Napoli

La collezione Farnese e i suoi pezzi pregiati.


Nel 1731, muore senza lasciare eredi Antonio Farnese, ultimo esponente del ramo maschile della dinastia. Rimane momentaneamente senza proprietario, l'immenso patrimonio di cui godeva e che, successivamente, verrà assegnato a sua nipote Elisabetta, moglie di Filippo V di Spagna ma, soprattutto, madre del nuovo duca di Parma e Piacenza Carlo di Borbone, che, automaticamente, erediterà l'intera raccolta d'arte.
Elisabetta FarneseNel febbraio del 1734, proprio Carlo parte per andare ad insediarsi sul trono del Regno di Napoli e dispone l'immediato trasferimento anche dei suoi beni nella sua nuova capitale. Nel trasferimento vengono incluse anche le gemme e la biblioteca farnesiana sistemate inizialmente nel Palazzo Reale di Napoli nel 1736. Nella capitale, Carlo ordinò l'edificazione di una nuova e lustra sede che servisse come luogo dove tenere le opere. Nacque così la meravigliosa Reggia di Capodimonte, successivamente utilizzata come residenza reale.
Carlo III di BorboneParma, subì una perdita talmente forte e grave che negli anni successivi, il nuovo duca Filippo I, proibì l'alienazione di alcune opere cittadine come la Madonna di San Girolamo del Correggio ed istituì l'Accademia di Belle Arti, iniziando a donare nuovo splendore alla corte emiliana.
Parte della collezione esposta al MANNToccò, poi, a Ferdinando IV di Borbone, figlio di Carlo, completare l'opera di trasferimento della collezione Farnese cinquantaquattro anni dopo, facendo potare a Napoli anche la collezione romana, costituita essenzialmente da sculture e reperti archeologici conservati nel Palazzo Farnese di Roma. Anche questa operazione, suscitò non poche perplessità e il papa in persona, Pio VI, si oppose e provò a trattenere la collezione scultorea, senza riuscirci.
Ferdinando IV di BorboneDopo l'Unità d'Italia, il palazzo dei regi studi venne rinominato Museo Nazionale; poi, molto più recentemente, nel 1957, venne distaccata la pinacoteca dall'edificio e risistemata assieme ad altre opere ed oggetti d'arte medievali e moderni nella Reggia di Capodimonte. La biblioteca farnesiana invece, è confluita nell'immensa Biblioteca Nazionale, presso il Palazzo Reale. Vi è da aggiungere che, nei primi decenni del Novecento, 138 dipinti della collezione Farnese furono restituiti a Parma e Piacenza come risarcimento delle presunte usurpazioni operate da Carlo di Borbone due secoli prima.Ma diamo un'occhiata ad alcune fra le straordinarie opere di questa sterminata collezione:Il Toro Farnese.Si tratta di una incredibile opera scultorea per dimensioni e peso. Il complesso marmoreo è alto circa 3,70 m. Esso è stato tratto da un unico blocco di marmo con base di 2,95 × 3,00 m del peso di 24 tonnellate.
