Napoli

Partenope canta ancora.


Partenope è il nome mitologico di una sirena, sapete quelle che venivano raffigurate con un corpo la cui parte inferiore era come quello di un uccello poi riproposto come quello di un pesce; la parte superiore, invece, è sempre stata quella di una donna. Nel caso di Partenope, il suo mito nasce dalla tradizione di un popolo di origine greca, i rodii, residente sulle coste del golfo di Napoli nel lontano III secolo a.CPartenope, veniva ritenuta da costoro la più bella sirena del golfo. Pare che la sirena in questione sia morta nel luogo in cui oggi sorge Castel dell'Ovo e proprio lì sia stata sepolta una dei patroni di Napoli, Santa Patrizia.
Partenope viene raccontata da Omero nell'Odissea in compagnia di altre due sirene, Ligia e Leucosia. Ma è da Partenope che proviene l'antico nome di Napoli, quella che inseguì Ulisse reo di non aver ceduto alle lusinghe del suo bel canto. E lo inseguì fino all'isolotto di Megaride, dove appunto attualmente c'è il Castel dell'Ovo, per lì arenarsi e morire affranta dal dolore arrecatole dal rifiuto dell'eroe di cedere al suo bel canto.A quanto pare, però, Partenope non muore del tutto. La passione principale nella città della sirena è probabilmente proprio il canto. Appena si arriva a Napoli con il treno, proprio sotto la stazione centrale, a margine del binario n.24, vi è una graziosa fontana, illuminata da un foro sul tetto della stazione. Essa rappresenta la sirena Partenope al centro della fontana e, sotto di essa, fra gli zampilli d'acqua, su di una lapide sono riportati i versi di una famosissima canzone napoletana: ...'o treno steva ancora dint''a stazione / quanno aggio 'ntiso 'e primmi mandulini...
A Napoli, sono certo che si è cominciato a cantare nella notte dei tempi, quando la città emetteva i primi vagiti e, insieme ad essi, qualche nota e qualche accenno alla musica. La musica è innata in chi ha qualcosa da trasmettere e, chi fà musica è un artista perché riesce a trasmettere emozioni agli altri. Da quei tempi ad oggi, Napoli si è dotata di un numero straordinario di canzoni e strofe musicate, arie e poesie cantate, filastrocche e canzoncine folcloristiche.Accompagna tutto ciò, una musica a volte languida e struggente, a volte ritmata e piena di energia. Abbiamo così meravigliosi brani scritti da grandissimi autori e balli magici e frenetici come la tarantella che viene ballata in ogni angolo del mondo.
La canzone napoletana si sviluppò già nel Quattrocento quando la lingua napoletana divenne la lingua ufficiale del regno e numerosi musicisti, ispirandosi ai cori popolari, iniziarono a comporre farse, frottole e ballate che, al contrario di quelle dei nostri politici attuali, all'epoca, facevano solo ridere e divertire.Poi, alla fine del Cinquecento, prese piede la cosiddetta "villanella" che conquistò letteralmente l'Europa fino a tutto il Settecento. Questa espressione artistica popolare era allora carica di contenuti positivi ed ottimistici e raccontava la vita, il lavoro ed i sentimenti popolari.Ma il periodo d'oro della canzone napoletana arriva nell'800. Dal 1835 a Napoli dilagò la melodia di "Te voglio bene assaje" e le celebrazioni della Festa di Piedigrotta si dimostrarono l'occasione ideale per l'esibizione dei nuovi pezzi, che videro tra gli autori personalità quali Salvatore di Giacomo, Libero Bovio, Giovanni Gaeta detto E.A. Mario, Ferdinando Russo e Ernesto Murolo.
Il testo di Te voglio bene assaje fu scritto da Raffaele Sacco e musicato da Filippo Campanella. I due non immaginavano nemmeno che avevano appena posato la pietra miliare del grande edificio che fu poi innalzato con le canzoni e le melodie napoletane con le quali continuarono a cimentarsi autori locali, nazionali e stranieri.Ad essa seguirono gli altri grandi classici della musica napoletana ottocentesca e così ci furono regalate Santa Lucia, Funiculì funiculà, Marechiare, Era de maggio, Scetate, Comme te voglio amà, 'E spingole frangese, Lariulà, Catarì, 'A vucchella (sul testo di Gabriele d'Annunzio si impegnò per la musica Francesco Paolo Tosti), Carcioffolà, Serenata napulitana, 'O sole mio (autori Di Capua e Capurro, credo la più famosa canzone a livello planetario, cantata e suonata in tutto il mondo, ritenuto da tanti il vero inno italiano), Maria Marì, Palummella zompa e vola (questa, fu addirittura proibita per i suoi evidenti contenuti sovversivi, poiché alludeva alla libertà, ed infatti gli autori ne cambiarono il testo, ma il popolo napoletano continuò a cantarne la musica a bocca chiusa).Ce ne sarebbero tante, tantissime altre da menzionare ma l'obiettivo del post era quello di ripercorrere in maniera fugace i motivi che hanno portato Napoli a diventare la città dove la musica cantata è nata e, i suoi abitanti, quelli che meglio l'hanno interpretata nel tempo.Siamo partiti da Partenope che, per amore e per una canzone, si arenò su uno scoglio e lì morì. Almeno così si dice, lì morì. Ma io non credo: ho sempre avuto l'impressione che Partenope viva ancora, leggiadra e veloce come un pesce nell'acqua, bella e sinuosa come una donna innamorata, testarda e sensibile come tutti i napoletani che amano questa città, consapevoli di non poterne tradire mai la storia e le origini e fieri di appartenerle.Partenope, sono certo, non è morta: Partenope canta ancora.