi penso che i popoli dell'antica Mesopotamia evitavano accuratamente di "produrre" nel settimo (e multipli) giorni della settimana, mi sento un po' babilonese anch'io.
Diciamocela tutta: la domenica è un surrogato di tristezza.
Con la sua aria bugiarda e festaiola, fatta di paste da portare ai pranzi dei parenti, di radiocronache soporifere, di Costanzi alla TV - sempre più vecchi e stantii - di Quelli che aspettano, che ridono, che fanno i trenini su Canale 5 con le trombette in bocca, delle Franzoni intervistate, di quei pub attufati dai bellocci senza età che succhiano aperitivi chic solo nel nome, di Controcampi, margherite nei cartoni e giornali da buttare via.
Perché è così che capita (almeno a me): apri gli occhi nel giorno del Signore (se hai la fortuna e l'impegno di crederci) e ti accorgi che la vita è finita ieri sera.
Sei andato a dormire in bilico sul tuo week-end e svegliandoti ti accorgi che è svanito il week. T'è rimasto l'end.
Qualcuno, qualcosa ti ha tradito.
La fiducia è una cosa seria, e le ore che passano si accaniscono su quella poca cosa che t'è rimasta in tasca. Rimane poco di una domenica è quasi scorsa.
Ma è ancora mattina, e tu sei in forma perché hai dormito tanto: ti rigiri tra le dita i buoni propositi di inizio settimana: faccio gli addominali, chiamo i miei, mangio di meno, smetto di spettegolare, non spendo più un centesimo alle bancarelle che stanno sulla strada per l'ufficio, e ti convinci che sì, questo può ancora essere un giorno da raccontare.
Magari ricordare.
Anche se sai benissimo che di tutti i più buoni propositi non ne manterrai uno solo; come sai che non hai tenuto fede alle buone intenzioni di fine agosto perché a settembre non ti sei trovato posto migliore né a quelle di fine anno quando ti ripromettesti - con la maglietta bucata dalla fontana di luce che quel pupazzo incravattato del tuo vicino aveva acceso a mezzanotte - che dal 1 gennaio la musica sarebbe cambiata e avresti deciso tu come spendere la tua unica vita mentre balli ancora la stessa mazurca.
Sai anche che - molto probabilmente - quel che resta della giornata non varrà la pena di essere raccontato né scritto né narrato, ma non ti vuoi arrendere.
Intanto, sommerso da un piumone che già puzza di lunedì, rimugini sulla tua vita; su tutti quei programmi che - facendo finta di no - hai fatto sparire dal palisesto del tuo futuro. Mistifichi i tuoi giorni tutti uguali, come i fine settimana, le utilitarie in colonna ai semafori, i maglioni di marca, i best-seller, le contraddizioni, i faccioni alla TV.
Il guaio è che certe cose, si dicono convinti: che a quel veglione di Capodanno - tristissimo e pieno di cotillons - alla fine ti è toccato pure abbracciare il priromane che ti ha incendiato un maglione da 130 euri.
Avresti voluto tagliargli la testa, mandargli il conto a casa, le foto del tuo prossimo viaggio alle Maldive per e-mail, e invece probabilmente lo ritroverai quest'anno, il 31 dicembre, nello stesso locale dove avevi promesso che non avresti mai più messo piede, affogato nello stesso menù cotechino e lenticchie di Castelluccio con il cappellino di plastica gialla calcato sulla testa.
E non sarà più uno sconosciuto; ti chiamerà per nome, salutandoti col bacio sulla guancia. Riderà con te del tuo maglione bucato che adesso giace nella cuccia del cane.
E' la vita.
La domenica è così.
E' la fine di una gara dove volevi arrivare primo e che invece hai rinunciato a correre facendo finta di non avere le scarpe adatte.
Per cui, proponiamo un giorno alternativo di riposo, che sò il mercoledì, firmiamo petizioni, scioperiamo, urliamo, piangiamo o facciamo sit-in ma per favore: aboliamo 'sta cazzo di domenica.
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