Il gruppo fu rinvenuto nelle Terme di Caracalla a Roma nel 1545, durante gli scavi commissionati da papa Paolo III.Luigi XIV, nel 1665, tentò di acquistare l'opera insieme al resto della collezione di antichità ma, sia Elisabetta Farnese che suo figlio Carlo di Borbone in un secondo momento, fecero in modo da eliminare ogni pericolo trasferendo la scultura a Napoli.Il complesso scultoreo fu sistemato come fontana nella Villa Reale di Napoli per poi essere spostato al MANN, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dove trovò definitiva allocazione. Sia la data che l'autore dell'opera sono incerti: essa, complici alcuni scritti di Plinio il Vecchio, fu prima attribuita agli artisti di Rodi, Apollonio di Tralle e suo fratello Taurisco; Plinio, infatti, afferma che la scultura fu commissionata alla fine del II secolo a.C. e fu tratta da un unico blocco di marmo. Sempre secondo lo scrittore, la scultura fu  poi trasferita a Roma da Rodi come parte dell'incredibile collezione di sculture e opere d'arte di Asinio Pollione, un politico romano vissuto nel periodo di passaggio tra la repubblica e il principato.Altre ipotesi dicono che la scultura descritta da Plinio non fosse quella del Toro Farnese e che questa è invece stata commissionata appositamente per le Terme di Caracalla. Infatti, alcuni dettagli dell'opera come i piccoli ciuffi di peli sul toro e le pieghe taglienti dei vestiti di Antiope e del mantello di Dirce la collocano nel periodo severiano e cioè nel III secolo d.C.L'enorme scultura trasmette grandi emozioni in chi la visita. Essa rappresenta il supplizio di Dirce. I figli di Antiope, che sono Anfione e Zeto, desiderosi di vendicare gli insulti alla madre, hanno legato Dirce a un toro selvaggio inferocito. Nella scena appaiono altri personaggi secondari, aggiunti nel cinquecento o settecento: un cane, un bambino e una seconda figura femminile, quest'ultima raffigurante forse Antiope.L'Ercole Farnese.La statua è tenuta presso il MANN. Fu rinvenuta alle Terme di Caracalla intorno al 1546 per poi entrare a far parte della collezione del cardinale Alessandro Farnese.
Nel 1787, Carlo di Borbone, trasferì la scultura a Napoli e la fece collocare prima nella Reggia di Capodimonte, poi nel Palazzo del Real Museo.La statua fu trovata per la prima volta priva di due polpacci cosicché, fu chiesto a Guglielmo Della Porta, allievo di Michelangelo, di eseguire il restauro. Più tardi, furono rinvenuti i due frammenti mancanti ma, si decise di lasciare i pezzi di recente aggiunta in quanto considerati di maggior fattura. Solo alla fine del Settecento, si decise di ripristinare gli antichi arti sostituendoli a quelli di restauro. Oggi, nel museo archeologico di Napoli è possibile vedere alle spalle dell'Ercole una parete sulla quale sono esposti i due polpacci scolpiti da Guglielmo Della Porta.La statua rappresenta Ercole come trionfo del coraggio dell'uomo sulla serie di prove poste dagli dèi gelosi. A lui, figlio di Zeus, era concesso di raggiungere l'immortalità definitiva. Nel periodo classico, Ercole era ritenuto il salvatore dell'umanità anche se dotato di difetti mortali come la lussuria e l'avidità.La scultura propone Ercole come un eroe stanco, sfinito dalle dodici fatiche, che si riposa appoggiandosi alla clava, tenendo con la mano destra, dietro la schiena, i pomi d'oro rubati alle Esperidi.L'Atlante Farnese.Formidabile scultura conservata al MANN dopo essere stata in mostra al Palazzo Farnese a Roma finché Carlo di Borbone non decise di trasferirla a Napoli dove, oggi, è visitabile nel salone della meridiana all'interno del Museo Archeologico Nazionale.
Essa, raffigura Atlante affaticato nel reggere il globo sulle sue spalle. La peculiarità di quest'opera, però, oltre che nella fattezza, è nelle configurazioni delle costellazioni presenti sul globo sulle spalle di Atlante. Si tratta della più antica e completa raffigurazione delle costellazioni. Infatti, il 10 gennaio 2005, Bradley E. Schaefer, astrofisico della Louisiana State University, in un convegno dell'American Astronomical Society tenutosi a San Diego in California ha rilevato le configurazioni delle costellazioni presenti sul globo dell'Atlante Farnese ricostruendo la posizione occupata dalle costellazioni nel cielo osservate da Ipparco, nel 129 a.C. circa. Il risultato ha evidenziato un'ottima coincidenza tra le previsioni astronomiche moderne e le posizioni rilevate dall'Atlante Farnese che lo hanno indotto a individuare nel famoso e perduto catalogo di Ipparco la fonte a cui aveva attinto lo scultore dell'epoca.La Venere Callipigia.Meravigliosa opera scultorea rinvenuta nei pressi della domus aurea la cui storia è pressoché ignota. Risale sicuramente all'epoca dell'imperatore Adriano e, al momento del ritrovamento era priva di testa. Nel 1594 fu acquistata dalla famiglia Farnese che provvide ad aggiungere il capo, e a collocarla al Palazzo Farnese, inserendola così nella stupenda collezione di sculture archeologiche della famiglia romana. Nel 1786, anche quest'opera come tutta la collezione, fu trasferita a Napoli e, sotto il regno di Ferdinando IV di Borbone, sistemata nel Regio Museo.
In occasione di quest'ultimo spostamento, vi furono altri lavori di restauro eseguiti da Carlo Albacini. Fu sostituita la testa, poi le braccia ed una gamba.La dea è raffigurata nell'atto di sollevare il suo peplo per scoprire i fianchi e le natiche e volgere lo sguardo dietro le spalle per osservarli. Davvero un'opera eccezionale.La Tazza Farnese.Si tratta di un piatto da libagione di epoca ellenistica, fabbricato in agata sardonica e del diametro di 20 cm circa, probabilmente non usato per i banchetti ma per libagioni rituali. Attualmente, è conservato al MANN. E', sicuramente, uno dei più controversi capolavori dell'arte antica. Viene datato II o I secolo a.C. ma, esistono differenti posizioni da parte degli studiosi.
Fu acquistato da Federico II di Svevia nel 1239. Vi è, poi, la sua riproduzione in un disegno a Samarcanda e, si pensa che il piatto fosse là nel 1430. Poi, ricompare a Napoli nel 1458 ivi visto da Angelo Poliziano nella collezione del Re Alfonso V d'Aragona. Nel 1471, fu acquistato da Lorenzo il Magnifico e passò così nella collezione dei Farnese.La superficie interna della tazza raffigura un'immagine con sette figure: una Sfinge, su cui siede una figura femminile che reca in mano delle spighe; una grande figura maschile con barba, su un albero, che regge una cornucopia; un giovane che impugna un aratro e che reca a tracolla un sacco di sementi; due figure femminili sedute, due figure maschili in volo nei pressi del bordo superiore.Le immagini rappresentate nella Tazza Farnese, soprattutto quella interna, hanno dato adito a diverse interpretazioni, tutte comunque legate all'Egitto, grazie al preciso riferimento rappresentato dalla presenza della Sfinge.Altre interpretazioni tuttavia si sono susseguite nel corso del tempo e la stessa datazione della tazza viene variamente posta; la difficoltà consiste nell'assenza di punti di riferimento esterni. Tentativi di datazione su base stilistica sono stati effettuati tramite comparazione con opere di datazione ugualmente controversa.Lo Pseudo-Seneca.Lo Pseudo-Seneca è un busto romano in bronzo della fine del I secolo a.C. scoperto a Ercolano nel 1754 e conservato al MANN. Si tratta del più bell'esempio rinvenuto tra le circa due dozzine di busti raffiguranti lo stesso soggetto.
Inizialmente si credeva che rappresentasse Lucio Anneo Seneca, il famoso filosofo romano del I secolo d.C. tuttavia, sembra sia più probabile si tratti di un ritratto immaginario di Esiodo o di Lucrezio.Seguendo l'esempio di Cicerone, che aveva decorato il suo studio con diversi busti, o dell'immagina illustrium che popolavano la villa di Sorrento di Pollio Felice, le importanti personalità dei secoli XVI e XVII miravano al possedimento di ritratti a busti di grandi scrittori dell'epoca classica. Per questo motivo si ipotizza che il busto potesse essere appartenuto ad una persona di cultura della città romana.Nell'occasione del ritrovamento, furono rinvenute circa una dozzina di copie dello "Pseudo-Seneca". Altri tre esemplari invece furono ritrovati qualche anno prima a Roma e entrarono a far parte della collezione Farnese. Questi pezzi sono tutti esposti al MANN.